Da pochi mesi è stata creata la prima ferrata della provincia di Varese. Appena ne ho letto mi è tornata immediatamente alla mente quella fatta con Perez. La mia prima ferrata. Un incubo. E credo di non averne mai scritto in realtà. Chissà perchè. Comunque fu una delle esperienze più estreme della mia vita.
In ogni caso dopo quella ne ho fatta solo un'altra. Quindi ho pochissima esperienza, anche se mi affascinano. Così oggi l'ho cercata. Nella mia immaginazione l'idea era quella di fare solo una breve esplorazione, fare qualche prova ben ancorato e poi magari un giorno tornare e farla con più confidenza. Ho imparato a diffidare delle guide che le descrivono ( sia sotto che sopravvalutando le difficoltà e la lunghezza) e volevo vederla coi miei occhi per saggiarla. Bene. La microavventura prevedeva alcuno obbiettivi da raggiungere in ordine:
- Trovare la ferrata;
- Approcciarla con estrema cautela essendo da solo e avendo molta paura sia di arrampicare sia delle altezze;
- Tornare a casa vivo.
Dopo un'ora e mezza di cammino l'ho trovata. obbiettivo numero 1 raggiunto. Tiro fuori dallo zaino il kit ferrata, il casco... e li indosso. E poi realizzo che il kit ferrata non è un imbrago, è un kit da ferrata DA LEGARE all'imbrago, che ho lasciato a casa. Cosa faccio, torno a casa? eh no. Il karma aka la mia demenza senile mi ha condotto evidentemente a questo punto. Così ho alzato lo sguardo e ho immaginato come procedere, il vecchio mental game del Danilo semi trasparente che esegue tutti i movimenti necessari, mette i piedi dove vanno messi, le mani che prendono gli appigli con la forza necessaria ma non eccessiva, per non ghisarmi gli avambracci a metà e rischiare di cadere vittima del panico.

La tocco, inizio a provare un pezzetto. La partenza è il pezzo peggiore. Strapiombante e verticale, per poi virare a creare un lungo arco di traverso, scendere in una sorta di camino per poi risalire e finire il lungo arco. Troppo difficile. Sono sceso con le mani sudatissime e già un pò doloranti per aver stretto così forte il cavo e le staffe. Vado a vedere come finisce, dalla parte opposta.
Molto meglio questo lato, che inizia dolcemente e con diversi appoggi. Così ho provato a salire una decina di metri da questa parte: i battiti cardiaci sono saliti in fretta, ma imponendomi di fare tutto con calma e di tenermi appena al cavo come fossi un ragnetto il cedimento muscolare non è quasi arrivato. Ho fatto una pausa agganciando entrambe le braccia al cavo: questo mi ha fatto si riposare, a comprimendo i gomiti tutto il sangue che gonfiava gli avambracci è rimasto lì facendomi sentire affaticato. Ora di scendere! Camminando avanti e indietro ho fatto per studiarla, ma in realtà nella mia testa stavo solo decidendo: quello che avrebbe dovuto essere un percorso di avvicinamento graduale nell'arco di parecchie uscite, si fa oggi.
Immaginavo che oggi l'avrei fatta con il kit e l'imbrago, e già sarei stato contento di farla in solitudine, per poi fra un pò di tempo tornare lì molte volte e farla con sembra maggiore confidenza fino a farla un giorno, chissà, usando meno volte i moschettoni del kit, e poi forse in futuro, farla libera. Ma ero già lì. Cosi mi sono deciso: Sono da solo, se mi succede qualcosa sono guai. Proverò andando con grande prudenza e potendo tornare in ogni momento indietro. Reversibilità, come mi ha insegnato il buon Lorenzo riferendosi al metodo Feldenkrais. Niente panico. Si respira, si và. In ogni momento non sarò mai solo appeso sulle braccia, per non ghisarmi ma anche per non scivolare con le mani sudate, dato che non ho i guanti da ferrata.
Ovviamente ho deciso di partire dalla partenza ufficiale per liberarmi da fresco del punto peggiore, lo strapiombo verticale. Piano, un passo per volta .
Ho scelto di farla, nonostante avessi dimenticato a casa l'imbrago perchè mi è sembrato un esempio perfetto di cosa significhi essere un praticante: Avere abbastanza forza fisica da poter gestire quel tipo di sforzo e abbastanza forza mentale da rimanere freddo e lucido. Un corpo in forma, autocontrollo, e non essere schiavo dell'essere over protetto, come il mondo desidera per noi. Proprio le sfide che il parkour ci lancia.
Avevo bisogno di sentirmi esposto, vulnerabile, per poter esercitare quel controllo dato dalla pratica meditativa. Seduto su un cuscino in casa non è una vera prova.
Vogliamo essere giardinieri in guerra o guerrieri in un giardino? (Grazie per questa frase illuminante, Vecchio Taoista).
In un certo senso è stato anche divertente.
Lentamente e prendendomi tutte le pause che servivano nei punti più sicuri, ce l'ho fatta. Ho fatto una ferrata da solo e slegato. Un bel breaking jump. Per fortuna non c'era nessuno a cui dover dare spiegazione o che stesse a guardare. Grande soddisfazione per un'altra paura sconfitta.