Islanda. Come suona uscito da un romanzo di Jules Verne questo nome. Ha sempre evocato un luogo così lontano e selvatico che forse per anni ha rappresentato per me l'idea stessa di natura primordiale, non toccata dalla mano dell'uomo. Volevo andarci da tempo, ma per diverse ragioni prima non sarebbe stato il caso. Volevo assaporare la durezza di una terra leggendaria ma anche sentire gli odori i sapori e i colori di chi in quell'isola ci vive. Quindi il piano prevedeva un paio di giorni a Reykjavìk, poi un trekking in completa autonomia, il Laugavegur trail e poi il Fimmvorduhals, della durata di circa 5 o 6 giorni in solitudine e in autonomia di cibo, per poi i giorni restanti stare di nuovo a Reykjavìk per riposare e viverne la cultura, prima di tornare a casa.
Il mio viaggio è iniziato con 6 ore di ritardo dall'aeroporto di Malpensa. Caldo, attesa, lamentele. Ma poi volando sono stato ricambiato del disagio con 4 ore di crepuscolo costante. Questo viaggio è stato costellato di cose tolte e date, per chi le sa vedere.
Sono arrivato all'una di notte, con un cielo che prometteva di li a poco un'alba che in realtà non arriva fino alle 4. Dei due giorni a Reykjavìk che avrei voluto usare per ambientarmi e per noleggiare l'attrezzatura che non potevo portare in aereo me ne è rimasto solo uno, prima di partire per il trekking. Già durante il trasferimento dall'aeroporto alla città ho avuto un assaggio del meteo islandese: da cielo terso a pioggia nel raggio di 50 metri, letteralmente. Una doccia rapida in ostello e a letto.
Il giorno dopo ho girato un pò per la città lasciandomi guidare dalla psicogeografia, con un sole gentile e 14 gradevolissimi gradi. Le temperature estive islandesi sono una delle cose che mi mancherà di più. Reykjavik è una città relativamente piccola, con 120'000 abitanti, ma molto viva e attiva. Di questo ne parlerò più avanti, avendo vissuto meglio il carattere della città tornato dal trekking, quando forse ero anche più ricettivo. Intanto però posso dire che oltre a essere estremamente costosa ( l'Islanda è in assoluto il paese europeo più caro) questa città ha saputo regalare guardando oltre le solite mete turistiche (la via dello shopping e dei negozietti turistici e dei monumenti) molti angoli di inaspettata bellezza semi nascosti tra le piccole casette con giardino dei vicoli. E' lì che ho trovato le cose che mi hanno emozionato di più.
Però vedere anche il monumento a Leifr Eriksson di fronte alla chiesa di Hallgrimskirkja mi ha colpito. Specialmente dopo aver finito di vedere Vinland Saga pochi giorni prima della partenza.
il Sun Voyager, la nave dei sogni e della speranza mentre brilla nel sole, si affaccia sull'oceano. |
Il cielo è mutevole, e così il colore del tratto di oceano che vedo nella baia della città muta colore e riflessi fino alle montagne in fondo. Il primo giorno è solo di passeggiate ed esplorazioni casuali.
Qui la terra è nerissima. Sembra carbone sbriciolato, che contrasta ancora di più col bianco della neve e il verde del muschio e il blu del cielo. Ci sono pochi colori, ma tutti molto intensi. E' pace per gli occhi. Poi è iniziata la distesa di pezzi di ossidiana rotti, come vetri neri lucidi. Alcuni splendevano al sole. Il mio zaino pesa troppo comunque, sto iniziando a pensarci, dopo una ventina di km . Qui in mezzo all'ossidiana trovo il cumulo di sassi dedicato a Ido Keinan, un giovane escursionista che qui trovò la morte nella tormenta a solo un km dal rifugio di Hrafntinnusker. Mi ci sono fermato un attimo in contemplazione e ho continuato il mio cammino.
Arrivato nei dintorni della hut sono andato dalla custode (che per qualche motivo sono solo giovani donne) ho pagato la mia quota e le ho chiesto facendo il massimo degli occhioni se potessi caricare il telefono.
In Islanda normalmente è vietato il campeggio libero. Bisogna quindi campeggiare (se si vuole farlo in tenda si paga circa 20 euro, 100 per dormire in rifugio) intorno alle casette che formano il rifugio vero e proprio e i piccoli edifici adibiti a bagni e a ristorante. Ho piazzato come prima cosa la tenda picchettandola con tutti i sassi a disposizione e sono andato a fare la coda per doccia. Si, a volte ci sono le docce. Con 500 corone (4 euro) si hanno 5 minuti di acqua calda a disposizione. le 500 kr meglio spese di tutto questo viaggio. Faceva freddo e il vento tirava. Non come durante la notte e la mattina dopo, ma tirava. Mentre mi preparavo della polenta col mio misero fornellino riparandomi dietro una palizzata un signore del rifugio mi è passato davanti con in mano un pentolone di zuppa avanzata e me ne ha caritatevolmente regalato una mestolata. Ho amato quell'uomo e quella mestolata di zuppa calda. Il sentiero toglie e il sentiero da.
Comunque ero così stanco che non mi sono neanche spinto a fare 2 passi fino al lago, ho cercato dopo la doccia di fare un pò di stretching in tenda e sono crollato.
La notte è stata molto agitata, con raffiche fortissime di vento. Sono comunque riuscito a dormire qualche ora, nonostante la tenda schioccasse come vele di una nave nella burrasca. Alle 3 e mezza di mattina ero già sveglio. Non per luce, che comunque lì non manca, per la pioggia e il vento fortissimo che mi faceva temere che volasse tutto via, me compreso.
Poco dopo infatti il picchetto che sosteneva la maggior parte della tensione della tenda controvento è schizzato via facendo crollare e gonfiare mezza tenda. Sono scito al volo in mutande per sistemarla come potevo fino al primo momento buono per sbaraccare. Alle 6 durante una breve pausa dalla pioggia, ho smontato tutto velocemente. Ho cercato di farmi un caffè e sono ripartito. Pioggia per le prime ore della mattina e vento forte, ma sono stao fortunato, tutto sommato. Ha piovuto solo quella mattina, mentre camminavo. L'idea era di fare 19 km fino a Emstrur, ma anche stavolta non sono stato capace di ascoltare la voce della saggezza. Durante la mattina ho affrontato il primo guado serio del viaggio. Un fiume basso e largo che mi arrivava poco sopra alle ginocchia, ma che sembrava non finisse mai, tanto era il dolore alle gambe per l'acqua fredda.
Appena superato si rimettono calze e scarpe e qui è iniziata la sezione per me più bella ed epica di tutto il trekking. Il deserto calmo. Da non confondersi col deserto marziano incazzato nero che avrei trovato più avanti.
Un'enorme pianura nera circondata da montagne verdi di muschio. Una pianura spettrale e bellissima, che nei primi km era ammantata di nebbia e che poco dopo si sarebbe aperta rivelandone ancora di più la bellezza. Le foto non rendono giustizia nè della sensazione di epicità che dava l' attraversarla da soli nè della sua bellezza essenziale. Quasi Zen.
Camminando in solitudine in questa landa di una spettrale ho avuto modo di riflettere. Molti sapendo cosa sarei andato a fare mi hanno detto che avrebbero paura a viaggiare da soli, come a passare notti nel bosco o esplorando in solitudine. Io viaggio solo perchè credo che in ognuno di noi ci sia un deserto. Molti non vogliono neanche vederlo, figuriamoci attraversarlo. E' uno spazio che disorienta per la sua estensione. Si può provare a riempirlo con gli oggetti, con i status simbol, con le proprie paure. Con le distrazioni.
Oppure si può scegliere di entrarci e ci si può perdere, forse trovando sè stessi. Questo è quello che cerco di fare. A volte è doloroso e fa sentire soli (nell'accezione di soli al mondo, soli spiritualmente, non di soli in un luogo) come poco altro. A volte è bellissimo perchè regala un grande senso di libertà, è una di quelle cose che da senso alla nostra vita. Stiamo facendo quella cosa perchè abbiamo scelto deliberatamente di farla. Non ci hanno portati a farlo. Non ci hanno condotto delle circostanze. Lo abbiamo scelto noi. E poi tra i simboli Jungiani il deserto è luogo di trasformazione. Nulla se non noi stessi. Nulla da costruire e con cui distrarci. Questa sezione del percorso è quella che ho amato di più, con la sua...quiddità. Un vuoto stupendo, e tutto per me.
L'altopiano dopo diverse ore finisce, in tutto una ventina di km. Sono arrivato a Emstrur per un'altra veloce pausa pranzo, ma non avevo praticamente fame. Mi sono fermato, essendo uscito il sole, solo per far asciugare tenda e quilt e vestiti, prima di ripartire. Perchè non fermarsi qui? C'e' spazio per le tende, ci sono i bagni, la vista è quanto di più bello potrei desiderare. Ma una voce mi chiama, mi dice...anzi mi impone di continuare a camminare, ed io non posso far altro che ascoltarla. Però sto lentamente imparando. Vado già più piano di una volta. Quando avrò ammansito questa ansia dell'andare diventerò il viaggiatore illuminato, liberato del tutto dalla smania del vedere tutto e subito. Di quella smania del turista di fare, pur di riempire quel vuoto . Il viaggiatore arriva e si fa ispirare. E io sentivo di voler ancora camminare, quindi penso di essere sulla buona strada, ma non sono ancora arrivato.
comunque a fine giornata, prima di arrivare a Thormsork ho dovuto affrontare il guado più pericoloso di tutto il viaggio, di cui non ho fatto foto, troppo preoccupato a sopravvivere. Sono arrivato d fondo valle, dove il fiume si allarga e si calma, dopo il suo corso turbolento tra le montagne. Pensavo che avrei trovato un torrente pigro, largo e basso, come quello della mattina, essendo praticante in piano. Invece il ghiaccio in fase di scioglimento ha gonfiato il fiume e ne ha fatto scavare i vari corsi, che si incrociavano e si dividevano. Ho cercato per diversi minuti un pò più a monte e un pò più a valle un tratto che sembrasse più tranquillo. Niente da fare. Ho cercato di sondarne in vari punti la profondità coi bastoncini. andavano proprio giù.
Va bene. Ho sigillato lo zaino, messo via telefono e cose importanti, tolto tutto fino ai pantaloncini e ho deciso per un punto x in cui attraversare. Avevo una preparazione solo teorica di cose si guada un fiume pericoloso. Poco ma meglio di niente. Bisogna fare piccoli passi, andando leggermente di traverso contro corrente, per non subire tutta la forza in maniera perpendicolare. E io sono basso, oltra a non saper quasi nuotare.
Ottimo.
un passo alla volta sono entrato nella corrente. Dopo il primo passo che arrivava alle ginocchia il secondo è affondato immediatamente nel fondo sassoso fino ai fianchi. Il freddo mi ha spezzato per un attimo il piano ma ne sono subito dimenticato, quando ho sentito la forza della corrente che cercava di trascinarmi via. Con i bastoncini ad aiutarmi però era come avere 4 gambe. Quindi passi piccoli fino al centro del fiume. piccoli e controllati. E fare il prossimo solo quando ci si sente stabili.
Proprio mentre camminavo nel centro del letto del fiume ho sentito la stessa sensazione di quando si fa equilibrio in altezza:
se fossi riuscito a mantenere la calma l'avrei superata senza problemi, un passo alla volta. A un metro dall'altra riva è diventato ancora più profondo, arrivandomi alla pancia, ma la corrente era meno forte. Ancora qualche passo e mi sono arrampicato sull'altra riva. Andata. Mi sono guardato indietro. Non pensavo a nulla. Ho rimesso calze e scarpe e ho ripreso il cammino. Li è iniziata l'ultima collina da scavalacare prima di Thorsmork, dove mi sarei fermato. E sorpresa... camminando su per la collina incontro degli alberi. Piccole betulle e ontani tutti storti per il vento. Ma pur sempre alberi. E' stato strano rivedere tutto quel verde dopo giorni di terreno spoglio. E soprattutto sentire il suono del vento tra le foglie. Mi sono fermato qualche volte a goderne. In cima alla collina le mi gambe hanno detto basta, ma dovevo ancora scendere. L'ultimo km l'ho fatto zoppicando. Infine sono arrivato al campeggio di Thorsmork, che segna la fine del Laugavegur trail. 55 km in due giorni. Se ne avessi messi 3 o 4 sarebbe stato molto meglio. Una lezione per il futuro. Non contento, arrivato a Thorsmork ho scoperto esserci un altro campeggio, dall'altra parte della valle, che mi avrebbe fatto risparmiare 2 km nella tappa di domani. E che fai non vai? Così, mezzo morto ho attraversato un altro ramo del fiume, stavolta però usando i ponti mobili presenti sul percorso (si, ponti con le ruote) fino all'altra riva, dove una strada sterrata porta all'inizio del Fimmvorduhals, il sentiero col maggiore dislivello che mi farà superare il passo che si inerpica tra due ghiacciai per giungere fino all'oceano.
Infine, al tramonto, arrivo a Basar, un bel campeggio immerso nel bosco, dove gli edifici sono perfettamente integrati e nascosti, con morbide chiazze d'erba in piano dove i picchetti della tenda penetrano in maniera quasi oscena. Ho camminato dalle 7 di mattina alle 9 di sera. Mi sento stupido ad averlo fatto. Lo ripeto per me stesso, in maniera da poter rileggere questo post fra qualche anno per vedere se nel frattempo ho imparato la lezione. Nessuno mi correva dietro, mannaggia a me. Comunque come sempre la prima cosa è stata piazzare la tenda, poi ho mangiato con i simpatici ragazzi americani che ho conosciuto lungo il sentiero e che a volte ho ritrovato ed ero così stanco a fine giornata o in mezzo al percorso. Shawn, Frank e Kathy. Ero così stanco che ricordo di non essermi neanche fatto la doccia, cosa incredibile, per me che è essenziale andare a dormire con la sensazione di essere pulito. Con uno sforzo di volontà mi sono imposto di fare stretching perchè le ginocchia urlavano e sono morto nel sacco a pelo.
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