lunedì 9 dicembre 2013

il nuovo colore delle parole

No, belli, queste non sono le solite parole polverose e dal sapore di muffa di quando parlo della solitudine.

Questa volta hanno un sapore , un calore e un colore diversi.
La stagione delle camminate in montagna è iniziata da tempo, e il grande contrasto tra il silenzio dei boschi e la mia camera è motivo di nuove riflessioni. La differenza tra questa splendida e caotica settimana passata camminando di notte per Padova con gente molesta e dove sono ora, è forte. (Per rendere più leggera la lettura ho deciso di cambiare stile, periodi meno lunghi e qualche punto in più, così non vi si frigge il cervello, miei buoni lettori (e spero anche qualche e lettrice). Il libro prestato da un caro amico, dove sto vedendo sotto una nuova luce i poeti e filosofi che mi ispirano, contribuisce a queste riflessioni pacifiche.

Descrivo brevemente la settimana che ho trascorso tra questi universitari pazzi, in attesa del video che li onorerà come meritano. Siedo con la solita tazza fumante di camomilla al mio fianco mentre ripenso alle molte esperienze che ho fatto per la prima volta grazie a loro. In primis non mi hanno mai permesso di farmi prendere male (una cosa che mi succede spesso) per qualche cazzata, qualche salto non chiuso o una battuta non capita, o qualsiasi delle cose che mi rattristano. Mi hanno mostrato splendidi monumenti accesi di sole invernale e quindicenni che vomitavano l'anima in vicoli bui e sporchi, dietro il locale in cui ho ballato per la prima volta (no, non avete un virus nel vostro pc, avete capito bene). Ci siamo allenati tutti i giorni in posti fantastici e con bella gente vestita larga, non ho mai dormito più di tre ore ogni notte perchè sono stato vittima di molestie di ogni tipo. Mi sono cotto alle terme, perdendomi in pensieri metafisici guardando il vapore salire nel cielo nero, ho bevuto cappuccini, spritz, vin brulè e amaro del capo, ho aggiustato il divano della casa di ragazze che con occhi innocenti hanno detto: "non sappiamo proprio come possa essersi sfondato!"                                                                    
Ho visto Venezia per la prima volta, correndo nei suoi stretti vicoli a bocca aperta per la meraviglia, Sono stato portato per ore sul portapacchi di una delle migliaia di grazielle studentesche spaccandomi il culo, e godendo delle luci della città di notte. Ho paragonato il mio cuore ai ragazzi in precario equilibrio sulla slackline nella seconda piazza più grande d'europa. Ho praticato Tai Chi in uno splendido parco con un buon maestro, rallentando il tempo. Ho mangiato tofu e seitan, mi sono arrampicato sull'albero di natale al centro della città, fatto piegamenti in mezzo alla strada per combattere il freddo mentre i miei molestissimi anfitrioni sedevano sfasciati di vino a perdere tempo. Abbiamo passato ore a parlare di parkour, donne, cavalleria, filosofia, amore, amicizia, natura. Ci siamo infiltrati in uno stadio abbandonato (accanto a una caserma di polizia e sopra le teste dei passanti) nella più epica night mission mai portata a termine. E molto altro. Vi ringrazio per tutto, mi avete fatto vivere giù duro!

Il paragone tra queste cose e la mia solita vita, fatta di Basho, Varese di merda, Poe, post rock, Rimbaud e camminate in montagna sono la causa di questo post, un'altra riflessione sulla solitudine, ma diversa dal solito. Kerouac, Rosseau, Nietzsche, Basho, e molti altri, sono filosofi, poeti, scrittori. Ma per me, sono prima di tutto camminatori, e chiunque cammini a lungo non può non pensare alla solitudine. Io ho fatto di questo tema la base del mio pensiero, il problema (non un problema nel senso di guaio da sistemare, quanto di pensiero profondo e articolato, come di una persona affascinante cerchiamo di capire come fa ad attrarci in quel modo oscuro e caldo) sul quale appoggio il mento  e guardo da vicino.

Il mio profondo desiderio di amore e di amicizie, di riversare tutto il mondo che ho dentro  (idealmente spogliati dei balbettii, dei "minchia" e del mio parlare troppo in fretta) è in contrasto aperto con il bisogno, a volte improvvisamente urgente, di solitudine. Quando vado per foreste mi viene di desiderare a volte la compagnia di qualcuno in generale, altre di qualcuno in particolare. Poi alzo gli occhi all' altezza degli alberi, lo abbasso a quello degli insetti tra le foglie morenti, e sento che lì, in quel preciso momento, col mio ritmo dei passi, con quello dei respiri, non potrebbere esserci nessun altro. Quando mi trovo con altri ho sovente questo senso di inadeguatezza, e ora lentamente comincio a lavorarci per cambiarlo (mi hanno fatto capire che trovare le cause di un problema, con le mie eterne e muffose riflessioni, non significa assolutamente risolvere il problema).

Se, quando mi trovo da solo per boschi o in un angolo ad allenarmi (intendo quelle giornate col sole tiepido, senza nessuno in giro, in cui magari trovate una sbarra o un problemino di boulder nel muro su in paese e lì sentite proprio dentro che è perfetto così, solo voi) sto bene, e quando sono in città con altre persone ho il disagio che sale, allora ora voglio lavorare subito sulle cause.  Mi capita di riuscire ad ASCOLTARE il disagio, invece di star là come uno stronzo a crogiolarmi nel comfort caldo e raffermo, e agisco. Pam! Al posto di guardar male la passante, immagino di sorriderle (ancora non ci riesco, ma almeno non mi chiedo più per quale motivo guarda me). Bum, chiudo quel movimento di fluidità stronzo che provavo da giorni, mi prendo bene e ci riprovo. Skippo la canzone deprimente che stava partendo nel lettore e ne faccio partire una che manda vibrazioni positive, cavolo. E a casa non mi metto al pc a guardare vecchie foto di bei ricordi che mi deprimono (bel contrasto se ci pensate, vero?), ma scrivo questo post.  Non la leggo la poesia struggente che ho sul comodino, ma apro il libro di fisica e mi impongo di studiare. Meglio la noia della tristezza.


Questo non significa che ho risolto tutto e non ho più problemi, che tac sono l'uomo più felice del mondo. Ma ho cominciato a disilludermi di alcune cose e ne ho capite altre aiutato dalle mie nuove esperienze. Coltivo ancora sogni, non sono ancora come nei carnets de pèlegrinage di Swami Ramdas, in cui si vede che è nel momento in cui si rinuncia a tutto che tutto ci è offerto, nel momento in cui non si aspira più a nulla che tutto ci è dato, a profusione. Quello è un level-up che ancora non ho fatto, mi va bene così. Mi lascio comunque guidare dalle emozioni, oltre che dalla ragione. Dai Tengu de "gli anni dolci", che svolazzano alle mie spalle.