sabato 10 ottobre 2020

Nel cuore della notte


Quello che ho realizzato, nel 2020, è che non sono forte. 
Non nel senso che ho sempre inteso almeno, cioè quello del parkour delle origini. Il modello con cui sono cresciuto. L'idea dell'uomo forte, che con la forza di volontà e il coraggio può trasformare il suo corpo e la sua mente in un carro armato inarrestabile. Molte cose mi hanno fermato quest'anno.  Per la prima volta, mesi dopo il lockdown, mi sono ritrovato in uno stato sconosciuto fino a quel momento, uno stato che non sapevo spiegare e che mi ha confuso.

 Per la prima volta ho provato ansia.

 Dopo il libera-tutti  ho ricominciato a uscire, subendo una brutta distorsione alla caviglia. La relazione che avevo è crollata, ho perso degli amici. Ma prima, una premessa. 
Era da tempo che non scrivevo cose molto personali qui nel blog, e bene o male l'ho pensato come ad un'evoluzione. Negli ultimi giorni mi sono preso del tempo  per pensare di condividere di nuovo  qualcosa di personale. So che questa scelta ha pro e contro.  Chi mi conosce e entra qui ogni volta che scrivo si metterà comodo davanti al pc e prenderà del tempo  (cosa piuttosto rara di questi tempi ) per leggere quello che condivido. Altri leggeranno le prime righe e crederanno che il mio sia solo l'ultimo sfogo di un vittimista che si lamenta. Al contrario. Voglio condividere una piccola realizzazione, ma per farlo devo spiegare il processo che mi ha portato a stasera.
 
Chiuso in casa, nel cercare di tenermi occupato come molti, ho tralasciato alcuni aspetti della pratica che erano importanti, mi sono concentrato solo sul fare cose, sull'imparare qualcosa di nuovo senza badare a chi avevo vicino e senza badare davvero a me. Poi c'e' anche da dire che comunque è stata una situazione nuova e diversa da ogni difficoltà che chiunque di noi abbia affrontato. Sono stato anche fortunato in realtà. Vivo da solo, in libertà, la persona che mi stava accanto aveva la rara possibilità di spostarsi tra due città per lavoro e poteva venirmi a trovare ma senza l'obbligo di una convivenza forzata.  Quindi cosa è successo? 
un qualcosa di strisciante si muoveva lento dentro di  me senza che me ne accorgessi.  Un senso di solitudine, come un'ombra  al mio fianco quando uscivo a fare la spesa, quando giravo di notte per le strade, quando stavo in casa a cercare di fare qualcosa.  Niente lavoro, niente corsi, niente parkour, computer rotto e notizie allarmanti hanno scavato qualcosa che ha raggiunto la superficie mesi dopo. 
 A lockdown concluso sono uscito ad allenarmi  e a gustarmi un po' di meritata libertà. Abbiamo visto tutti la primavera iniziare e finire da una finestra. Al secondo allenamento dopo il via libera,  saltando con un piede da una panchina la caviglia si è piegata in maniera innaturale (tanto innaturale) lesionando tendini e legamenti.  "Ecco", mi sono detto, "lo sapevo! erano almeno un paio d'anni che non prendevo storte. troppo bello per essere vero!". Come se fosse stato un vaso che mi fosse caduto in testa per caso.  Come se non fosse, almeno in una certa misura dipeso da me. Andiamo avanti, poi torniamo al discorso caviglia.
 
A giugno è morto un amico. Non c'e' altro da dire. 

A  fine luglio senza soldi per mancanza di corsi e lavoro non sapevo cosa fare, e tra Covid e caviglia ridotta a una polpetta masticata di finire il cammino di Santiago non se parlava. Così ho pensato di andare a trovare mia madre, che vive in Puglia. Ho pensato di andarci in bici, per farle sentire la mia vicinanza in un momento difficile. Mi sembrava una bella idea ma era un po' tardi per iniziare a prepararmi (contando sia l'infortunio sia il lock down non ho usato le gambe per sei mesi).
Così non ho fatto nessun allenamento e ho contato sulla mia forza di volontà e sulle capacità fisiche che già avevo.
il 2 agosto Sono partito e il primo giorno ho esagerato facendo 200 km per arrivare da Varese a Verona in un'unica tappa. Arrivato dopo una giornata infame, una foratura in mezzo a un bosco al tramonto e barcollante per il sonno mi sono dovuto fermare per due giorni per riposare, poichè le caviglie e le ginocchia chiedevano pietà.  Perchè l'ho fatto e non mi sono fermato prima? Cosa mi è passato per la testa? In quel momento mi sembrava una cosa coraggiosa..non forse saggia, ma che cazzo, non si può sempre essere prudenti no? Dopo essermi fatto male, 2 mesi di clausura in casa e vicissitudini varie avevo voglia di farlo. Almeno in quel momento avrei dovuto avere gli occhi aperti e badare ai segnali che il corpo mandava. Poi sono ripartito alla volta di Ferrara, (altri 140 km tra i campi della bassa Veronese con un caldo infernale)  e poi di Cervia (130). Raggiunto il mare sarebbe in teoria finita la parte  rovente e pallosa del viaggio. Non sto a descrivere i dettagli del viaggio perchè non è questo lo scopo del post. Lo scopo è condividere un momento di cecità nella ricerca della forza e del coraggio a ogni costo.  Quando la sera del terzo giorno in sella sono arrivato al mare avevo percorso 460 km e zoppicavo. Questo mi ha fatto pensare. Il mare in questo mi ha aiuta. Guardando le navi dondolare pigre nel porto, il mio ginocchio malconcio, ho osservato me stesso, schiavo dei dogmi di una pratica che non mi appartiene più. O meglio: la pratica non ha colpa, è stata la mia pigrizia e irresponsabilità. Anche qui mi sono dato  due giorni di riposo per decidere se continuare il viaggio, per vedere se le condizione del culo  (vesciche da pantaloncini e sella inadatti) e delle articolazioni sarebbe migliorata.

A cosa serve infatti allenarsi per essere forti, se poi quando si è chiamati a usare quella forza siamo degli invalidi? Se serve la condizione giusta, il muro giusto, il riscaldamento giusto per potermi esprimere, allora ho mancato il bersaglio. Non ho neanche incoccato la freccia. Dopo due giorni di riposo e di riflessioni in cui si è svolta una battaglia interna tra continuare e rinunciare ha vinto il buon senso.  Ogni schieramento aveva le sue ragioni però: continuare, dimostrare a me stesso che ero in grado. Farlo per me, farlo per mia madre, farlo per non vergognarmi di ritirarmi. E dall'altra parte il buon senso: avevo finito i soldi, ero completamente impreparato fisicamente, non avevo un equipaggiamento adatto, mi faceva malissimo il culo e il ginocchio. Sembra ovvio ora dire che è giusto rinunciare.

Ma in me non era così ovvio. La mia sensazione è che nel parkour tutti siano capaci di dirsi pronti a rinunciare a una sfida...ma che poi debbano essere gli altri a doverlo fare. Chi ammette tranquillamente: "non sono stato capace"? La paura di mostrarsi fallibili, deboli, sembra troppo grande. Eppure siamo umani. Facciamo errori di valutazione, sbagliamo. E in questo non c'e' niente di male. Ma io ho peccato di orgoglio, l'unica volta che mi sono sopravvalutato. Per fortuna, però, molti cari amici hanno compreso questo malessere e mi hanno scritto sui social consolandomi, tranquillizzando il mio animo.  Lasciar andare le cose quando necessario è un' atto di maturità, spesso più del non mollare.



Viviamo in un mondo eternamente infantile, un mondo dove vogliamo solo vincere contro i muri sbattendoci contro, ottusamente. Dove crediamo di fare brutto con la nostra forza di volontà per fare qualunque cosa. Per qualcuno questa legge irrinunciabile  funziona.  Ma per me non funziona più.

"L'esperienza è l'insegnante migliore. Prima ti fa l'esame e solo dopo ti da la lezione" (Mistaman- Successo)


Così, da quando sento afflizione ho iniziato a sedermi regolarmente (sedermi= zazen ), più di quanto abbia fatto per anni. Sedermi e basta. Senza aspettative sull' illuminazione, senza scopo, solo sedermi. Mettermi seduto e osservare le cose succedere. Osservare le cose per quello che sono.  I pensieri come pensieri, siano essi piacevoli o spiacevoli, causino dolore o gioia. Sono una persona  dal carattere ipersensibile, suscettibile, che tende a scattare e con molti meccanismi automatici di difesa dagli attacchi veri o immaginati che sento di subire.  Quindi per ora sono solo brevi sprazzi quei momenti in cui riesco a lasciar andare.




Nel cuore della notte

Per provare un'esperienza di meditazione diversa e in accordo con la stagione in cui inizio ad andare in montagna, ho deciso di andare una notte ad accamparmi nei boschi che frequento di solito, ma in una zona diversa, che mi permetteva di accendere il fuoco senza lasciare traccia essendo provvista di un focolare. Arrivato nel tardo pomeriggio in questa piccola radura circondata da faggi e castagni ho iniziato a preparare la legna che mi sarebbe servita per buona parte della notte, mentre qualche escursionista si avviava verso casa.  Scesa la sera, la tenda montata e tutto era pronto. Civette e allocchi già vocalizzavano, appena sorta la luna. Dopo aver  finito di tagliare la legna nelle varie misure e aver preparato l'esca ho acceso e scaldato la cena. Passavano le ore e il buio intorno era completo. 

la luna illuminava a tratti la radura.



Dopo gli uccelli notturni ho iniziato ad avvertire gli altri animali aggirarsi curiosi ma invisibili nel sottobosco. L'uomo non è un animale notturno e ha naturalmente timore della notte. Io non sono da meno. Tutti quelli con cui parlo delle notti nella foresta in solitudine mi rispondono che ne hanno troppa paura per farlo da soli. Anche dopo molti anni e molte notti passate fuori mi capita di averne pur sapendo che non c'e nulla di cui aver realmente paura, ma è un istinto primitivo e fortissimo quello del terrore per l'oscurità e per i rumori sospetti, specialmente quelli che non siamo abituati a sentire per la loro natura crepuscolare. Verso le 23, mentre la luna continuava a disegnare macchie di luce bluastra nella radura e tra gli alberi ho deciso di meditare
Mi sono seduto su un ceppo tenendo il fuoco alle mie spalle. Intorno era tutto nero.
E' difficile descrivere  come mi sentivo mentre stavo lì seduto a osservare  con gli occhi socchiusi la piccola area di bosco debolmente illuminata dalla luna davanti a me, le nuvole a tratti la coprivano gettando tutto nell'oscurità più totale. 
Non so come esprimere la paura che provavo, mentre le fiamme dietro di me crepitavano. Volevo rimanere seduto a meditare, ma ogni pensiero e ogni muscolo del mio corpo volevano solo alzarsi e guardarsi intorno. Tutto questo si verificò prima che iniziasse a succedere davvero qualcosa.
Mentre le fiamme continuavano a crepitare in modo sommesso, stavo lì seduto e non c'era nessuno al quale rivolgermi.  Ero solo io, per non so quanti chilometri intorno. Non c'era posto nel quale potessi pensare di  rifugiarmi a parte la tenda da campeggio. Ma volevo stare lì, accettare la paura e ogni demone che fa parte di me e che mi ha fatto perdere amici, relazione, serenità.
Ad un certo punto, dietro di me, oltre il fuoco al di fuori della radura e tra i faggi ho iniziato a sentire dei passi e degli strani versi, come di un uomo che sussurrava.  "Resterò seduto e morirò qui", mi sono detto. "Da qui non mi muovo". La mente ordinaria non permetterebbe di fare una cosa così, non condurrebbe nessuno a fare una cosa simile. Chi potrebbe desiderare di fare una cosa del genere?
Tremavo. Ero ancora seduto e il rumore che sentivo, come di uno strascichìo, si avvicinava. Era il legno del fuoco che cedeva mentre bruciava? O Forse qualche animale era curioso di vedere cosa stesse succedendo e mi girava intorno?  Non sapevo. Le foglie scrocchiavano e sentivo quel qualcosa intorno sempre più vicino. "Starò qui, immobile! non girerò nè la testa nè gli occhi, qualunque cosa accada!" pensavo,  ma la paura mi attanagliava. Niente più Zen, niente Buddha, niente istinto di sopravvivenza. Non mi importava più di nulla. Dentro di me c'era solo una paura che mi riempiva tutto. 
Passati alcuni minuti così improvvisamente non ci fu più nessun rumore. Dentro di me una voce ha chiesto: "di cosa hai paura esattamente?" "Di morire", ha risposto un'altra voce. Bene allora. Muori allora, ma rimani seduto. 
 E sono rimasto. Non sono scappato, e poi la mia percezione è improvvisamente cambiata. Non ho avuto più paura. Passata la paura mi sono trovato a pensare che ero nel bosco di notte, da solo. Mi veniva da piangere. Pensavo: "perchè sto qui seduto come un esule in mezzo al bosco, di notte?" Tutta quella gente che in questo momento sta seduta comodamente nella propria casa, forse non sospetta nemmeno che un tizio stia qui in mezzo alla foresta, seduto e solo? A che serve tutto questo? Perchè appena uscito da mesi di prigionia mi sono fatto male? perchè non sono stato in grado di mantenere una relazione? Perchè rovino le amicizie col mio brutto carattere?

Pensare tutto questo mi ha fatto sentire molto male. Stavo seduto, praticavo così. 
Poi sono rimasto seduto ancora un pò, e ho provato ad accettare queste sensazioni. Mi sono sentito meglio e mi sono guardato intorno. 
Ho fatto qualche passo intorno e il bosco non mi faceva più paura. La mattina dopo, svegliandomi sereno poco prima dell'alba ho socchiuso la tenda e ho visto un cinghiale passeggiare.


 

Il paradigma dell'uomo forte è caduto.

Da poche settimane,  a 4 mesi dall'infortunio ( per un totale di di 7 mesi, il periodo più lungo della mia vita senza aver fatto parkour),  ho ricominciato a praticare. E' incredibile come ci sia così tanto da scoprire su se stessi anche dopo tanti anni di pratica. Sto riscoprendo la mia identità di praticante muovendomi più piano, rimanendo presente. Questo non significa che non spinga più. Voglio sempre diventare quel vecchio seduto in un angolo del bar a cui tutti chiedono di aprire il barattolo di sottaceti perchè non ci riesce nessun'altro. Ma la pratica continua a evolversi e ora, per brevi momenti, riesco a non scontrarmi frontalmente con me stesso e con gli ostacoli (reali o immaginari non fa molta differenza) che mi presentano, ma ci penso su un attimo e poi trovo un modo più gentile di affrontarli. Altre volte ancora un pò di sana ignoranza prevale e anche questa va benissimo. Non serve stravolgere del tutto il proprio modo di muoversi.
 


6 commenti:

  1. Dopo questa lettura sono senza parole: poche volte, forse mai, ho letto o sentito qualcuno che con così tanto coraggio si è scavato dentro così affondo. Forse è una capacità che ti invidio, più dei grandi salti e della tua agilità e perseveranza. E cmq la parte del rumore alle spalle mentre mediti, mi ha fatto venire i brividi

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  2. Non è il paradigma dell'uomo forte che è caduto... È un uomo forte che si è alzato oltre il paradigma.

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  3. Una persona cara mi ha detto che ci sono uomini che non smetteranno mai di dover dimostrare a se stessi qualcosa.

    È questa la gabbia di molti di noi: doverci dimostrare di essere forti, oppure doverci dimostrare di non aver più interesse a dimostrarci di essere forti. In ogni caso, essere e basta, vivere e basta, è sempre lontano all'orizzonte. Questa stessa persona mi ha anche detto però che quasi solo le persone così hanno un impatto vero sul mondo.

    Non so cosa sia giusto, ma sono stato contento di leggere queste tue riflessioni!

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  4. Queste parole sono una pietra miliare, da cui non si torna indietro. Sono il tuo nuovo potere, ma anche la tua nuova responsabilità.

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  5. "(...)
    Di successi e declini, tu mi chiedi i motivi,
    Mentre un pesce, cantando, s'immerge nel fondale."

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  6. Grazie per aver condiviso qualcosa di così intimo. Solo questo gesto richiede una maturità importante, perché chi non è sicuro di se stesso, ha timore del giudizio e di non essere compreso..
    Condivido anche i pensieri nei commenti già presenti.
    Credo che l'importante non sia essere forti, ma sentirsi forti.. e un animo debole non avrebbe accettato certe emozioni e certe realtà interiori, attraversando consapevolmente un "viaggio" simile.
    Ti ringrazio perché hai dato voce a cose che avevo dentro, e perché ho ottenunto delgli spunti di riflessione

    Davide

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