sabato 23 dicembre 2023

Rituale del solstizio d'inverno

 



L'autunno e l'inverno sono le mie stagione preferite. Sento un legame col freddo, con gli alberi liberi dalle foglie e con l'aria tersa e pungente. Quasi tutte le notti in cui ho dormito nel bosco le ho fatte in questo periodo, dove, libero dagli insetti e dalle masse di escursionisti rumorosi, posso guardare la luna filtrare tra i rami in pace.

Solstizio d'inverno: il giorno più corto dell'anno, quello in cui il sole appare più basso sull'eclittica. Un  fenomeno dovuto all'inclinazione dell'asse terrestre ma che ha formato culti e religioni da migliaia di anni.

 Per celebrare il primo giorno di inverno ho deciso di eseguire un rito. Ho scelto di fare l'ennesima notte fuori, mentre le altre persone passano il venerdì sera a bere spritz nei locali o sul divano a guardare la tv. Ma ho deciso di eseguirlo con vari passaggi:

  • raggiungere il luogo del rituale al buio, camminando su per la montagna guidato solo dalla luce della luna, che in questo momento è nella fase di gibbosa crescente;
  • arrampicarmi su qualche albero al buio, contando solo sul tatto e sulle ombre e luci prodotte dalla luce della luna tra i rami;
  • passare la notte fuori senza accendere il fuoco e con equipaggiamento mediamente minimale.



Lasciata l'auto all'inizio del sentiero, mi sono sentito un cretino ad aver avuto questa idea. Il sentiero appariva assolutamente nero. Il vento faceva scricchiolare gli alberi muovendone la cima, lassù. Pochi minuti dopo però gli occhi hanno iniziato ad abituarsi, ma il timore di stare in un ambiente ostile è giustamente rimasto. Mentre camminavo istintivamente con più attenzione e più lentamente ho osservato questo timore, frutto della specie a cui appartengo, quella umana,  che non è notturna. Inoltre sono leggermente miope, quindi non se ne parlava di fare affidamento sulla vista. L'unico vero rischio in realtà ho scoperto essere i rami sottili dei faggi sospesi ad altezza occhi sul sentiero. Invisibili, troppo sottili per avere sostanza alla luce della luna finiscono facilmente negli occhi. Nel bosco, di notte, ci si sente giustamente una preda, e si agisce di conseguenza: camminavo lentamente, mi fermavo spesso col fiato sospeso per sentire rumori anomali, per poi proseguire con calma. 



Lentamente il timore è andato scemando ma sempre tenendo le orecchie ben aperte per evitare incontri troppo ravvicinati. 
Ho preso in considerazione la possibilità di incontrare cervi o cinghiali, ma l'importante è non incontrarli quando è troppo tardi per non farli sentire minacciati. Inoltre col vento sarebbe stato difficile sentirli camminare sulle foglie secche. Infine sono arrivato alla mia meta, e dopo aver scaricato lo zaino ho iniziato ad approcciare qualche albero. 
La sensazione è stata molto particolare. Inizialmente ci si sente insicuri, poichè pur con gli occhi abituati all'oscurità non si distingue bene dove sono i rami cui aggrapparsi, confusi nella prospettiva. Ho allungato una mano, sicura che avrebbe sentito la corteccia rugosa del faggio, stringendo un'ombra. Quindi le prime salite e discese sono state caute e senza salire troppo. Dopo averne fatte un paio anche con la torcia frontale, per poterle condividere sui social, l'ho lasciata a terra e sono risalito. 
Salivo, e guardando in alto tra i rami la luna mi aspettava. Ero su un faggio abbastanza alto, forse potevo toccarla, mi sono detto. Salivo tra rami morti e vivi, lentamente. I piedi nelle forcelle. Le mani a stringere i rami il meno possibile. 
 La luna si avvicinava. Potevo quasi toccarla.


Raggiunta la chioma, sono sbucato con la testa in cima al faggio. Guardandomi intorno la sua luce inondava  tutte le montagne intorno, poi i paesi giù a valle e in lontananza le montagne coperte di neve, ma sopra di me, la luna non si è voluta far toccare. Questa impossibilità mi ha commosso, in quel momento. 
Sono rimasto qualche minuto così, dondolato da un vento tiepido che faceva oscillare l'albero a cui ero aggrappato.
C'e' una bellezza nel luogo che frequento spesso, (quello che io chiamo il mio eremo), difficile da descrivere. In inverno questo altipiano ricoperto di faggi e punteggiato da massi di granito vulcanico offre al contempo uno spot incredibile per allenarsi, un luogo perfetto per meditare, uno spazio per fare pratica di tecniche di bushcraft e una casa per me, persona inquieta che non ama stare chiusa in casa. Io mi sento nel luogo giusto, quando sono lì. 


Assaporando sempre quel senso di mistero impenetrabile che sento quando sono tra i sassi, come se sussurrassero cose importanti in una lingua che non sono in grado di capire, sono sceso dall'albero. Ho preparato il rifugio per la notte e mi sono cucinato la cena col fornello. Troppo secco e troppo ventoso per fare un fuoco in condizioni di sicurezza. 
La luna era sempre li, mentre cenavo guardandola. Poi una tisana prima cdi infilarmi nel sacco a pelo. Le foglie secche sono venute a farmi il solletico. 




La notte è passata con  qualche risveglio brusco, quando una folata faceva sbattere il telo, ma non avutro incontri con animali. L'alba del secondo giorno d'inverno mi ha accolto rossa e meravigliosa alle 7 e 40, inondandomi di luce dal mio cantuccio caldo 




Dopo colazione ho meditato un pò e sono sceso a malincuore verso casa. Il rituale è stato compiuto!



"Mentre l’Italia sgomita nelle ferie, io quassù, da solo, sto bene, ma è difficile. La solitaria vita di un eremita poco deciso è ardua. Da un lato la bellezza del luogo, con unici interlocutori gli animali del bosco, gli uccelli e i corvi imperiali che lasciano cadere i loro cra come sassi sulla testa. Dall’altro, il richiamo della gente, della fama, della visibilità. Due forze che tirano la corda con questo vanitoso in mezzo a farsi dilaniare. Ma prima o dopo resterò quassù, magari per sempre, sepolto sotto un larice (le ceneri) coi cervi che mi fanno la cacca sopra. E i cinghiali che raspano per cavarmi fuori perché gli sto sul cazzo e la neve che eviterà tutto questo, coprendomi e tenendomi al calduccio. "
Mauro Corona, I segreti della montagna





venerdì 1 dicembre 2023

La Guerra Mondiale

La riflessione di stasera viene da una rivelazione avuta durante una litigata con un amico che sono riuscito a disinnescare. Proprio l'essere riuscito a disinnescare la litigata -o per essere più preciso- me stesso, da quella che altrimenti sarebbe stata la mia solita rabbiosa reazione di difesa mi ha dato la prova che dentro di me sta finalmente cambiando qualcosa. Ora sento che la guerra che ho iniziato durante l'infanzia contro tutti, sta spostando i suoi obbiettivi strategici. Prima ero un bambino in un angolo coi pugni stretti pronto ad agitarli contro qualunque minaccia, vera o immaginaria che fosse. 

 una guerra mondiale. Contro tutti.




Ora sto iniziando a cercare il casus belli dentro di me. Questo cambiamento di atteggiamento trova il  suo inizio molti anni fa, quando presi la decisione solenne di interrompere quella spirale di odio che circola nella mia famiglia.  E' una rete fitta e appiccicosa, quella della propria famiglia, dalla quale è difficilissimo uscire, e serve probabilmente una vita per farlo. Lentamente ho iniziato questo processo. Scavando, osservandomi, cercando di capire come fare, chiedendo consiglio alle persone care che in questi anni mi hanno accompagnato in questo viaggio portando molta pazienza verso questo rude cavaliere  che tanto li ha impegnati per dirozzarlo, e per renderlo un pò più fine e più degno di loro. 

 Questo processo ovviamente è lontano dall'essere completato, ma essendo questo blog un diario del mio cambiamento come praticante ne scrivo qui perchè mi sono accorto che questo disinnescare, questo equilibrio sempre più stabile e questo abbassamento tra i picchi di felicità e infelicità ha grandi ripercussioni sul mio modo di vivere la pratica del parkour, come ho scritto anche qui . Anche avere consistenza nella meditazione aiuta molto. E' qualcosa che porta risultati solo se praticata con disciplina. Ora inizio ad avere una visione più a lungo termine dei risultati che voglio ottenere, ho meno fretta. Questo mi ha automaticamente portato ad attaccarmi meno al chiudere subito un salto.  Mi godo il processo, mi diverto, finalmente! E, colpo di scena, divertendomi e avendo meno fretta spingo di più e meglio, grazie alla minore quantità di stress accumulato. Questo mi sta aprendo un mondo di salti che prima non vedevo. Salto meno di quando avevo vent'anni, ma salto meglio. 


sabato 21 ottobre 2023

17 anni di pratica, breve riflessione.

Un breve pensiero questa sera, dopo una bella giornata di allenamento coi ragazzi dell'ADD academy di Milano. 17 Anni fa iniziava il mio viaggio nel parkour. In realtà iniziai nel 2005 muovendomi con un paio di guantini sui muretti del mio paese di provincia ma il we del 20 ottobre 2006 partecipai al mio primo raduno, l'osram a Milano, e ho scelto quella come data ufficiale. Per festeggiare sono andato ad allenarmi a Milano accompagnando alcuni giovanissimi praticanti nel loro primo allenamento fuori da Varese e fuori da una palestra. Mi sembrava una cosa simbolica e anche poetica. Il succo di questo pensiero è che la mia pratica sta ancora evolvendo anno dopo anno, e la discussione con buone persone lo ha dimostrato. Dopo una lunga sessione di potenziamento di quelle come una volta, le proposte tecniche dei coach erano varie e tutte interessanti, e dopo aver trovato la mia ci ho lavorato con calma fino a completarla, alla fine di una interessante battaglia psicologica. In tutto il giorno ho fatto un solo salto. Perfetto per una giornata simbolica. Quello che ho sentito, chiudendo quel salto e finendo il mio allenamento non è stata solo una serena contemplazione della giornata trascorsa, del tramonto o dei miei risultati. Ma proprio come il maestro Daito quando risolse gli otto Koan del Hekiganroku, per un istante, senza più moscerini in faccia e con l'ultima luce del giorno che colorava i cirri in alto, ho avuto la chiara percezione che ci fosse un'uscita dalla barriera in ogni direzione:
 A nord, a sud, a est, a ovest.
La barriera del dover essere performanti, del postare sui social, persino quella più ardua da superare, quella del dover dimostrare a me stesso, per poi mostrare agli altri il processo. 

Uno dei molti sentieri per il vero Dao.

Un bel tramonto e un bel compleanno di pratica. 

venerdì 18 agosto 2023

Islanda 2023- Laugavegur Trail e Fimmvorduhals, seconda parte

 giorno 3: Il Fimmvorduhals, l'arrivo all'oceano e il ritorno a Reykjavìk

Il velo di nuvole sopra il ghiacciaio, dal quale nasce il vento del male che mi ha distrutto per tutto il terzo giorno.



Ho dormito dalle 23 alle 5 di un sonno profondo, senza sogni, anestetico. E poi l'orrore. Quando mi sono alzato entrambe le ginocchia mi facevano un male lancinate. Mi sono dovuto appoggiare alla balaustra per superare i 3 gradini che portavano ai bagni. Scendere da quei 3 gradini invece è stato molto peggio. Bene, mi sono detto. Magari questa volta l'hai imparata la lezione, pistolero. Dovevo sbattere il muso contro l'ego ancora una volta. In ogni caso ho preparato un bella colazione sostanziosa, ho scritto un pò e sono ripartito nella fresca mattina verde tra gli alberi, che sarebbe cambiata presto. Molto presto. 



La salita è iniziata poco dopo aver costeggiato il fiume. Sale molto rapidamente e per un pò, scaldandosi, mi sembrava che ginocchia a caviglia stessero bene, almeno a salire. Finiti i primi 800 mt di dislivello rimaneva solo muschio, intorno. E i ghiacciai  Eyjafjallajokull  e Myrdalskokull di fronte a me. Il primo, enorme, sembrava Il massiccio della Maiella in inverno ma molto, molto più grande. Solo dopo ho scoperto essere uno dei ghiacciai più piccoli dell'Islanda. Rimaneva alla mia destra mentre camminavo e lentamentre si ingrandiva e si avvicinava. Il secondo invece prendeva quasi un terzo del mio campo visivo, salendo lungo le pendici del  Fimmvorduhals, e non era che una minuscola lingua di ghiaccio che si protendeva verso di me rispetto all'enormità della sua estensione. Mi sentivo come una formica che vede solo un pezzetto di bordo del coperchio di una gigantesca pentola, il cui orizzonte supera di gran lunga la portata dello sguardo. Mi rendevo conto a livello immaginativo della sua grandezza, ma anche così faceva una certa impressione. Era stupendo quel senso di piccolezza umana e insieme di coraggio nell'esplorare deliberatamente qualcosa di così vasto e potente. Varie lingue, solo le più periferiche della propaggini di ghiaccio erano visibili come tentacoli che stringevano in un gelido abbraccio tutte le montagne alla mia sinistra.
Qui è iniziato il vento fortissimo che mi ha accompagnato per tutto il giorno. Come negli altri due precedenti, solo molto più forte. La mattina del giorno precedente le raffiche che hanno quasi strappato la mia tenda nella piana di Alftavatn sono arrivate a 50 km orari. Qui, secondo il meteo, erano di circa 80 km/h  con punte di 90. A 80 km/h lo strato di calore che produciamo naturalmente è risucchiato via, ed era quello che sentivo nonostante avessi addosso tutti i vestiti che avevo.  La pressione del vento spinge contro i vasi sanguigni del cranio provocando mal di testa.  Le mie articolazioni, già duramente provate dovevano gestire il triplo del lavoro propriocettivo per tenermi in piedi nelle raffiche, infatti nei tratti in discesa a causa della stanchezza ho battuto il mio record arrivando a prendere 5 mini distorsioni alla stessa caviglia. L'orecchio esposto al lato del vento faceva male, nonostante tutti gli strati, compresa la giacca antivento. Il vento oltre a essere forte era anche gelido, causando il problema del wind chill e facendomi percepire una temperatura molto inferiore a quella reale. Non mi rimaneva che tenermi in movimento costantemente.












Sopra il ghiacciaio più grande, quello alla mia sinistra, era addirittura possibile  in diretta la nascita delle nuvole. L'aria sopra il ghiaccio, cerca di scendere lungo le sue valli a gran velocità a causa della differenza di peso rispetto all'aria più calda intorno e una parte viene sparata in alto, dove si condensa immediatamente in nostri di nuvole gonfie e scure. Tutta l'aria che avanza viene spinta come in una condotta forzata attraverso la valle che ci divide fino a dove mi trovavo, prendendomi continuamente a schiaffoni gelidi. In cima al punto più alto raggiunto si trovava il Magna, un cratere nato nel 2010 che ho scavalcato pensando che stavo camminando su una baby montagna appena nata. In tempi geologici questi pochi anni sono praticante un battito di ciglia. Il terreno nerissimo era battuto costantemente dal vento, tanto da polverizzarsi in una sabbietta abrasiva che si infilava ovunque, col vento. Era però un tratto veramente epico. Mi sentivo stupidamente euforico, tutto imbacuccato e ingobbito contro il vento, ad attraversare un tratto di deserto solo. Solo i pali gialli e neri a segnare un sentiero invisibile, a parte qualche impronta recente che stava già venendo sfumata dal vento. Salite e discese, le ginocchia che bestemmiano, ancora altri sali e scendi, di cui una discesa su terreno franoso che mi ha fatto scivolare di culo per alcuni metri su un una sorta di sabbia giallo ocra umida e morbida che aveva sotto il ghiaccio. Meglio, mi ha fatto fare meno fatica. Sono finito in fondo a una piccola valle piena di crepe ghiacciate o fangose, affondando fino alle caviglie. Poi un'altra salita su un pezzo di ghiaccio che nascondeva tra le crepe delle sfumature di blu intenso, e arrivando in cima...ho visto finalmente l'oceano. Linea  grigia nascosta tre le nuvole. 



Ancora molto lontano, ma era li che sarebbe finito il mio trekking. Il dolore alle ginocchia purtroppo è peggiorato sensibilmente, altrimenti quella sarebbe stata la giornata più epica di tutto il viaggio. Lo è stata ugualmente, ma la lunghissima discesa fino all'oceano è stata la parte più dolorosa, purtroppo. Il vento spingeva di qua e di là sempre, cattivo. Superato l'ultimo bivacco, il Baldvinsskali,  la discesa prosegue infinita. Purtroppo a causa del dolore non mi sono goduto le stupende cascate del fiume Skoga, famoso solo per l'ultima che è davanti all'oceano, la cascata Skogafoss. Ma anche tutte le altre che la precedevano erano incredibili. 







Giunto infine a Skogafoss,  alle 16 ,( foss significa cascata in islandese), ho piantato sul prato la tenda, come al solito. Sono partito alle 7 e 30 quella mattina. 25 km ,1800 mt di dislivello in condizioni decisamente dure. Qui finisce il mio trekking. un totale di circa 80 km in 3 giorni, con alcuni dei panorami più incredibili che  abbia mai visto. Surreali, duri, a volte quasi alieni, solitari o allegri, come le lande deserte il ribollire rumoroso dell'acqua nelle solfatare.



Una delle avventure più dure e più belle della mia vita. Se tornassi indietro la rifarei solo un pò più lentamente, per godermela.



 

Quella notte ho dormito senza neanche i tappi, nonostante il fragore della cascata lì vicino. La mattina dopo ho provato a fare autostop fino a Reykajvìk ma nessuno mi ha tirato su, così alla fine pagando ho preso il pullman che mi ha riportato in città, dove mi sarei goduto un pò di riposo.









Reykjavìk


Avendo fatto il trekking così rapidamente i miei calcoli sui voli e sui giorni che avrei passato in città si sono un pò sballati. Ma questa è stata un'opportunità per rendere più profondo il legame con la parte più sociologica dell'Islanda e degli islandesi. Viverne solo la natura avrebbe rappresentato solo una fetta, per quanto buona e abbondante, dell'esperienza ISLANDA. Quindi ho passato altri 5 giorni  Reykjavìk tra esplorazioni, riposo, e il mio grande vizio: passare in rassegna TUTTI  i negozi di materiale da escursionismo della città, sbavando per tutto quello che vorrei comprare e che non posso permettermi. Non sto a raccontare ogni cosa vista della città, ogni angolo e ogni gatto (ci sono molti gatti che si fanno coccolare nei negozi o nei dintorni delle case). Metterò qualche foto e pochi dettagli. 
Appena sono arrivato in città, scendendo dal bus, ho sentito una musica provenire da qualche incrocio più avanti e sono andato ad indagare. Bandierine  e vestiti arcobaleno ovunque.  Dopo quei giorni di silenzio e solitudine sono stato letteralmente investito dal pride che ho scoperto si teneva quel giorno in città. E' stato bellissimo ricevere un benvenuto del genere, o così almeno io l'ho sentito. Carri, musica a palla, c'era una grandissima energia, quel giorno. Ho seguito il corteo fino al parco della città dove si sono riunite migliaia di persone. Ok, così era un pò troppo per iniziare. Dopo un pò sono andato in ostello a registrarmi e a riposare.
la cazzedrale della città.




 
Una mattina, annoiandomi perchè non sapevo cosa fare ( cosa importantissima, annoiarsi, quando si viaggia) su consiglio di un amico ho disegnato un pò. Come nel processo dello stone balance non mi importava del risultato, volevo solo imprimere le mie emozioni di quel momento con scorci, edifici, o attimi casuali, che casuali non sono mai. 
Un'altro giorno mi sono regalato l'esperienza delle terme di Sky Lagoon, nuovissimo impianto termale fuori dalla città che dà direttamente sul mare. Stupendo e non affollato come pensavo.

Un'altro giorno non sapevo bene cosa fare, per via dei pochissimi soldi rimasti. Così ho controllato sul conto corrente, per sapere quanto piangere. E ho scoperto, che l'infame compagnia aerea delle 6 ore di ritardo mi aveva rimborsato i soldi del viaggio. Miracolo. Allora ho deciso di farmi qualche piccolo regalo, grazie a questa botta di culo, e sono andato a mangiare cosine sfiziose, tra cui il famoso e incredibile salmone islandese. un blocco di 400 grammi di salmone che mi sono fatto in padella a colazione, incredibile. Oppure il ramen più buono della città. E un altro giorno ho prenotato il giro in barca per andare a vedere le balene. Balene non ne ho viste, a parte qualche pinna che affiorava per un attimo, però ho visto le pulcinelle di mare, e comunque è stato bello vedere la costa e la città da lontano,  in mare quasi aperto.




















Ho avuto dei momenti di inquietudine, osservando il tramonto alle 23 passate, e dei bei momenti di pace, nella vasca di sky lagoon o facendo un pò di Tai Chi davanti all'oceano. Durante uno di questi momenti di pace ho sentito giungere a qualcosa, nella mia mente. un traguardo, forse un'intuizione. ma è sfumata appena ne sono diventato cosciente, ed è sparita, qualunque cosa fosse. Peccato. 
 A volte invece era un pò dura essere da soli a godere di questa bellezza, e nessuno di importante con cui condividerla. In ogni caso questi luoghi mi hanno lasciato qualcosa dentro, come accade sempre durante i viaggi. Non mi resta che tornare in futuro, perchè non ne ho visto che una minima parte.


Vorrei sapere 
come mi sento, Islanda,
tu mi confondi.

giovedì 17 agosto 2023

Islanda, 2023 -Laugavegur Trail (prima parte)

 Islanda. Come suona uscito da un romanzo di Jules Verne questo nome. Ha sempre evocato un luogo così lontano e selvatico che forse per anni ha rappresentato per me l'idea stessa di natura primordiale, non toccata dalla mano dell'uomo. Volevo andarci da tempo, ma per diverse ragioni prima non sarebbe stato il caso. Volevo assaporare la durezza di una terra leggendaria ma anche sentire gli odori i sapori e i colori di chi in quell'isola ci vive. Quindi il piano prevedeva un paio di giorni a Reykjavìk, poi un trekking in completa autonomia, il Laugavegur trail e poi il Fimmvorduhals, della durata di circa 5 o 6 giorni in solitudine e in autonomia di cibo, per poi i giorni restanti stare di nuovo a Reykjavìk per riposare e viverne la cultura, prima di tornare a casa. 

Il mio viaggio è iniziato con 6 ore di ritardo dall'aeroporto di Malpensa. Caldo, attesa, lamentele. Ma poi volando sono stato ricambiato del disagio con 4 ore di crepuscolo costante. Questo viaggio è stato costellato di cose tolte e date, per chi le sa vedere.

Sono arrivato all'una di notte, con un cielo che prometteva di li a poco un'alba che in realtà non arriva fino alle 4. Dei due giorni a Reykjavìk che avrei voluto usare per ambientarmi e per noleggiare l'attrezzatura che non potevo portare in aereo me ne è rimasto solo uno, prima di partire per il trekking.  Già durante il trasferimento  dall'aeroporto alla città ho avuto un assaggio del meteo islandese: da cielo terso a pioggia nel raggio di 50 metri, letteralmente. Una doccia rapida in ostello e a letto. 



Il giorno dopo ho girato un pò per la città lasciandomi guidare dalla psicogeografia, con un sole gentile e 14 gradevolissimi gradi. Le temperature estive islandesi sono una delle cose che mi mancherà di più. Reykjavik è una città relativamente piccola, con 120'000 abitanti, ma molto viva e attiva. Di questo ne parlerò più avanti, avendo vissuto meglio il carattere della città tornato dal trekking, quando forse ero anche più ricettivo. Intanto però posso dire che oltre a essere estremamente costosa ( l'Islanda è in assoluto il paese europeo più caro) questa città ha saputo regalare guardando oltre le solite mete turistiche (la via dello shopping e dei negozietti turistici e dei monumenti) molti angoli di inaspettata bellezza semi nascosti tra le piccole casette con giardino dei vicoli. E' lì che ho trovato le cose che mi hanno emozionato di più.

Però vedere anche il monumento a Leifr Eriksson di fronte alla chiesa di Hallgrimskirkja mi ha colpito. Specialmente dopo aver finito di vedere Vinland Saga pochi giorni prima della partenza.







il Sun Voyager, la nave dei sogni e della speranza mentre brilla nel sole, si affaccia sull'oceano.

Il cielo è mutevole, e così il colore del tratto di oceano che vedo nella baia della città muta colore e riflessi fino alle montagne in fondo. Il primo giorno è solo di passeggiate ed esplorazioni casuali.



Il Laugavegur trail 

Giorno 1

Il giorno dopo alle 7 parte il bus per Landmannalaugar, dove inizia il Laugavegur trail, 55 km nel sud ovest dell'Islanda. Avevo diversi timori riguardo a questo viaggio e il principale anche se può sembrare stupido non era il trekking in sè, ma il viaggio in bus per arrivarci. Ho sempre sofferto di mal d'auto, ma negli ultimi anni è andato peggiorando, e temevo nausee e un viaggio disagevole, essendo per metà su sterrato ( si viaggia infatti su un bus con ruote maggiorate per poter affrontare il terreno irregolare e i piccoli guadi che deve affrontare). Invece è andato benissimo. Già poco dopo essere usciti dalla città si può vedere il terreno scuro, di origine vulcanica, con pochi ciuffi d'erba a crescerci sopra a stento. Più avanti torri di vapore salgono dalle stazioni geotermiche fuori dalla città, che riforniscono di energia e acqua calda ( che a volte nelle case odore di zolfo, ma non è spiacevole) i dintorni. Iniziato il tratto su sterrato ho notato immediatamente sulle montagne circostanti qualcosa di diverso dalle nostre montagne, qualcosa che ho molto apprezzato e che apprezzerò ancora di più nei giorni seguenti: niente tralicci elettrici, niente croci, niente madonnine o cappelle. Le montagne qui vengono lasciate libere. Gli occhi non hanno nulla con cui distrarsi, possono finalmente concentrarsi sul loro profilo che si staglia contro il cielo e sui loro colori. Che bello non vedere traccia umana. Infine siamo arrivati al campo base, dove una moltitudine di tende e di gente con lo zaino era sparsa per l'altopiano che segna l'inizio del sentiero. Un'altra cosa che temevo era l'assembramento. Questo trekking neglu ultimi hanni ha acquisito una certa fama ( anche io l'ho scoperto tramite un video di youtube) ed ero preoccupato di avere sempre gente intorno che chiacchierava, come su certi tratti del cammino di Santiago. Ma alla fine, proprio come sulla Via della lana e sulla Via del sale sono stato fortunato. Ma andiamo con ordine. 
La temperatura era leggermente più bassa che in città, c'era il sole e un venticello piacevole ( ricordatevi, o voi che leggete queste parole- venticello piacevole). comunque non c'e' da illudersi riguardo al meteo. In Islanda si dice che se non ti piace il tempo basta aspettare 5 minuti e peggiorerà. 
 C'e' gente di ogni dove che sistema le ultime cose, stringe le cinghie di zaini enormi e parla coi compagni eccitata. Asiatici, molti americani e inglesi, spagnoli, e qualche francese. A differenza di quasi tutti io ho cercato di raggiungere lo stato dell'arte dello zaino, per quanto possibile. Giorni di pianificazione e preparazione mi hanno permesso di fare stare tutto l'occorrente per un trekking in autonomia con temperature autunnali e il cibo per 4 giorni in un bagaglio a mano e sotto i 10 kg, Ma in realtà avendo voluto risparmiare qualche soldino ho dovuto portarmi dietro anche cose non necessarie al trekking che non avrebbero fatto che pesarmi sulle articolazioni, come i vestiti per la città, lo zainetto piccolo per le esplorazioni e altro. Pazienza. Si inizia subito a camminare tra campi di roccia vulcanica nera leggermente lucida ma diversa dall'ossidiana, più spugnosa. sullo sfondo rosse montagne di riolite tutte striature e sfumature danno quasi la sensazione di essere su un altro pianeta ( questa sensazione sarà molto più forte nei giorni seguenti, attraversando il tratto di deserto in completa solitudine). Rapidamente gli hikers si spalmavano sulla distanza, e davanti e dietro di me vedevo poche persone e lontano. Sono in Islanda e sto facendo  quello che è stato definito uno dei trekking più belli del mondo.
 
In Islanda, solo.










Poco dopo sono iniziate le prime solfatare, piccole crepe nel terreno dalle quali escono sbuffate di vapori caldi solforosi ,umidi e dall'odore di uova marcie. Rapidamente però aumenta la pendenza e si sale. Il terreno cambiava rapidamente colore ( niente erba o alberi a coprire il terreno qui, a causa dalla forte acidità del terreno ) e se ne potevano vedere chiaramente le transizioni. A volte compaiono piccole pozze di acqua bollente o buche da cui schizza fuori acqua ad alta temperatura in maniera irregolare, come se stesse tossendo. Dava una strana sensazione vedere questi fenomeni e sentire sotto di sè la terra calda. Viva e vibrante e inquieta, così diversa da quella che calpestiamo di solito. Fa capire la sua potenza. Raggiunto alle 14 il primo punto tappa, Hrafntinnusker, si è posto il problema che mi ha fatto fare un errore durante questo viaggio. Sono arrivato al punto tappa molto presto, le gambe stavano bene e il meteo era  ideale, quindi invece di fermarmi ho deciso di proseguire. Non so se per l'ansia di non farcela in tempo (in tempo per cosa) o solo perchè ero smanioso di voler vedere di più ho continuato, facendo 2 tappe in una.  Negli ultimi due anni, essendomi abituato a camminare abbastanza, ero settato sul fare almeno un tot di km al giorno e mi sono dimenticato che questo trekking era diverso. Andava gustato lentamente, senza fretta, fermandosi spesso ad ammirare l'incredibile paesaggio. Invece dopo una rapida pausa pranzo ho proseguito.  Era come essere in mezzo un gigantesco Campo imperatore, ma scosso da un terremoto e  20 milioni di anni nel futuro, se potete capire cosa intendo: Il terreno più accidentato, le montagne consumate dal tempo. Chiazze di muschio del verde più intenso che abbia mai visto crescono vicino a i torrenti di acqua bollente che esce dalle crepe. Neve ghiacciata da superare nei pezzi più nascosti al sole. 





Qui la terra è nerissima. Sembra carbone sbriciolato, che contrasta ancora di più col bianco della neve e il verde del muschio e il blu del cielo. Ci sono pochi colori, ma tutti molto intensi. E' pace per gli occhi. Poi è iniziata la distesa di pezzi di ossidiana rotti, come vetri neri lucidi. Alcuni splendevano al sole.  Il mio zaino pesa troppo comunque, sto iniziando a pensarci, dopo una ventina di km . Qui in mezzo all'ossidiana trovo il cumulo di sassi dedicato a Ido Keinan, un giovane escursionista che qui trovò la morte nella tormenta a solo un km dal rifugio di Hrafntinnusker. Mi ci sono fermato un attimo in contemplazione e ho continuato il mio cammino. 


La terra cambia ancora colore, e su quelle colline inizio a sentire un pò di quel vento gelido e fortissimo che mi accompagnerà ( sarebbe meglio dire mi torturerà ) per i prossimi giorni...costantemente. Sto facendo una esperienza pazzesca, e me ne rendo conto a 7 o 8 km da dove mi fermerò, quando si apre di fronte a me un panorama difficile da fotografare senza fargli un torto, specialmente col mio telefono. Montagne appuntite o consumate dalle pendici arrotondate per la presenza in passato di ghiacciai,  il lago in lontananza  ( Alftavatn, dove mi fermerò  quella sera prima), e più lontano ancora, le propaggini dei due ghiacciai che fra qualche giorno dovrò raggiungere e superare ( vi risparmio i nomi per adesso). 



Inizia la lunga discesa fino al lago. Sono stanco. Gli ultimi km nella valle del lago li ho fatti un pò trascinandomi, ma almeno al primo guado di questo trekking sono riuscito a trovare una via saltando da un sasso all'altro, a differenza degli altri escursionisti a cui è toccato togliersi pantaloni calze e scarpe e attraversare l'acqua gelida (questo sarà l'unico fiume che riuscirò a guadare in questo modo). 

Arrivato nei dintorni della hut sono andato dalla custode (che per qualche motivo sono solo giovani donne) ho pagato la mia quota e le ho chiesto facendo il massimo degli occhioni se potessi caricare il telefono.  

In Islanda normalmente è vietato il campeggio libero. Bisogna quindi campeggiare (se si vuole farlo in tenda si paga circa 20 euro, 100 per dormire in rifugio) intorno alle casette che formano il rifugio vero e proprio e i piccoli edifici adibiti a bagni e a ristorante. Ho piazzato come prima cosa la tenda picchettandola con tutti i sassi a disposizione e sono andato a fare la coda per doccia. Si, a volte ci sono le docce. Con 500 corone (4 euro) si hanno 5 minuti di acqua calda a disposizione.  le 500 kr meglio spese di tutto questo viaggio. Faceva freddo e il vento tirava. Non come durante la notte e la mattina dopo, ma tirava. Mentre mi preparavo della polenta col mio misero fornellino riparandomi dietro una palizzata un signore del rifugio mi è passato davanti con in mano un pentolone di zuppa avanzata e me ne ha caritatevolmente regalato una mestolata. Ho amato quell'uomo e quella mestolata di zuppa calda. Il sentiero toglie e il sentiero da.

Comunque ero così stanco che non mi sono neanche spinto a fare 2 passi fino al lago, ho cercato dopo la doccia di fare un pò di stretching in tenda e sono crollato.







Giorno 2

La notte è stata molto agitata, con raffiche fortissime di vento. Sono comunque riuscito a dormire qualche ora, nonostante la tenda schioccasse come vele di una nave nella burrasca. Alle 3 e mezza di mattina ero già sveglio. Non per luce, che comunque lì non manca, per la pioggia e il vento fortissimo che mi faceva temere che volasse tutto via, me compreso. 


Poco dopo infatti il picchetto che sosteneva la maggior parte della tensione della tenda controvento è schizzato via facendo crollare  e gonfiare mezza tenda. Sono scito al volo in mutande per sistemarla come potevo fino al primo momento buono per sbaraccare. Alle 6 durante una breve pausa dalla pioggia, ho smontato tutto velocemente. Ho cercato di farmi un caffè  e sono ripartito. Pioggia per le prime ore della mattina e vento forte, ma sono stao fortunato, tutto sommato. Ha piovuto solo quella mattina, mentre camminavo. L'idea era di fare 19 km fino a Emstrur, ma anche stavolta non sono stato capace di ascoltare la voce della saggezza. Durante la mattina ho affrontato il primo guado serio del viaggio. Un fiume basso e largo che mi arrivava poco sopra alle ginocchia, ma che sembrava non finisse mai, tanto era il dolore alle gambe per l'acqua fredda. 

Appena superato si rimettono calze e scarpe e qui è iniziata la sezione per me più bella ed epica di tutto il trekking. Il deserto calmo. Da non confondersi col deserto marziano incazzato nero che avrei trovato più avanti. 

Un'enorme pianura nera circondata da montagne verdi di muschio. Una pianura spettrale e bellissima, che nei primi km era ammantata di nebbia e che poco dopo si  sarebbe aperta rivelandone ancora di più la bellezza. Le foto non rendono giustizia nè della sensazione di epicità che dava l' attraversarla da soli nè della sua bellezza essenziale. Quasi Zen.








Camminando in solitudine in questa landa di una spettrale ho avuto modo di riflettere. Molti sapendo cosa sarei andato a fare mi hanno detto che avrebbero paura a viaggiare da soli, come a passare notti nel bosco o esplorando in solitudine. Io viaggio solo perchè credo che in ognuno di noi ci sia un deserto. Molti non vogliono neanche vederlo, figuriamoci attraversarlo. E' uno spazio che disorienta per la sua estensione. Si può provare a riempirlo con gli oggetti, con i status simbol, con le proprie paure. Con le distrazioni.

Oppure si può scegliere di entrarci e ci si può perdere, forse trovando sè stessi. Questo è quello che cerco di fare. A volte è doloroso e fa sentire soli (nell'accezione  di soli al mondo, soli spiritualmente, non di soli in un luogo) come poco altro. A volte è bellissimo perchè regala un grande senso di libertà, è una di quelle cose che da senso alla nostra vita. Stiamo facendo quella cosa perchè abbiamo scelto deliberatamente di farla. Non ci hanno portati a farlo. Non ci hanno condotto delle circostanze. Lo abbiamo scelto noi. E poi tra i simboli Jungiani il deserto è luogo di trasformazione. Nulla se non noi stessi. Nulla da costruire e con cui distrarci. Questa sezione del percorso è quella che ho amato di più, con la sua...quiddità. Un vuoto stupendo, e tutto per me. 

L'altopiano dopo diverse ore finisce, in tutto una ventina di km. Sono arrivato a Emstrur per un'altra veloce pausa pranzo, ma non avevo praticamente fame. Mi sono fermato, essendo uscito il sole, solo per far asciugare tenda e quilt e vestiti, prima di ripartire. Perchè non fermarsi qui? C'e' spazio per le tende, ci sono i bagni, la vista è quanto di più bello potrei desiderare. Ma una voce mi chiama, mi dice...anzi mi impone di continuare a camminare, ed io non posso far altro che ascoltarla. Però sto lentamente imparando. Vado già più piano di una volta. Quando avrò ammansito questa ansia dell'andare diventerò il viaggiatore illuminato, liberato del tutto dalla smania del vedere tutto e subito. Di quella smania del turista di fare, pur di riempire quel vuoto . Il viaggiatore arriva e si fa ispirare. E io sentivo di voler ancora  camminare, quindi penso di essere sulla buona strada, ma non sono ancora arrivato.

comunque a fine giornata, prima di arrivare a Thormsork ho dovuto affrontare il guado più pericoloso di tutto il viaggio, di cui non ho fatto foto, troppo preoccupato a sopravvivere. Sono arrivato  d fondo valle, dove il fiume si allarga e si calma, dopo il suo corso turbolento tra le montagne. Pensavo che avrei trovato un torrente pigro, largo e basso, come quello della mattina, essendo praticante in piano. Invece il ghiaccio in fase di scioglimento ha gonfiato il fiume  e ne ha fatto scavare i vari corsi, che si incrociavano e si dividevano. Ho cercato per diversi minuti un pò più a monte e un pò più a valle un tratto che sembrasse più tranquillo. Niente da fare. Ho cercato di sondarne in vari punti la profondità coi bastoncini. andavano proprio giù. 

Va bene. Ho sigillato lo zaino, messo via telefono e cose importanti, tolto tutto fino ai pantaloncini e ho deciso per un punto x in cui attraversare. Avevo una preparazione solo teorica di cose si guada un fiume pericoloso. Poco ma meglio di niente. Bisogna fare piccoli passi, andando leggermente di traverso contro corrente, per non subire tutta la forza in maniera perpendicolare. E io sono basso, oltra a non saper quasi nuotare. 

Ottimo. 

un passo alla volta sono entrato nella corrente. Dopo il primo passo che arrivava alle ginocchia il secondo è affondato immediatamente nel fondo sassoso fino ai fianchi. Il freddo mi ha spezzato per un attimo il piano ma ne sono subito dimenticato, quando ho sentito la forza della corrente che cercava di trascinarmi via. Con i bastoncini ad aiutarmi però era come avere 4 gambe. Quindi passi piccoli fino al centro del fiume. piccoli e controllati. E fare il prossimo solo quando ci si sente stabili. 

Proprio mentre camminavo nel centro del letto del fiume ho sentito la stessa sensazione di quando si fa equilibrio in altezza:

 se fossi riuscito a mantenere la calma l'avrei superata senza problemi, un passo alla volta.  A un metro dall'altra riva è diventato ancora più profondo, arrivandomi alla pancia, ma la corrente era meno forte. Ancora qualche passo e mi sono arrampicato sull'altra riva. Andata. Mi sono guardato indietro. Non pensavo a nulla. Ho rimesso calze e scarpe e ho ripreso il cammino. Li è iniziata l'ultima collina da scavalacare prima di Thorsmork, dove mi sarei fermato. E sorpresa... camminando su per la collina incontro degli alberi. Piccole betulle e ontani tutti storti per il vento. Ma pur sempre alberi. E' stato strano rivedere tutto quel verde dopo giorni di terreno spoglio. E soprattutto sentire il suono del vento tra le foglie. Mi sono fermato qualche volte a goderne. In cima alla collina le mi gambe hanno detto basta, ma dovevo ancora scendere. L'ultimo km l'ho fatto zoppicando. Infine sono arrivato al campeggio di Thorsmork, che segna la fine del Laugavegur trail.  55 km in due giorni. Se ne avessi messi 3 o 4 sarebbe stato molto meglio. Una lezione per il futuro. Non contento, arrivato a Thorsmork ho scoperto esserci un altro campeggio, dall'altra parte della valle, che mi avrebbe fatto risparmiare 2 km nella tappa di domani. E che fai non vai? Così, mezzo morto ho attraversato un altro ramo del fiume, stavolta però usando i ponti mobili presenti sul percorso (si, ponti con le ruote) fino all'altra riva, dove una strada sterrata porta all'inizio del Fimmvorduhals, il sentiero col maggiore dislivello che mi farà superare il passo che si inerpica tra due ghiacciai per giungere fino all'oceano.

Infine, al tramonto, arrivo a Basar, un bel campeggio immerso nel bosco, dove gli edifici sono perfettamente integrati e nascosti, con morbide chiazze d'erba in piano dove i picchetti della tenda penetrano in maniera quasi oscena. Ho camminato dalle 7 di mattina alle 9 di sera. Mi sento stupido ad averlo fatto. Lo ripeto per me stesso, in maniera da poter rileggere questo post fra qualche anno per vedere se nel frattempo ho imparato la lezione. Nessuno mi correva dietro, mannaggia a me. Comunque  come sempre la prima cosa è stata piazzare la tenda, poi ho mangiato con i simpatici ragazzi americani che ho conosciuto lungo il sentiero e che a volte ho ritrovato ed ero così stanco  a fine giornata o in mezzo al percorso. Shawn, Frank e Kathy. Ero così stanco che ricordo di non essermi neanche fatto la doccia, cosa incredibile, per me che è essenziale andare a dormire con la sensazione di essere pulito. Con uno sforzo di volontà mi sono imposto di fare stretching perchè le ginocchia urlavano e sono morto nel sacco a pelo. 

Continua nella seconda parte.