No, belli, queste non sono le solite parole polverose e dal sapore di
muffa di quando parlo della solitudine.
Questa volta hanno un sapore , un calore e un colore diversi.
La stagione delle camminate in montagna è iniziata da tempo, e il grande
contrasto tra il silenzio dei boschi e la mia camera è motivo di nuove
riflessioni. La differenza tra questa splendida e caotica settimana passata
camminando di notte per Padova con gente molesta e dove sono ora, è forte. (Per
rendere più leggera la lettura ho deciso di cambiare stile, periodi meno lunghi
e qualche punto in più, così non vi si frigge il cervello, miei buoni lettori
(e spero anche qualche e lettrice). Il libro prestato da un caro amico, dove
sto vedendo sotto una nuova luce i poeti e filosofi che mi ispirano,
contribuisce a queste riflessioni pacifiche.
Descrivo brevemente la settimana che ho trascorso tra questi
universitari pazzi, in attesa del video che li onorerà come meritano. Siedo con
la solita tazza fumante di camomilla al mio fianco mentre ripenso alle molte
esperienze che ho fatto per la prima volta grazie a loro. In primis non mi
hanno mai permesso di farmi prendere male (una cosa che mi succede spesso) per
qualche cazzata, qualche salto non chiuso o una battuta non capita, o qualsiasi
delle cose che mi rattristano. Mi hanno mostrato splendidi monumenti accesi di
sole invernale e quindicenni che vomitavano l'anima in vicoli bui e sporchi,
dietro il locale in cui ho ballato per la prima volta (no, non avete un virus
nel vostro pc, avete capito bene). Ci siamo allenati tutti i giorni in posti
fantastici e con bella gente vestita larga, non ho mai dormito più di tre ore
ogni notte perchè sono stato vittima di molestie di ogni tipo. Mi sono cotto
alle terme, perdendomi in pensieri metafisici guardando il vapore salire nel
cielo nero, ho bevuto cappuccini, spritz, vin brulè e amaro del capo, ho
aggiustato il divano della casa di ragazze che con occhi innocenti hanno detto:
"non sappiamo proprio come possa essersi sfondato!"
Ho visto Venezia per la prima volta, correndo nei suoi stretti vicoli a
bocca aperta per la meraviglia, Sono stato portato per ore sul portapacchi di
una delle migliaia di grazielle studentesche spaccandomi il culo, e godendo
delle luci della città di notte. Ho paragonato il mio cuore ai ragazzi in
precario equilibrio sulla slackline nella seconda piazza più grande d'europa.
Ho praticato Tai Chi in uno splendido parco con un buon maestro, rallentando il
tempo. Ho mangiato tofu e seitan, mi sono arrampicato sull'albero di natale al
centro della città, fatto piegamenti in mezzo alla strada per combattere il
freddo mentre i miei molestissimi anfitrioni sedevano sfasciati di vino a
perdere tempo. Abbiamo passato ore a parlare di parkour, donne, cavalleria,
filosofia, amore, amicizia, natura. Ci siamo infiltrati in uno stadio
abbandonato (accanto a una caserma di polizia e sopra le teste dei passanti)
nella più epica night mission mai portata a termine. E molto altro. Vi
ringrazio per tutto, mi avete fatto vivere giù duro!
Il paragone tra
queste cose e la mia solita vita, fatta di Basho, Varese di merda, Poe, post
rock, Rimbaud e camminate in montagna sono la causa di questo post, un'altra
riflessione sulla solitudine, ma diversa dal solito. Kerouac, Rosseau,
Nietzsche, Basho, e molti altri, sono filosofi, poeti, scrittori. Ma per me,
sono prima di tutto camminatori, e chiunque cammini a lungo non può non pensare
alla solitudine. Io ho fatto di questo tema la base del mio pensiero, il
problema (non un problema nel senso di guaio da sistemare, quanto di pensiero
profondo e articolato, come di una persona affascinante cerchiamo di capire
come fa ad attrarci in quel modo oscuro e caldo) sul quale appoggio il
mento e guardo da vicino.
Il mio profondo desiderio di amore e di amicizie, di riversare tutto il
mondo che ho dentro (idealmente
spogliati dei balbettii, dei "minchia" e del mio parlare troppo in
fretta) è in contrasto aperto con il bisogno, a volte improvvisamente urgente,
di solitudine. Quando vado per foreste mi viene di desiderare a volte la
compagnia di qualcuno in generale, altre di qualcuno in particolare. Poi alzo
gli occhi all' altezza degli alberi, lo abbasso a quello degli insetti tra le
foglie morenti, e sento che lì, in quel preciso momento, col mio ritmo dei
passi, con quello dei respiri, non potrebbere esserci nessun altro. Quando mi
trovo con altri ho sovente questo senso di inadeguatezza, e ora lentamente
comincio a lavorarci per cambiarlo (mi hanno fatto capire che trovare le cause
di un problema, con le mie eterne e muffose riflessioni, non significa
assolutamente risolvere il problema).
Se, quando mi trovo da solo per boschi o in un angolo ad allenarmi
(intendo quelle giornate col sole tiepido, senza nessuno in giro, in cui magari
trovate una sbarra o un problemino di boulder nel muro su in paese e lì sentite
proprio dentro che è perfetto così, solo voi) sto bene, e quando sono in città
con altre persone ho il disagio che sale, allora ora voglio lavorare subito
sulle cause. Mi capita di riuscire ad
ASCOLTARE il disagio, invece di star là come uno stronzo a crogiolarmi nel
comfort caldo e raffermo, e agisco. Pam! Al posto di guardar male la passante,
immagino di sorriderle (ancora non ci riesco, ma almeno non mi chiedo più per
quale motivo guarda me). Bum, chiudo quel movimento di fluidità stronzo che
provavo da giorni, mi prendo bene e ci riprovo. Skippo la canzone deprimente
che stava partendo nel lettore e ne faccio partire una che manda vibrazioni
positive, cavolo. E a casa non mi metto al pc a guardare vecchie foto di bei
ricordi che mi deprimono (bel contrasto se ci pensate, vero?), ma scrivo questo
post. Non la leggo la poesia struggente
che ho sul comodino, ma apro il libro di fisica e mi impongo di studiare.
Meglio la noia della tristezza.
Questo non significa che ho risolto tutto e non ho più problemi, che tac
sono l'uomo più felice del mondo. Ma ho cominciato a disilludermi di alcune
cose e ne ho capite altre aiutato dalle mie nuove esperienze. Coltivo ancora
sogni, non sono ancora come nei carnets de
pèlegrinage di Swami Ramdas, in cui si vede che è nel momento in cui si rinuncia a
tutto che tutto ci è offerto, nel momento in cui non si aspira più a nulla che
tutto ci è dato, a profusione. Quello è un level-up che ancora non ho fatto, mi
va bene così. Mi lascio comunque guidare dalle emozioni, oltre che dalla
ragione. Dai Tengu de "gli anni dolci", che svolazzano alle mie
spalle.