lunedì 30 ottobre 2017

ADAPT 2

Ho aspettato a scrivere, tante erano e sono le emozioni che provo. Ho pensato prima a come scrivere e solo dopo ho pensato a cosa, dato che ultimamente sto rileggendo il blog del vecchio Gattaccio. E poi ho pensato al perché scriverne.
Questo mio post sull'A.D.A.P.T. 2  non vuole essere il racconto dettagliato dell'esperienza del seminario o dell'esame (quelle sono cose da fare e basta, se si ritengono valide). Non mi interessa convincere qualcuno a farlo. Voglio raccontare cosa mi ha spinto a farlo.
In principio non mi interessava l'adapt, né insegnare. La prima volta che ne sentii parlare credo sia stato nel 2010 o 11, a quel tempo le mie idee erano più radicali di adesso e credevo non fosse giusto essere pagati per insegnare, a dirla tutta non credevo che la conoscenza dovesse trasmettersi in modi diversi dalla condivisione paritaria delle conoscenze acquisite negli anni.
Poi piano piano la mia pratica andò avanti, sempre più persone venivano a provare a Varese e mi resi conto che quel sistema, per quanto romantico non era né sostenibile né sano per chi veniva a provare. Così nel 2014 partecipai al livello 1.  Da quel momento cominciai a valutare seriamente la possibilità del secondo livello. Ma nella mia mente era qualcosa di leggendario, una prova impossibile destinata solo ai veri eletti, i guerrieri italiani  che si contavano sulle dita di una mano, e io non ero certo una di quelle dita.
Per molto tempo ho pensato che non sarei mai stato in grado di arrivare a quel livello fisico, tecnico e di carisma necessario. Pensavo fosse solo una prova per valutare il livello di abilità fisico/tecniche, nulla di più. E nonostante questa voce venisse subito smentita da chi ci era passato, era difficile crederlo, stando a quelle che circolavano.
Voci di prove impossibili o al limite dell'umana resistenza, di salti da fare 3 volte su cinque che per me sarebbero stati  breaking jump non oggi, ma fra 5 anni di duro allenamento. Prima neanche a parlarne. Grazie Danilo ma hai capito male, ci rivediamo quando non sarai così uno stronzo scarso.
Non sono mai stato molto convinto delle mie capacità di praticante,  e come ho detto prima ho ritenuto a lungo il livello 2 qualcosa di irraggiungibile, quindi ho voluto riflettere davvero a fondo e rimuovere dalla mente ogni ostacolo, ogni dubbio, prima di intraprendere questo passo.
Mi sono allenato con uno scopo nei 3 anni dopo l'esame del livello uno. Perché se c' e' una cosa che ho imparato è che la mia debolezza è sempre stata qui dentro, dove nascono i pensieri. Mentre allenavo il corpo ho lavorato sulla testa per cominciare a credere più in me stesso, nel fatto che avrei potuto farcela ecc ecc ( saltiamo i discorsi motivazionali, sono tediosi).

Comunque:

Seminario  di cinque giorni veramente intensi, ognuno passato fuori a prendere appunti, ascoltare e testare alcune delle prove fisiche e tecniche che ci aspetteranno all'esame.
Sempre con poco riscaldamento, vari minuti di attività intensi e poi di nuovo fermi per ore al freddo dei sampietrini di Città alta o di altri quartieri.  Fighissimo, mi chiedo se fatto apposta per testare le nostre capacità di concentrazione o se non fosse voluto. Al ritorno trovavo in camera dei buoni amici con cui discutere, anche se eravamo quasi sempre troppo stanchi per farlo, e troppo gonfi di nozioni per riuscire a ordinarle.




4 mesi per prepararmi all'esame, correndo per la prima volta in pista e imparando ad organizzare gli allenamenti in maniera metodica. Aver fatto un onesto ESAME DI REALTA' mi ha permesso di trovare almeno i punti più deboli della mia pratica e del mio coaching e lentamente, con pazienza ho affilato me stesso, ho limato le mie mancanze e mi sono imposto di iniziare a crederci. E' stato duro ed estremamente fruttuoso allenarsi proprio sulle mie debolezze. Tecnica, consistenza, altezze, fiato mi hanno fatto bestemmiare questa estate, potendomi comunque allenare come si deve solo nei we, poiché in settimana il lavoro e subito dopo i corsi non me lo permettevano. Inoltre la mia caviglia piuttosto malandata mi ha sempre ricordato di tenere altissima l'attenzione in ogni momento per non scavigliare continuamente. Ci sono stati momenti in cui prepararmi da solo mi ha frustrato, a parte un paio di allenamenti con due vecchi amici che ringrazio del supporto, il Rosso e Niccolò. un'iniezione di fiducia il primo e una spinta in avanti il secondo, quando stavo per mollare tentando la quadrupedia in pista. Per il resto ho dovuto consolarmi immaginando che allenarmi in solitudine mi avrebbe dato una marcia motivazionale in più, all'esame.
Al primo tentativo di completare la scheda fisica ho sofferto per la prima  volta in allenamento di conati di vomito. Poi mi sono steso su un prato e mi sono svegliato cinque minuti dopo. Come dopo un brutto sogno.  Ho tirato sù le mie quattro cose e me ne sono tornato a casa sconsolato, senza neanche completare la scheda fisica, figuriamoci quella tecnica.
Per quasi un mese  non l'ho riprovata,  limitandomi a costruire resistenza e a fare tecnica in modo mirato. Correre per un esame non è come correre per il piacere di faro. Ma ho imparato a farlo, anche dopo 8 ore in fabbrica 2 due di corso. Come tanti, immagino. 
Durante la preparazione.
 Poi per il resto del tempo mi sono limitato a lavorare tutti i requisiti insieme, come se fosse il test, senza riposo tra una prova e l'altra per renderlo il più simile possibile alla realtà Fino a quando ,bene o male sono sopravvissuto a tutte...solo dopo ho scoperto di aver letto male la scheda, scoprendo che c'era sempre del riposo tra un esercizio e l'altro.
Idem per la tecnica, la mia grande paura. Sono sempre stato piuttosto scarso e monotono in quanto a bagaglio tecnico e ne sono consapevole, quindi ho spinto il maggiore lavoro in quella direzione. Ma ad ogni minimo errore la caviglia mi ricordava dolorosamente di rimanere cosciente. Ogni sessione di allenamento estiva è stata una meditazione continua, per migliorare e insieme non peggiorare la situazione compromettendo la possibilità di fare l'esame.




Arrivato il giorno dell'esame fisico/tecnico. Pioveva, a Bergamo. Avevo un peso nel cuore, per la morte di mio padre avvenuta nel periodo tra il seminario e l'esame. Quei mesi sono stati silenziosi. Il giorno dell'esame ero cambiato. Ci siamo tutti trovati sotto la pioggia nel luogo X. Ed eccolo, il momento della verità. Di nuovo, i dettagli alla memoria e chi c'è stato.  Però 11 ore e mezza di lavoro effettivo tenendo al massimo la concentrazione fino all'ultimo è stato qualcosa di veramente difficile. Paragonabile solo a certi allenamenti col vecchio guerriero del Magreb o con Yann. E la caviglia ha retto fino quasi a fine giornata, fino ai running precision.

Dopo alcuni giorni di riflessione ho deciso di ritenermi soddisfatto di come ho portato a termine questa difficile prova.

Non so se riuscire a tenere il livello richiesto in quelle condizioni sia davvero necessario per fare di un buon praticante anche un buon insegnante, è qualcosa che  su cui ho riflettuto a lungo, come ha suggerito di fare anche Gato nel suo blog.  Sicuramente è un valido test per dimostrare le proprie capacità fisiche e spirituali. Alcune voci hanno posto serie critiche a questo approccio, viste anche le condizioni meteo a cui è difficile essere abituati, altri le hanno trovate eccessive a prescindere, altri non hanno espresso opinione in quel momento, come me. Personalmente ritengo sia un utile strumento per conoscersi, gettarsi col cuore e coi coglioni in prove apparentemente impossibili dal punto di vista fisico, tecnico e mentale. La forma è secondaria, conta la sostanza del disagio che provoca la situazione. Maggiore sarà lo stress e maggiore, se si supera, sarà la conoscenza di sé e l'allargamento della propria zona di comfort.
Il giorno dopo c'e' stato il test scritto e di coaching, con la mini sessione di feedback finale sugli errori commessi.
sinceramente non ero in grado di sorridere, dopo il massacro.


Dopodichè, settimana scorsa ho superato, in quel di Padova, anche la live session. Supervisionata da due ombre provviste di taccuino che annotavano ogni mia mossa. Quel giorno, prima di partire da casa mia, ho fatto una maratona di vecchi documentari per abbeverare il mio spirito di fresca forza originale, e per trovare ispirazione nell'organizzare la sessione di due ore che la sera avrei gestito. 3 ore di treno per organizzarla nei minimi dettagli, e circa mezz'ora per rivederla completamente, essendomi stata cambiata all'ultimo. Tipo di classe, età, livello e spot. Orribile e stupendo dover essere in grado di adattare tutto in base alle nuove necessità . Strumento, questa elasticità e prontezza mentale, che  ritengo essenziale in un buon coach.
In conclusione:
Ritengo l'ADAPT un ottimo strumento per migliorare come insegnante, pur non essendo perfetto. Eppure una strana tristezza mi ha preso, dopo aver ricevuto l'attestato. Non ne capisco bene il motivo. Forse aver creduto per così tanto tempo che fosse impossibile mi ha reso sospettoso, quando, una voce, dopo una pacca sulla spalla mi ha sorriso e mi ha detto: "complimenti!"
 In ogni caso la parte difficile e interessante scommetto che arriverà adesso...sono pronto.