In Trentino c'e' un uomo, un mio coetaneo, che nel 2018 ha percorso a piedi i 4218 km del Pacific Crest Trail, un sentiero negli Stati Uniti. Una volta tornato ha deciso, dopo varie vicissitudini, di diventare una guida. Di accompagnare le persone alla scoperta di quella dura bellezza che la natura sa offrire, quel segreto che si svela solo a chi fa la fatica di inerpicarsi con le proprie forze lassù, tra le montagne. Io ho conosciuto Lorenzo perchè cercavo info su quel famoso sentiero da lui percorso, ma poi l'ho contattato perchè mi interessava la sua visione dell'hiking, molto simile alla mia. Infine qualche anno fa ci siamo trovati a camminare per un paio di giorni insieme, in questo percorso. Dopo quella volta mi sono ripromesso che non avrei più camminato in montagna in compagnia. Sia perchè sono un solitario sia perchè ho bisogno dei miei ritmi, di pause di contemplazione. Correre in autostrada non fa per me. Ho bisogno di prendere strade lente per apprezzare il mondo intorno.
Poi però Lorenzo nella figura di guida ha proposto qualcosa che appena ho visto ho subito sentito come una sfida per le mie capacità di hiker indipendente che si sta facendo le ossa con percorsi sempre più lunghi fatti in autonomia: un trekking di 10 giorni e 160 km attraverso le alpi, alla ricerca di spazi poco frequentati e selvatici, belli e aspri. Nudi come la roccia.
In autonomia.
Così ci siamo di nuovo sentiti per chiedergli informazioni varie su date, percorso, capacità necessarie ecc.
Troppo interessante ma...
Fino a pochi giorni prima della partenza ero in dubbio. Ho un ginocchio che tende a fare i capricci quando deve affrontare lunghe discese, e nell'unica altra esperienza di trekking in compagnia ( proprio quel sentiero fatto con lui e un altro amico) si era infatti infiammato già alla fine del primo giorno, su un percorso di due. Temevo davvero di non essere in grado di completare qualcosa di simile. Il massimo che avevo fatto era stato un trekking di 4 giorni, con molto meno peso nello zaino, meno dislivelli, meno kilometri. E soprattutto andando al mio ritmo. La cosa che più mi turbava era il dovermi adattare agli altri. Però...quando ricapita un'occasione simile?
Ci ho pensato a lungo. Alla fine ho deciso di proporre la mia partecipazione in cambio della mia esperienza con l'allenamento, la preparazione fisica e per la prima volta con la condivisione della mia ricerca sulla meditazione e sulla pratica del Buddhismo Zen.
Lorenzo ha accettato e il primo passo era fatto. Non si torna indietro, nonostante i dubbi.
Così è iniziata la pianificazione sull'equipaggiamento necessario, sul cibo da portare per i primi 5 giorni ( il resto lo avremmo ottenuto nell'unico paese attraversato nei 10 giorni di trekking, poco oltre la metà del percorso) e sull'atteggiamento da portare come partecipante e come guida sui temi di cui fra poco parlerò.
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il viandante sul mare di nebbia e il mio zaino pronto al viaggio. Il mio caro carlino 2.0 |
Perchè Thru Alps
L'idea da cui nasce questo trekking è che per potersi immergere davvero nelle sensazioni che la natura offre, sia spiacevoli che piacevoli, serve tempo. Serve rimanere lontano dalle continue distrazioni che il mondo ci propone, dai comfort della casa e dei servizi sempre pronti per una quantità di tempo sufficiente a riaprire gli occhi alla realtà che abbiamo davanti. Che è fatta di altro. E' fatta proprio di quelle sensazioni che abbiamo dimenticato di poter vivere come normali. E' fatta di molte migliaia di passi fatti in silenzio per poter scendere in profondità nei propri pensieri. Di panorami che sembrano eterni e sono continuamente cangianti, di ricominciare a esplorare sè stessi non più distratti ma finalmente presenti, presenti a ogni passo che si compie con attenzione, per non inciampare.
Come dice Lorenzo nel suo sito, coltivare la bastevolezza.
L'inizio del percorso
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il primo shake down. |
Il giorno prima dell'inizio del trekking sono partito da casa per poter riposare la notte a Trento, dove ho prenotato un hotel. Città bollente, che però si rinfresca un pò la sera dove ho girato, bevuto l'acqua di ogni fontana e abbastanza birra trentina da volermi sedere a godermi gli spruzzi del Nettuno di Piazza del Duomo.
Alla mattina del giorno di rendez vous ci siamo incontrati alla stazione e abbiamo preso il treno insieme fino al paesino tra Bolzano e Merano da cui siamo partiti. Non farò una descrizione minuziosa di ogni esperienza dei 10 giorni, sarebbe lunga e noiosa. Parlerò delle mie sensazioni e delle cose che più mi hanno toccato, commosso e turbato.
Un gruppo di persone diverse tra loro, con approcci differenti al camminare in natura e nel modo di interagire con gli altri. Tutti maschi. Eravamo in 7, anche se due ci hanno poi lasciato al quinto giorno. Insieme a Lorenzo c'era Marco, che stava completando il suo tirocinio per diventare anche lui guida escursionistica. Un uomo pacato e positivo che ho imparato ad apprezzare nei giorni seguenti.
Facilitatore
La sfida principale per me è stata non isolarmi. Cosa non facile possedendo come già detto una natura piuttosto schiva e solitaria. Specialmente con sconosciuti e specialmente in un ambiente come la montagna. Però avevo anche il compito di proporre esercizi di riscaldamento, defaticamento, stretching. Sessioni di meditazione e di discussione sulla pratica e sulla natura della realtà. Senza alcun obbligo da parte dei partecipanti. Libertà assoluta di partecipare ad una parte o a tutto quello che avrei proposto nei giorni seguenti.
Ho preparato una serie di riflessioni che avrei proposto all'avanzare del viaggio. Una sorta di programma molto flessibile che si sarebbe adattato alla natura delle persone e alla loro sensibilità. Alcuni sulla preparazione fisica utile a chi fa hiking, altri sulla connessione mente corpo, altri su temi quali Buddhismo e stoicismo. Ho tenuto conto anche della stanchezza, della noia dei partecipanti, della voglia magari di riposare a fine giornata, o del desiderio di stare per conto proprio in certi momenti.
L'idea prima di tutto era di non comportarmi da insegnante, non essendo un corso di parkour. Ma da facilitatore, una figura a metà strada tra un compagno di classe con più esperienza e un docente.
L'essere in un ambiente come quello della montagna, in una valle deserta circondata solo da cime, torrenti e sassi ha amplificato nelle persone l'interesse e l'attenzione a certi temi. La propensione all'ascolto. Il primo giorno l'ho lasciato scorrere e concludersi senza proporre nulla, per permettere a tutti di prendersi il proprio tempo. Nei giorni seguenti, in base ai fattori descritti sopra, ho proposto, quando camminavamo, riposavamo o mangiavamo tutti insieme seduti in cerchio, delle attività.
Lunghi giorni e piacevoli notti
E' sempre molto difficile per me descrivere questo genere di esperienze, perché ogni dettaglio mi sembra essenziale e perché come chi ha viaggiato sa bene, il tempo si dilata. Non sono stati 10 giorni nella natura selvaggia, ma settimane. La percezione si...allarga. Come miele che cola.
I panorami lentamente cambiano. Oggi siamo qua. Ieri eravamo là in fondo. Come è possibile?
Lorenzo indica col dito o più spesso col bastoncino da trekking il passo che abbiamo superato ieri, l'altro ieri. Questa forcella, quel ghiacciaio. Cielo... i ghiacciai! Serpenti grigio-azzurri a nord, a ovest, in ogni direzione. Lì il Bernina, là la Presanella. Laggiù il Wildspitze. Noi camminiamo, ci superiamo a vicenda quando qualcuno ha più energia, a volte rallentiamo quando uno di noi deve mandare un fax ( il termine coniato per indicare il doversi appartare per andare in bagno) e quando succede colgo quei brevi momenti per riprendere fiato, stringere le cinghie dello zaino togliere un sasso dalla scarpa, e poi, se avanza tempo, guardarmi intorno meravigliato.
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il punto tenda del primo giorno. |
Tutto intorno è vento, laghetti alpini, animaletti ed erbe che si sono fatte dure per resistere alle condizioni inclementi dell'alta montagna. Se ti siedi spesso pungono. Ma siamo tutti in pantaloncini, scarpe da trail running, un approccio minimale e veloce. Personalmente mi piace perchè mi fa più vicino alla terra. Il freddo sulla pelle, la rugiada al mattino strusciando contro l'erba, il terreno.
I primi 5 giorni
Durante i primi giorni il percorso era stato pianificato minuziosamente dalla guida in modo che fosse una sorta di preparazione ai giorni seguenti, più tecnici, con maggiori dislivelli e passando il tempo a quote più alte. Infatti il problema principali all'inizio è stato il caldo, che anche sopra i 2000 metri si faceva sentire, e per non impiastricciarci di crema solare tendevamo a proteggere la pelle con vestiti che offrono un alto valore UPF.
Questo permette, oltre a non farci diventare delle lumache unte e sudate, di potersi lavare nei torrenti senza inquinarli della crema spalmata sulla pelle. Questo accorgimento, come molti altri (anche il sotterrare la propria cacca facendo un buco con una paletta da ricoprire quando finito) fa parte di di alcuni princìpi importanti da usare in natura, soprattutto ad alte quote dove la decomposizione della materia organica è lenta se non quasi assente. Sono i princìpi del "leave no trace" e servono a permettere a tutti di vivere e godere dell' ambiente che si attraversa lasciando la minore traccia possibile. Fame
Normalmente mangio molto poco, pur consumando una quantità abbastanza alta di calorie, grazie all'allenamento. Questo negli anni mi ha permesso di non concentrarmi troppo sulla dieta, pur mangiando obiettivamente male. E tendo a mangiare ancora meno quando sono sotto sforzo. Così nei primi giorni avevo poco appetito e dovevo quasi impormi di prepararmi qualcosa a colazione o a cena. Pur consumando 4 o 5000 calorie al giorno, camminando tutto il giorno. Ma poi è avvenuta la mostruosa trasformazione!
Verso il quarto giorno ho iniziato ad avere finalmente fame. Una fame implacabile, rispetto ai miei standard. Pranzavo, mi sentivo pieno e dopo pochi minuti avevo di nuovo fame e sentivo lo stomaco vuoto. Mai successo prima. Ho evidentemente dato uno schiaffo al mio metabolismo facendolo svegliare dopo tanti anni di dieta sempre uguale. E' stata una sensazione strana e piacevole. Ma insieme a quella il pensiero del cibo ha iniziato ad accompagnarmi più insistente del solito, durante la giornata. Ho raggiunto l'apice di queste nuove sensazioni quando, al sesto giorno, siamo scesi nell'unico paese incontrato per poter fare il food resupply, il rifornimento di cibo. E nell'unico minimarket del paesino ho iniziato a vagare smarrito tra i pochi scaffali senza sapere cosa prendere, quanto prenderne, immaginando il potere calorico del cibo che mi serviva, il fatto che non avrebbe dovuto annoiarmi per i prossimi 5 giorni e che non avrei dovuto farmi guidare solo dalla golosità del momento. Tutte sensazioni che ho cercato subito di contemplare come uno spettatore, come faccio quando medito. Osservavo me stesso e queste voglie, questa ansia con vaga curiosità. Ho comprato quella che mi sembrava una montagna di cibo, guardando poi lo zaino già quasi pieno e cercando di immaginare come avrei potuto farcelo stare tutto. Stessa cosa per tutti gli altri. Eravamo alla fermata di un bus, seduti per terra o sulle panchine a spacchettare tutto e a rimpacchetarlo nei sacchetti ziploc per fargli occupare meno spazio mentre famiglie di turisti ben vestiti e profumati ci guardava di traverso, con le mamme che tenevano ben stretti per mano i propri bambini, non fosse mai che quei tizi strani e puzzolenti se li portassero via.
Ferite casuali, letti che profumano di menta e caffè
Durante la sera, al secondo punto tenda, mi stavo togliendo i vestiti per andare a lavarli nel torrente li vicino. Solo pochi metri dividevano la mia tenda dal letto del rio e perché non farli scalzo? Era un piacevole prato punteggiato da sassi ruvidi. Al secondo passo ho sfiorato un sasso col piede e una fettina di mignolo del piede sinistro è letteralmente volato via. Così. inspiegabilmente. Più che il dolore e il sangue è stata la sorpresa. Come se quel sasso fosse stato un opinel nuovo di fabbrica e il mio piede un salamino. Non un grosso problema, ma per altri 4 giorni ho dovuto tenere sempre un cerotto sul dito che sbatacchiava nella scarpa ad ogni passo ricordandomi di imparare a camminare con più prudenza in futuro.
Ogni giorno abbiamo percorso dai 15 ai 18 km, fermandoci, quando il meteo lo permetteva, in boschi di larici pieni di lichene.
o in meravigliose valli brulle. Che gli altri sentivano ostili e io più ospitali della mia stessa casa.
Le mie notti di sonno migliori le ho fatte proprio in queste lande desolate. Tornando ad avere pochi, semplici bisogni. Cibo, Acqua, Riposo, Calore. Mi fermo su quelli che sembrano solo dettagli proprio perchè nella nostra vita quotidiana queste cose sono scontate, mentre dal secondo o terzo giorno si inizia a capire che sono TUTTO. A casa apriamo il rubinetto e abbiamo acqua pulita infinita, in bagno carta igienica infinta e acqua per il bidet. Apriamo il frigo e il nostro problema è cosa mangiare, non SE mangiare. Questa è la bastevolezza. Apprezzare l'essenziale. La notte del secondo giorno, sotto il Mandelsplitz, mi sono ritrovato stupidamente a sorridere nel buio mentre mi lavavo il sedere con dell'acqua gelida, in un torrente, sotto una stellata assurda. Gli altri dormivano. Io mi sono sentito completo laddove un altro si sarebbe sentito miserabile.
Fino quando al tramonto del quarto giorno abbiamo deciso di fare una pausa caffè in una malga e li io ho deciso di meritarmi una doccia calda e un letto, cosa che una volta non avrei mai fatto, tutto rivestito del mio codice morale farlocco che mi avrebbe fatto sentire in colpa. Peccato che ormai mi ero abituato a dormire per terra e ho dormito pochissimo, pur essendo il letto morbidissimo e con le lenzuola che profumavano addirittura di menta. Il sogno di chiunque. Eravamo a 2100 metri e anche gli altri hanno in realtà dormito male quella notte nelle loro tende fuori dalla malga. Troppo caldo.
La mattina successiva ci siamo alzati alle 4 e 30 perchè per la tarda mattinata davano pioggia e volevamo sfuggirle. Quindi abbiamo fatto una rapida colazione alla luce delle torce frontali e abbiamo affrontato immediatamente la ripida salita al passo che ci avrebbe fatto scavalcare il passo Palù a 2400 e poi avanti e sempre più in alto, fino ad un passo senza nome a 2900 mt che ci ha dato il benvenuto nella bellissima val di Rabbi con vista sulla val d'Ultimo.
Certe mattine, come quella, le gambe erano pesanti. Di legno. Maledetti macigni, motori ingolfati che non vogliono saperne di partire. Non è sempre tutto poesia e contemplazione. Spesso le gambe fanno davvero male, i muscoli trapezi cercano di combattere il peso dello zaino che tira giù le spalle rimanendo dolorosamente contratti per ore. Le piante dei piedi dolgono per tutti i km ma anche perchè le mie scarpe erano alla fine della loro vita, stanche e bisognose anch'esse di riposo. In altri momenti si andava forte e i piedi volevano in quelle valli silensiose. Luoghi impervi. Si entrava e si usciva dalle nuvole. Si raccoglie acqua, si mangia una barretta camminando. Il mio grande dispiacere per tutto questo trekking è stato non avere il tempo di fermarmi a contemplare. Ma capivo che c'era una tabella di marcia da rispettare, essendo in gruppo. Si faceva giorno e ho osservato il sole sorgere su Cima Sternai 3443 metri. Una piramide di roccia di varie sfumature di rossi che la facevano sembrare un pò il Vinicunca, la montagna arcobaleno peruviana. Ossido di ferro, manganese, granito.
Poi abbiamo pranzato in un rifugio e appena abbiamo finito si è messo a piovere. siamo rimasti fuori ad ascoltare la pioggia sotto una tettoia mentre tutti si riparavano all'interno. Nello stretto spazio asciutto mi sono steso e ho dormito per qualche minuto, col braccio piegato a far da cuscino.
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Cima Sternai. |
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una della valli del mio cuore, dove non mi sono potuto fermare quanto desideravo. |
Tutti gli altri giorni. Le alte quote.
Camminando a volte si chiacchierava, altre si creava un silenzio spontaneo. In quei momenti eravamo 7 uomini che camminavano in fila su questo stretto nastro di sentiero costeggiando montagne nate nel Mesozoico. Ognuno con le proprie speranze e con i propri demoni interiori. Quelli erano i miei momenti preferiti. Guardavo dove mettevo i piedi, ma anche i piedi di chi era davanti a me e armonizzavo il mio ritmo col suo, come un mantra. A volte ero io davanti, e si era tutti un'unica cosa camminante. Le sere di quei giorni ho proposto piccole introduzioni alla meditazione. Brevi periodi di raccoglimento seduti in silenzio, per far sentire a tutti il senso dell'essere nel presente senza fare altro. Un'altra sera ho sfruttato la valle dove avevamo messo le tende per invitare tutti a coltivare la presenza introducendo lo stone balancing. Un pomeriggio camminavamo su un pianoro accanto a un torrente che gorgogliava allegro. Li ho raccontato loro dei 3 Segni dell' esistenza ( le tre caratteristiche che condivide ogni cosa della nostra realtà, secondo il Buddhismo. In cambio ho imparato anche io qualcosa. Per esempio che sapore ha l'Acetosella, o che sensazione sa regalare il filo elettrificato delle recinzioni dei bovini.
Ho riflettuto molto sull'acqua, in quei giorni. Ne avevamo molta intorno a volte, altre era assente.
Col tempo si ri-impara ad apprezzare un bene come l'acqua, nulla è regalato. Nulla, accendendo un interruttore o aprendo un rubinetto.
E' preziosa la possibilità di raccogliere l'acqua dei torrenti ( è necessario cercare dell'acqua pulita e lontana da deiezioni animali, sedimenti o inquinanti).
Ognuno raccoglie la propria, la filtra, la beve o la usa per lavarsi o per cucinare. Per lavare le proprie stoviglie, i denti, i calzini da usare il giorno dopo. Far bollire dell'acqua per una tisana, per farsi una minestra. Al quinto giorno era anche troppa.
Ha piovuto tutto il giorno e ne abbiamo approfittato per riposare in un piccolo bivacchino dove abbiamo solo riposato, chiacchierato, mangiato e dormito. Una sofferenza per chi non è abituato a stare fermo.
Io ho meditato per quasi tutto il pomeriggio osservando da sotto la tettoia le gocce di pioggia raccogliersi sotto le travi di legno e cadermi vicino. Ho messo il pentolino vuoto sotto di esse e così ho avuto anche la musica. Per tutto il giorno nuvole nebbia mostravano o nascondevano la catena di montagne di fronte a noi. Ho condiviso una delle sessioni di meditazione con Lorenzo e Luca, che non era mai stato seduto per 15 minuti. Alla fine abbiamo parlato delle nostre reciproche sensazioni.
Il giorno dopo siamo ripartiti che era ancora buio, sotto la pioggia. Su fino al passo Cercen, con lo zaino pesante di cibo. Abbiamo percorso diversi km in un bellissimo Lariceto ed eravamo già all' interno del parco Nazionale dello Stelvio. Sono rimasto indietro apposta quella mattina (nei giorni seguenti lo avrei fatto sempre di più), per sentirmi un pò solo e per godere del lichene peloso sui rami dei larici, che da me non esiste. Ogni tanto attingevo potenza dalla bottiglietta riempita di caffè di due giorni prima. Sotto, il prato umido e morbido. Animali che ci osservavano. Ero così felice di essere arrivato fino a là senza dolori. Merito anche delle sessioni di stretching che mi sono imposto di fare ogni sera, per quanto fossi stanco.
Dal settimo giorno abbiamo iniziato a salire sul serio. Valli davvero impervie, senza neanche più le indicazioni dei sentieri. Sopra i 2700 metri abbiamo notato il colore dell'acqua del torrente cambiare e Lorenzo ci ha detto di caricarci di tutta l'acqua di cui avremmo avuto bisogno per quel giorno, almeno 2 litri e mezzo ciascuno.
Risalendolo il torrente si è lentamente trasformato in un ruscello in pendenza, poi in cascata e le rocce che bagnava erano biancastre. Strano. Nel frattempo è comparsa sopra di noi una famiglia di stambecchi.
Risalendo ancora siamo arrivati a uno spettacolo surreale e silenzioso. Il laghetto dalla bellezza misteriosa e quasi inquietante.
Un senso di euforia mi ha preso quando per ultimo, in coda alla fila, l'ho visto.
Abbiamo dovuto portarci tutta l'acqua di quel giorno in spalla, perchè quel bel colore significava elementi minerali o metallici disciolti nell'acqua. Meglio non rischiare.
Oltre i 3000
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Il canalone |
Poco dopo abbiamo incontrato una pietraia veramente infame, con sassi grossi come una piccola auto che ballavano. E oltre è iniziato il tratto più tecnico di tutto il trekking. Un canalone largo 2 metri fatto di sfasciumi e ghiaia che franavano. In quell'occasione la maledetta via ferrata fatta con Perez qualche anno fa (che negli ultimi 30 metri era franata e quindi in quell'occasione fummo costretti a fare arrampicata libera) si è rivelata utile, facendomi sembrare quel canalone una passeggiata. Così dopo aver chiesto il permesso alla guida di poter andare avanti me lo sono fatto praticante di corsa, arrampicando agilmente fino in cima mentre gli altri si aiutavano a vicenda per superare i punti critici. Arrivato in cima ho potuto prendermi del tempo. Tempo per rimanere turbato.
In cima al passo, superati i 3100 metri, c'erano reticolati di filo spinato vecchi di 100 anni che dividevano ancora quello che era il territorio austro ungarico da quello italiano. Ho dovuto camminare con attenzione perchè per quanto quasi polverizzato dalla ruggine era ancora pericoloso. Poco più in alto ho trovato il bivacco della grande guerra dove avremmo passato la notte. Qui mi sono aggirato tra i vecchi ruderi, Altro filo spinato, bossoli, ossa. Ossa umane. I segni della prima guerra mondiale qui erano ancora ben visibili. Un tema che mi ha sempre colpito. Ma non ne avevo ancora visto resti così numerosi come qua. E così in alto. Che genere di vita devono aver vissuto i soldati, qui, abbarbicati a oltre 3000 metri con un cappotto di lana e poco altro? Magari in inverno, con metri di neve. Aspettando il prossimo assalto notturno o temendo colpi di artiglieria, mentre si stringevano contro i muretti a secco eretti per proteggersi dal vento tagliente? Mi sentivo smarrito e piccolo. Poi gli altri sono arrivati e siamo entrati nel bivacco insieme.
Anche il bivacco era un vecchio riparo della prima guerra mondiale ristrutturato dagli alpini della zona. Ci ha offerto dei letti, una piccola stufa e una scorta di legna asciutta. Ne abbiamo comunque portata un pò da fondo valle per rimpinguare le esigue scorte. Durante il pomeriggio abbiamo riposato e pranzato. A quella quota l'acqua bolle davvero molto prima dei 100 gradi, e il sole picchia in modo aggressivo quando compare tra le nubi. I vestiti messi ad asciugare erano secchi in pochi minuti. Poco dopo il pranzo mi sono seduto in disparte a scrivere sul taccuino i fatti del giorno, il percorso fatto e riflessioni varie. Sotto un sasso ho intravisto un topolino che cercava resti di cibo sotto le panche e gli ho regalato un biscotto.
Nel tardo pomeriggio ho meditato prima da solo poi con Lorenzo e Marco, facendo una sessione più lunga del solito. E' stata la sessione di meditazione in esterna più silenziosa che abbia mai sperimentato. Le rocce taglienti sulle quali eravamo seduti costringevano a rimanere nel presente. Ma essere a quella quota era come essere su un aereo: le nuvole ci passavano vicino, oscuravano o poi mostravano il sole e le montagne intorno, i ghiacciai lontani e le valli molto più in basso.
La notte grazie ai tappi che uso per dormire non ho sentito nè il vento che fischiava tra le assi di legno piegate dal tempo nè la pioggia che cadeva. Mi sono immaginato la straordinaria stellata che avrei potuto ammirare se il cielo fosse stato sereno. Una mattina gelida e ventosa ci ha accolti e siamo riusciti a vedere sprazzi di alba tra le nuvole.
Poi è iniziata la lunga e dolce discesa verso il Passo Gavia entrando in Lombardia. Ottavo, nono giorno. Li ricordo perchè da quel momento la compagnia ha iniziato a pesarmi e il bisogno di stare per conto mio ha iniziato a farsi prepotente. Quel pomeriggio, scendendo da una ripida pietraia il ginocchio ha iniziato a farmi male, ho preso un paio di mini distorsioni dovute alla stanchezza e alla fretta. Tutti correvano. Perchè? Non capivo più quella fretta, quel rotolare giù come sassi, come fosse una gara. C'era così tanta bellezza intorno da vivere, da vedere, dalla quale farsi commuovere...
Vedevo rosso.
La rabbia mi aveva colto e per una buona ora sono rimasto in silenzio e furioso con loro per questo modo di fare e con me stesso per il mio arrabbiarmi in un luogo tanto bello. Quando siamo arrivati al punto tenda di quel giorno, nei pressi di un bivacco chiuso, ho immediatamente agito appena gli altri si sono allontanati per lavarsi in un torrente. Ho cominciato a respirare, lavandomi a mia volta con una bottiglia d'acqua presa da una fonte. Gelida. Mi sono asciugato con lentezza deliberata, poi mi sono vestito ancora più lentamente. Con gesti lenti e misurati ho camminato fino al mio zaino per prendere i vestiti puliti. Pochi altri passi per tornare alla fonte e ho lavato i vestiti sporchi come se fosse l'ultima azione che avrei potuto compiere in questa vita. Agire così è per me esattamente come meditare immobile seduto a gambe incrociate o lavare i piatti: un antidoto al veleno per il cuore che è la rabbia. Una vecchia amica dalla quale sto lavorando per allontanarmi. Ha funzionato. In meno di un'ora la mente era pacificata. I ragazzi sono poi tornati e abbiamo cenato insieme e ho guidato una lunga sessione di stretching, mentre il sole tramontava dietro le cime. Era il penultimo giorno, quasi la fine del viaggio. E la rabbia non aveva vinto.
La mattina dopo abbiamo affrontato gli ultimi passi in un continuo saliscendi immersi nella nebbia. Io per tutta quella mattina sono rimasto un pò indietro quel tanto che bastava perdere di vista i ragazzi davanti a me nelle nuvole, ma non tanto da ricomparire ai loro occhi se, preoccupati, si fossero fermati. Per alcuni km il sentiero costeggiava un ripido versante con alcuni piccoli tratti franati, e in caso di caduta nessuno avrebbe potuto fare niente. Tanto valeva almeno non perdersi di vista e rimanere uniti. Ma il bisogno di ascolto era troppo forte, non potevo più ignorarlo. C'era una valle senza nome che ho segnato sulla mappa. Un piccolo pianoro senza nome, banale agli occhi degli altri. Là, con la scusa di dovermi assentare per qualche minuto per "mandare un fax", mi sono seduto mentre gli altri andavano avanti e mi sono preso qualche minuto per imprimermi dentro quelle curve erbose, quei sassi. un paesaggio coì perfetto proprio perchè asimmetrico, naturale, non artificiale. Senza segni umani a parte il nastro del sentiero.
Quella bellezza era esattamente Wabi-Sabi.
Alla fine di quel giorno ci siamo accampati al limite di un paese, per poi scendere ancora un pò per regalarci una pizza che ci è stata consegnata direttamente nell'ultimo posto tenda di questo viaggio... nel campo da calcio di un paesino. Terreno morbido e pianeggiante. Quella notte ho dormito poco, agitato da strani sogni tristi e romantici. Però stavo bene. Ero arrivato a macinare tappe da 24 km con 1600 mt di dislivello. Le gambe si stavano abituando.
La mattina dopo ci siamo incamminati con la consapevolezza di puzzare come delle carogne e di dover smontare le tende per l'ultima volta. Pochi km dopo eravamo nel paese. Ho imparato tanto su di me in questo breve e lungo viaggio, così intenso per noi. Mentre al di fuori il mondo viveva dieci normalissimi giorni per noi il tempo era dilatato. Abbiamo tratto lezioni da ogni particolare che Lorenzo ci ha insegnato sull'acqua, sui cibi da portare, su come comportarsi con vipere e altri animali, su come trattare le vesciche, come camminare meglio. Questo mentre facevamo gli ultimi kilometri su un sentiero dolce che scendeva verso il paese finale. Infine strade asfaltate, rumore, smog. Nella grande ragnatela di binari che segnano il nord Italia ognuno ha preso la sua strada per tornare a casa, portandosi dentro la propria lezione.
Mi mancano già le montagne.