sabato 9 agosto 2025

Translagorai, la mia sfida alla lentezza.

 Sono tornato ieri da un'esperienza intensa, anche se breve, rispetto ad altri trekking o viaggi. E ho aspettato alcuni anni prima di compiere questo trekking perchè aveva fama di essere duro, rischioso e solitario. Quest'anno, forte dell'esperienza del thrualps dell'anno scorso, del Laugavegur in Islanda di due anni fa e di altri trekking e test fatti nei mesi precedenti, mi sono sentito pronto per questo. 

La Translagorai è un' alta via lunga 80 km con circa 5000 m di dislivello positivo che inizia da Panarotta, sopra il comune di Levico Terme fino al Passo Rolle, a ridosso delle bellissime Pale di San Martino, sviluppandosi da sud-ovest a Nord est. A differenza delle aree dolomitiche circostanti, il Lagorai ha pochissima pressione antropica.  Sono presenti malghe, qualche  rifugio e alcuni bivacchi. I protagonisti sono i giganti di porfido, duro e inospitale, trincee e baraccamenti della prima guerra mondiale e molto silenzio. La mia intenzione era ambiziosa: non solo completare un trekking in solitudine e in autonomia( senza quindi appoggiarmi a nessun rifugio) , ma anche e soprattutto compierlo con lentezza, coltivando la presenza mentale, l'essere qui e ora in ogni momento possibile e  il farlo lentamente. Di solito, per la passione che mi prende quando cammino in montagna, inizio a un certo punto ad andare di fretta. Un pò per stanchezza, un pò per una sorta di spinta ad andare avanti ancora e ancora, forse proveniente dall'abitudine col parkour, oppure una sorta di volontà di fuga dal disagio accumulato nei giorni precedenti. Non so e non è importante. Quello che contava stavolta era evitare questa fretta, per non pentirmi, una volta tornato a casa, di non aver vissuto pienamente l'esperienza, come accadde in Islanda.

Una volta presa la decisione di farlo è iniziata la pianificazione. Normalmente tendo a organizzare le cose in modo un pò superficiale e lasciare il resto all'avventura, ma in questo caso avrebbe potuto significare finire il cibo, soffrire il freddo o il caldo, non avere acqua. In sostanza fallirlo. Quindi dopo aver letto qualche resoconto di chi lo aveva già fatto o fallito ho chiesto al buon Lorenzo, la cui casa e palestra è proprio il Lagorai, di darmi tutte le dritte possibili. E' stato molto paziente con questo stalker sempre combattuto tra il voler essere forte e il voler essere ultraleggero. Mi ha dato informazioni sul percorso, sui punti tenda e acqua, sulle criticità del percorso e sulle varianti alte e basse che avrei potuto imboccare in caso di necessità o bisogni ( spiegherò più avanti). 

Il secondo grande punto è che in questo periodo Subhuti, il mio amico e coinquilino gatto non sta bene, e un gran peso nel cuore mi ha accompagnato nei primi due giorni di viaggio. Ogni passo era più pesante, la mente vagava e tornava spesso a lui e alla gentile amica che se ne è occupata in  quei giorni e che era in sbattimento perchè Subhuti purtroppo bullizza gli altri gatti di casa. 

 Il terzo punto era la logistica. La Translagorai ( da ora TL) inizia sopra un paesino, che sta sotto un paese, che sta lontano da una città, Trento. E finisce in un paesino di montagna  poco servito dai mezzi.  Ed io odio pianificare la logistica di partenza e arrivo. Io voglio avere lo zaino pronto e teletrasportarmi da casa all'inizio del sentiero. Fine. Ma questo non è possibile, quindi mi sono segnato mezzi, orari, parcheggi, coincidenze e cambi. Tutti fattori che rompono le balle e che accumulandosi rischiano di rovinare tutto, soprattutto coincidenze di treni e bus. Così ho deciso di andare in auto fino a Trento. Più comodo del treno, per tempi e orari. Ma tutto ha un prezzo e lasciare lì l'auto significa necessariamente doverci tornare a fine trekking. Tutto ciò come scoprirai non sarà un problema alla fine. 

Ultimo punto: equipaggiamento e zaino. Il punto più divertente per me che sono un nerd dell'attrezzatura da hiking. In sostanza si può ridurre tutto a un'equazione: avere lo zaino più leggero possibile ma avere tutto il necessario, compreso il cibo per 5 giorni. Se lo zaino pesa tanto ogni cosa diventa più faticosa, le ginocchia si infiammano, l'esperienza diventa più miserabile e rabbiosa. Se lo zaino è troppo leggero rischio di soffrire il freddo e il caldo, la fame o la sete, o di non dormire. Quindi di dover rinunciare prima della fine.  Sta tutto lì. Trovare l'equilibrio. Senza fare una lista completa del mio materiale (che è personale e potrebbe non andare bene a tutti)  alla fine ho trovato una quadra tra le necessità personali e quelle date dalla natura del percorso. Considerando la completa autonomia elettrica, alimentare, di acqua e una attenta scelta di vestiti e materiale ecc.. il mio zaino alla partenza pesava  circa 5 kg. Che diventano 10 col cibo per 5 giorni e circa 11 o 12 in base a quanta acqua avevo. 13 nelle sezioni con meno acqua.

Giorno 1

Dopo una notte insonne (negli ultimi anni ho il sonno sempre più leggero e incostante) sono partito alle 3:30 di mattina da Varese direzione Trento. Lasciata l'auto in un parcheggio gratuito ho camminato fino alla stazione da dove ho preso un bus per Levico Terme e da lì la navetta per la Panarotta. Alle 11 ho iniziato a camminare e lo zaino carico si è fatto sentire. Ma il sentiero all'inizio era scorrevole, poi il panorama superava le mie aspettative. Mano a mano che la giornata andava avanti però la mancanza di sonno ha iniziato a farsi sentire e così i dislivelli. Un pò di nausea e qualche calo di pressione che mi faceva vedere coriandoli neri, mentre salivo in quota e scendevo dalle pietraie, cercando  comunque di rimanere presente. Rimanere presente significa anche questo. Iniziare ad accettare la fatica, il disagio, come parte della vita e come una cosa a suo modo da assaporare. Come si apprezza un sapore nuovo assaggiando cibi esotici non ci si sottrae dall'amaro o dall' aspro che questa vita ci offre. A ogni passo fatto accetto quello che offre il menù. Avevo come sfida la presenza mentale anche perchè volevo completare tutto il trekking senza mai prendere una storta ( cosa che invece di solito mi capita, quando sono stanco o di fretta su terreni insidiosi). Questo è possibile, ma richiede uno sforzo costante. Come vivere una giornata qualsiasi con tutti gli impegni della vita normale ma prestando costantemente o quasi attenzione al proprio respiro. Alla fine del pomeriggio la situazione è migliorata un pò e  ho percorso 16 km piantando la tenda alla baracca militare dopo il passo Palù. Lunga sessione di stretching e poi doccia e cena. Doccia fatta con una bottiglia, naturalmente. Quella è stata l'unica notte in cui ho dormito quasi bene, alzandomi alle 3 per fare pipì e per vedere le stelle. 






Giorno 2
La mattina sono partito intorno alle 7 e 30 ( dormendo poco ho imparato a sfruttare questo problema per alzarmi molto presto e poter camminare più piano durante il giorno), troppo tardi per godere dell'alba ma abbastanza presto per vivere le prime luci del mattino illuminare le cime e camminare nella pace della solitudine. Già. 
La solitudine.
"Una casa solitaria. Lei non si sente mai solo sergente? "Solo in mezzo alla gente". "Solo in mezzo al gente". -La sottile linea rossa
Una delle esperienza che più ricerco quando faccio trekking lunghi è la ricerca della solitudine. Ma senza l'accezione negativa che anche io gli ho sempre dato e che è uno dei grandi temi della mia vita e di questo blog. La solitudine in montagna è l'apprezzare il potersi guardare intorno per chilometri e chilometri e avere intorno solo cose non toccate e non prodotte dall'uomo, incluso altri uomini. Il sentirsi liberi dal dover tenere aperte conversazioni banali. Libero dai clacson delle auto, dal grigio dell'asfalto che taglia il mondo come sottili nervi- Libero di stare in silenzio senza che sembri un bambino che tiene il broncio per protesta. Nella solitudine sono libero di essere me stesso come non si può pienamente essere quando si interagisce con qualcosa di umano, è inevitabile e normale. Se ti guardi dentro lo vedrai anche tu. Camminando da solo posso seguire linee di pensiero non per minuti, prima che una distrazione lo faccia sfumare in un altro, ma per ore, giorni. Queste linee di pensiero portano a idee che non sarebbero arrivate ( e che non mi arrivano ) stando in casa, per strada in città, o altrove. Posso camminare, posso fermarmi, posso cantare parlare o tacere senza dover spiegare a nessuno. Da solo in un lariceto o in cima un passo a 2500 metri posso affrontare le mie paure con sincerità, paure che ho anche io come tutti naturalmente ( a chi mi chiede come faccio a passare da solo le notti nel bosco rispondo-di nuovo e per forza- con convenzioni).
Qui quella ricerca ha potuto realizzarsi in pieno. Per giorni, imboccando le giuste varianti alte o basse, magari meno battute perché più faticose o più lunghe, ho potuto assaporare il sentirmi solo. Senza il vuoto della pianura islandese, ma con una natura aspra e intagliata dai venti e dall'acqua a guardare questa formichina umana percorrerne i sentieri con uno stupido sorriso stampato. 
La mattina l'orizzonte si era liberato dalle nubi mostrandomi bene le dolomiti del Brenta in tutta la loro maestosità. Sono strane e diverse dalle montagne che conosco, queste dolomiti che vedo. Denti grigi e bianchi all'orizzonte che danno un senso di enormità anche da lontano.  Il carbonato doppio di Calcio  Magnesio che dà quella strana lucentezza. Le montagne delle mie zone mi sembrano quasi spente ora, a guardarle.  Comunque avrei cambiato idea il giorno dopo, quando superando l'ennesima forcella avrei visto per la prima volta La Marmolada, il Civetta e le altre cime delle dolomiti Bellunesi, il Focobon che sembrava qualcosa della Patagonia. 
Dopo aver superato passo Cagnon, Cadin, e molti altri, sono passato dal rifugio Manghen, l'unico in cui sono sono entrato in tutto il percorso dove si trova l'unica strada asfaltata di tutta la TL. Con la scusa di prendere un caffè ho potuto eliminare un pò di spazzatura che avevo. Invece di darmi la carica,  il caffè sembra mi abbia stancato, e ho fatto molta fatica a riprendere il passo nel sentiero, pur non essendo così duro. Forse perchè è bastato un giorno di silenzio per farmi odiare aver visto troppe persone, sentito moto sfrecciare e ciclisti bestemmiare. Ma dopo un pò per fortuna è tornato il silenzio. Il sentiero si è fatto di nuovo scorrevole e sono passato accanto al lago delle buse, uno dei possibili punti tenda che avevo immaginato. Mentre camminavo però ho ripensato sorridendo all'iniezione di entusiasmo che mi ha dato un signore sorprendentemente simile al capitano Picard che mi ha fatto i complimenti per quello che stavo facendo. Lo ha fatto con sincerità , guardandomi negli occhi e parlando seriamente. L'ho sentito forte. Ho camminato ancora un pò, stavo bene, così ho proseguito e ho piantato la tenda al lago delle Stellune.  Quella sera mi sono dedicato a un'intera ora di stretching, per poter camminare bene il giorno dopo, sapendo che la terza tappa sarebbe stata molto dura.
bivacco Manghen, giusto il tempo di una merenda. 



best pausa pranzo e asciugatura tenda ever.



Giorno 3

La sera, nella mia tendina, riflettevo sul percorso da fare il giorno dopo. Avrei potuto evitarmi la fatica delle cime e farea la variante bassa, poco battuta perchè meno epica. Però io volevo salire. Volevo sentire il vento. Ero molto indeciso. La mattina, quando ho sbaraccato alle 6, mentre tutti gli altri nelle loro tende dormivano, sono rimasto un paio di minuti davanti al cartello che segnava il bivio. Mi sono guardato intorno, speravo di non vedere ancora nessuno uscire dalle tende. Poi la chiamata ha prevalso. Siano le cime, la fatica, l'epicità. Si và a sinistra verso l'alto. Per fortuna che l'ho fatto. è stata una delle tappe più belle che abbia mai fatto. I panorami che mi sono stati regalati sono andati oltre i sogni che avevo fatto. Ovviamente in ogni perdita c'e' un guadagno e in ogni guadagno c'e' una perdita. La tappa per essere bellissima non poteva che essere anche durissima. Lunga ed estenuante. Alle 8 il sole già picchiava in quota, pur essendoci solo 5 o 6 gradi stavo sudando molto. E' una strana sensazione sentire che fa effettivamente freddo ma sentire anche il sole che scotta attraverso la sun hoodie ( un esperimento che ho fatto per vedere se funziona.) Ho continuato a salire sul duro porfido fino ai tratti attrezzati con scalette e corde, arrivando a un certo punto ad un tratto in cui ho lasciato un pezzo del mio cuore. 
Una sorta di tavolato storto di pura pietra e cielo senza una nuvola. Non una voce, neanche di marmotta, lassù. E l'impressionante vista di centinaia di cime. Alcune vicine, altre lontanissime, come il gran Zebru, il Cevedale, alcune cime venete e austriache. Nessun segno di civiltà . Essere tra così tante cime e così alte nascondeva quasi tutti fondovalle, liberandomi dalla visione di strade e case.












Quella mattina, invece del mio solito borbottare e parlare da solo, sono rimasto in silenzio. Mi sono goduto la vista di quei panorami, ma ho anche riflettuto guardando i segni della grande guerra, che qui c'e' stata davvero. Filo spinato, ossa umane, baraccamenti tirati su con sassi a secco per riparare i soldati dal freddo ben 110 anni fa. Chiodi di ferraccio ancora piantati nella roccia, più duri del nostro moderno acciaio temprato.  Mi sono immaginato come deve essere stato il rimbombo e le eco dell'artiglieria, qui. qualcosa di impressionante. Avere fame qui. Essere feriti qui. Avere freddo, qui. Con scarpacce di tela e impermeabili di tela cerata. 

Poi è iniziata l'infinita, calda e dura discesa che mi avrebbe poi riportato in quota solo a fine giornata. Prima fino al passo Sadole dove dopo pranzo sono entrato in coma per 5 minuti.






 Il terzo giorno ho fatto 24 km con circa 2400 metri di dislivello. Morto. Pensavo di avere caldo in quota.  Poi sono sceso nel lariceto, che comunque era a 1800 metri, e volevo che mi sarebbe venuto un colpo. Ci si abitua presto al fresco. Sono caduto nel fango cercando di raccogliere acqua da filtrare. Ho superato parecchi alberi caduti che qui non sono stati tagliati per agevolare il passaggio, essendo un sentiero poco battuto. 

Poi ho deciso di mettere un pò di musica. Erano le 18 e stavo camminando dalle 6 di mattina. Mi sono voltato a sinistra. Un albero dalla forma particolare sembrava un obelisco eretto in onore di una nuvola, traslucida, la cui cuspide sembrava volesse toccarlo. Il sole era dietro l'albero. E nel telefono è partita la canzone del padre di De Andrè. E' stato un momento mistico. 


Mancava ancora un'ora  e mezza e 300 metri di dislivello al lago delle trote. Sono andato avanti come uno zombie, col cervello spento. Infine sono arrivato. Ero troppo stanco anche per montare la tenda. Ho deciso di fermarmi al bivacco Coldosè, anche se era pieno di ragazzi. Pensavo che avrei dormito da dio su un materasso, essendo così stanco. Invece qualche bestia mi ha tormentato le gambe per tutta la notte (non oso immaginare il livello di igiene su quei materassi, e io non avevo un sacco lenzuolo, solo il quilt che sotto è aperto) facendomi grattare a sangue. La mattina alle 5 ( si, sempre più presto) mi sono fatto un porridge piuttosto insipido e sono ripartito, deciso ad andare ancora più piano. C'e' da dire però che quel giorno non ho avuto scelta sui km da fare. Non c'erano punti tenda decenti lungo il percorso, è stata una tappa forzata. 

segni della grande guerra



Bivacco Nadia Teatin.

Cima d'Asta al mattino.

Giorno 4




Dal bivacco Coldosè in un minuto si scavalla e ci si trova il lago delle trote, che come ogni laghetto alpino ha qualcosa di magico, al mattino. E ho proseguito lungo il crinale che mi avrebbe portato in quota. Partendo sempre presto ho potuto anche oggi rimanere da solo e in pace a infradiciarmi i piedi con la rugiada delle piante ai lati del sentiero, cariche d'acqua. Attraversando una valle anonima e desolata mi sono fatto qualche foto e mi sono fermato un momento a godere del panorama verso sud e di alcuni fiori di montagna pelosetti, che resistono stoicamente al freddo e al vento, anche se sono così delicati al tatto da sembrare di zucchero filato.  Poi il tempo è cambiato. Pesanti nuvole sono salite dal fondo valle avvolgendo tutto in una nebbia fredda e umida. Sono arrivato al bivacco Paolo e Nicola un paio d'ore dopo sperando di farmi un caffè prima di continuare, ma sera pieno zeppo di gente che dormiva e per non disturbarli sono rimasto fuori a farmi una tisana seduto sul legno bagnato di nuvole, mentre mi sono tolto le calze fradice per far asciugare un pò i piedi,  cotti da due giorni di calze bagnate. La parte disagevole è sempre rimettersi poi le calze e le scarpe bagnate, che ora erano anche fredde. 
Da lì avevo una scelta da fare, l'ennesimo bivio: salire e fare la variante alta, dove però non mi sarei goduto il panorama, essendo tutto immerso nelle nuvole o fare la variante basse, poco battuta proprio perchè non panoramica. Tanto valeva fare la seconda, che mi avrebbe fatto risparmiare un pò di inutile dislivello. E' stata anche questa volta la scelta vincente, e forse è stata la mia sezione preferita, per quanto non facile, avendo dovuto attraversare parecchie pietraie e sfasciumi di roccia. sono sceso perdendo un pò di quota e come detto è stata una traversata lenta a causa delle pietraie. Però è stata in qualche modo...mistica. Mi sono trovato per alcune ore completamente immerso nelle nuvole, in questo paesaggio fatato. Prati silenziosi, di un silenzio irreale, con un sottofondo lievissimo di un torrente che scorreva. Fiori setosi di Erioforo negli acquitrini. E' stato uno dei momenti e dei passaggi più belli di questo viaggio.






Poi di nuovo una discesa in una valle senza nome dove a tratti si apriva, per poco, il paesaggio mostrando il fondo valle. Molto taoista. Poi una nuova salita fino alla forcella Valcigolera. Torrenti tranquilli dove ho attinto acqua. Pensieri che andavano e venivano. E naturalmente nessuno intorno per tutto il giorno. A Valcigolera mi sono fermato un attimo anche per prendermi cura dei piedi, che stavano diventando un hot spot unico.
In quel momento ho provato a togliere il telefono dalla modalità aereo per mandare un paio di messaggi, dopo due giorni senza connessione. C'era il 4G, incredibile. E appena connesso mi è arrivata una chiamata da un call center. non esiste pace neanche dentro una nuvola a 2400 metri sulle Dolomiti.
Tolto subito la connessione ho scoperto che mancavano, volendo, circa tre ore al passo Rolle, la fine della mia TL. Solo tre ore. ma ero stanco. E soprattutto mi ero dato come obbiettivo quello di non avere fretta. Anche perchè se fossi arrivato al passo Rolle nel tardo pomeriggio forse non avrei avuto mezzi per scendere. Un motivo in più per prendermela con calma. Mi sono seduto a meditare. Il corpo fremeva, voleva continuare a muoversi. Pensieri turbinavano. Tutti pensieri di movimento, di azione. Mi sono imposto di respirare, rilassare i muscoli trapezi e stare semplicemente là, in cima al passo. Immobile come un omino di sassi. 



Così ho deciso di continuare a camminare fino a quando avrei trovato un posto decente dove piantare la tenda. Ho raggiunto infine l'ultima, l'ultimissima forcella di questo trekking. Tra le nuvole pesanti si intravedeva la strada del passo Rolle e un pò mi sono commosso. Ma stava iniziando a piovere. Proprio mentre ero in mezzo a una vecchia pietraia. Vecchia è bene perchè significa che 1 è assestata e praticamente ferma, 2 negli anni si è accumulata un minimo strato di terra, che ha permesso la formazione di un substrato adatto all'erba. Ho trovato un angolino di prato tra alcuni sassi e lì ho piazzato la mia tendina, su terreno tutto storto. Ma meglio di un calcio in bocca. 


Erano solo le 16 e fuori dalla tendina pioveva. Niente da fare se non far fuori tutto il cibo rimanente, leggere e aspettare. Un'opportunità in più per coltivare la presenza, che in questo significava solo annusare me stesso e i miei vestiti unti e sporchi di 4 giorni di trekking e ascoltare le gocce di pioggia battere sul dyneema della tenda. Ho dormito un pò un sonno interrotto spesso dalla pioggia o dallo scivolare  fuori dal materassino in pendenza. 

Giorno 5

Ho letto un romanzo e dormicchiato fino alle 3 del mattino. alle 4  ho fatto due calcoli e ho immaginato di arrivare, camminando con estrema calma, al passo Rolle per le 6 e mezza, poco prima dell'alba. Perfetto. Così ho sbaraccato la tenda e rifatto lo zaino, poi ho provato a meditare ma ho resistito solo 5 minuti. Anche qui il corpo e la mente fremevano. Sono partito. E lì l'errore. Dopo quasi 80 km e circa 120000 passi, ho preso una mini storta praticamente al primo passo fatto. Niente di grave ma ho visto sfumare il mio obbiettivo delle zero storte. La causa è semplice. Non il buio, che ancora avvolgeva la pietraia. Non il terreno bagnato. Ma la mia distrazione. Non ero presente, ho iniziato a camminare distratto. Ed ecco una lezione istantanea. Mi sono fermato. Ho guardato il cielo, poi i miei piedi. E ho detto ad alta voce: "ok, ho capito. Lezione appresa". E ho ricominciato a camminare con presenza. Giù per una pietraia buia e bagnata, con in lontananza quelle che immaginavo fossero le leggendarie Pale di San Martino, anche se nascoste dalla notte e dalle nuvole. Ne intravedevo qualcosa dei contorni.


Gli ultimi km di TL me li sarei assaporati tutti, come si fa col proprio piatto preferito. Una voce mi diceva di correre. Ho imparato ad ascoltare quella voce e a fare esattamente il contrario. Parla quando devo uscire e mi voglio allacciare le scarpe di fretta. Parla e spinge quando voglio lavare i piatti il più velocemente possibile per poter fare altro, qualcosa di più interessante. La sento quando devo fare la fila in auto. Allora rilasso tutto, respiro e faccio quello che devo fare quasi al rallentatore, fino a quando quella voce, spazientita, mi lascia stare e mi permette di vivere la mia vita appieno. Scendevo piano di quota, la luce dell'aurora piano piano aumentava fino  a quando ho potuto camminare senza torcia frontale. Poi sono arrivati i laghetti di Colbricon, con la nebbia tiepida che scorreva sulla superficie. E poi, e poi...
La strada . Gli impianti risalita che ancora dormivano. I prati che in inverno diventano piste da sci ( lo diventano ancora, o la neve và sparata coi cannoni? 
 E poi il passo Rolle all'alba. Sullo sfondo, così belle e maestose da sembrane un cartonato, le pale di San Martino. Sono arrivato. 


Mancava più di un'ora al primo bus della giornata, e senza crederci assolutamente ho provato a tirare fuori il pollice in cerca di un passaggio. E incredibilmente la prima auto che è passata si è fermata a darmi un passaggio. Trail provides, davvero. Un passaggio veloce fino a Predazzo, da dove, dopo una colazione al bar, ho preso il bus diretto che mi ha riportato a Trento. Mentre scendevo dalla val di Fiemme guardavo alla mia sinistra, lontano, il Lagorai che avevo appena attraversato. Sembravano così alte e lontane! Sono arrivato a Trento dove i 28 gradi che c'erano mi sembrano almeno 38. La mia auto era ancora lì, intera. Tre ore dopo ero di nuovo a casa. 

Un esperienza dura, bella e ruvida. Come il porfido della catena del Lagorai. 



Ps: statistiche di questa Tranlagorai:

Zecche prese: 0

Storte prese: 0,5

km percorsi:83

Passi fatti: circa 120'000

Dislivello totale: 4900 positivo e 4700 negativo

Passi compiuti con presenza: almeno 3/4.

Litri d'acqua consumati: 16

Animali avvistati: una rana e una decina di marmotte.