mercoledì 8 dicembre 2021

missioni a lungo raggio 2.0

 Ieri davano neve, e ho voluto cogliere l'opportunità per un allenamento diverso: 30 km a piedi sotto la neve. Volevo anche testare della nuova attrezzatura e nulla è meglio di una bella camminata in condizioni difficili. L' idea originale era quella di fare il periplo del sacro monte di Varese, una larga montagna che segna proprio l'inizio delle prealpi e alle cui pendici sorge la mia città. 40 km. Ma una volta fatto lo zaino e partito ho realizzato che non mi sarebbe bastato il tempo per farlo in giornata. E poi non sono abbastanza allenato per completarlo. Così ho optato per un giro diverso, di circa 30 km.  Varese-passo Varrò- Brinzio Varese, con equipaggiamento minimale e con l'idea di farmi anche un fuocherello sotto la neve.  Ho iniziato a camminare alle 10 esatte e sono tornato alle 17. 


Dopo aver attraversato il centro ed esserne uscito ho finalmente lasciato alle spalle le ultime case e mi sono addentrato nel bosco. una certa stanchezza ha iniziato a farsi sentire e appena ho potuto mi sono fermato un attimo per mettere del leukotape sotto i piedi prima che si formassero delle vesciche.  Barretta energetica e riparto. Dopo un'altra mezz'ora, in pieno bosco, seguendo il sentiero candido di neve e senza alcuna impronta ho trovato un riparo di fortuna dove mi sono fatto un caffè caldo e ho meditato per un quarto d'ora.  

Il silenzio era perfetto.  Dopo alcuni minuti di immobilità le cince e i pettirossi hanno iniziato a scendere dai rami alti dei faggi più vicino a me, e potevo sentire il frullìo delle loro ali. 


caffè caldo con fornello ad alcool ultralight autocostruito


E' sempre più bello meditare fuori. C'è qualcosa nel silenzio del bosco ( che non è mai un silenzio perfetto ma, ma un sottofondo di tutti i suoni naturali di un bosco) che  mi concilia la meditazione. E in quei suoni di sottofondo l'ego si assopisce più facilmente, permettendomi di ascoltare e di ascoltarmi meglio. Comunque sono anche uscito per testare, come scritto sopra, dell'attrezzatura che voglio usare per futuri trekking e viaggi:
-Rain skirt, gonna da pioggia in silnylon che fa egregiamente il suo dovere e che mi dà +1 in stile;
-guanti cinesi impermeabili con imbottitura interna per le basse temperature;
-baselayer in lana merino che anche se umida tiene caldo;
tasche sugli spallacci autocostruite per telefono o bottiglie d'acqua.


Dopo la meditazione ho affrontato la salita al passo Varrò dove ho trovato una bella foschia insieme alla neve che continuava a cadere. Sono poi sceso a Brinzio da dove, costeggiando la strada, sono tornato fino a Varese e quindi a casa. 30 km netti coi piedi asciutti.

Questa è stata solo una passeggiata. Ma utile. Come giocare, ma impegnandosi  nel gioco.

"Meditare ha la stessa radice della parola medicina, è cura e prendersi cura. La parola pali per meditazione è bhavana. che significa coltivare, ma anche camminare avanti."- (Chandra Livia Candiani, il silenzio è cosa viva)



mercoledì 28 luglio 2021

Le fragili ali di Icaro




Questa riflessione parte dalle dichiarazioni di alcune atlete professioniste che stanno gareggiando alle attuali olimpiadi di Tokyo 2020, che, schiacciate dalle aspettative e dallo stress da prestazione, si sono ritirate  ( come Simone Biles, la ginnasta più decorata della storia) o altri atleti che hanno affermato di non farcela più. Ovviamente la mia riflessione porta alle competizioni nel parkour, dato che la competizione è l'eterna parola che sta sempre tra sconfitta e vittoria, al di là del risultato personale, e che porta inevitabilmente al grande demone del nostro tempo, lo stress. Simone Biles si ritira da quello che dovrebbe essere il più grande sogno per un atleta, l'olimpiade, perchè ha dichiarato di "avere i demoni nella testa". Sicuramente ci sono molti atleti professionisti che non hanno problemi a gestire questa pressione, ma se anche se a uno (non uno qualsiasi, quando si parla del livello di Simone o di Naomi Osaka, tennista numero 2 al mondo ritiratasi anch'essa per la troppa pressione sociale data dall'essere stata costretta a difendersi nelle conferenze stampa) succede significa che qualcosa non va. Quello che presto succederà nelle competizioni di parkour (che già succede a livello di infortuni di fronte a folle urlanti) per ora è apparentemente assente, o nascosto dietro sorrisi e dichiarazioni di appartenenza a comunità,  di competizioni amichevoli e di "giochi". 
Lo sport potrebbe essere una forma di educazione straordinaria, ma indipendentemente dalla disciplina dobbiamo capire di che sport si tratta. E non parlo di quale disciplina, ma del livello. Chiaramente le olimpiadi sono il massimo dello stress possibile, a volte insopportabile, ma quello che preoccupa me è il livello in cui lo sport dovrebbe essere per tutti. Già vedo ragazzini sotto pressione perchè non riescono a fare subito quello che fanno i pro, gli influencer, o i praticanti più esperti intorno a loro. E nessuno che gli dica di divertirsi. Questo  non significa non si debba mirare a un miglioramento, ma fa capire quanto poca educazione allo sport ci sia nel nostro paese, tutto teso verso la perfezione. O si è campioni o si è invisibili. Esisti se performi, soprattutto nell'epoca di Instagram. Altrimenti sei semplicemente non ci sei. Se negli altri sport sono i genitori a spingere i figli all'essere i migliori a ogni costo o a fare mille attività, nel parkour penso siano i social oggi a fare da genitori ansiosi. Mi ricorda sembra quella di  Dedalo che spinge il figlio Icaro a volare in alto, tanto da far sciogliere la cera perchè troppo vicino al sole e precipitare. Forse per le persone più serene e critiche questa pressione non supera il bisogno di ascoltarsi, ma non è così per tutti.  Nelle competizioni di parkour c'è necessariamente uno standard cui attenersi, sia esso numerico, cronometrico, estetico o di altra natura. E se ci si sottomette a uno standard non c'e' spazio per l'ascolto e il dialogo interiore. Molti sportivi (e non solo sportivi, ma persone impegnate in attività o in carriere importanti di fronte al rischio del fallimento hanno trovato una soluzione che anche nel parkour è presente. Sostanze rinforzanti, eccitanti...o doping. Quello che è successo a queste atlete secondo me deve far riflettere sul bisogno di equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, tra performance e gioia della pratica, tra il bisogno di ascolto interiore e la pressione a rimanere sempre connessi ed esposti.
Io non sono contro le competizioni. Fin da piccolo ho amato guardare le olimpiadi, gli opens, i gala. Le gare sono una figata. Quasi tutte le discipline mi appassionano. Ma sono ancora convinto che il parkour/ADD sia di una natura diversa. Un percorso intimo. Che può e deve includere il confronto con gli altri oltre naturalmente che con se stessi. Ma superando la barriera del confronto entrando nel mondo della competizione l'ascolto interiore verrà annullato, sottostando alla misurazione di tempi, di standard qualitativi o quantitativi e attraverso misurazioni oggettive.
Sta diventando quella che definisco "Pratica a cottimo". Più grosse sono le cose che fai più guadagni. In ego, followers, money, approvazione, views. Fate voi.  


Io sono ancora convinto che per migliorare serva l'opposto della competizione. 
La cooperazione.

venerdì 16 aprile 2021

L' albero

C'è un albero, dentro di me
trapiantato dal sole
le sue foglie oscillano come pesci di fuoco
le sue foglie cantano come usignoli.


In questi giorni mi è venuta voglia di ricominciare a lavorare sulla forza di tirata, ma non mi andava di fare le solite trazioni. Inoltre non mi arrampicavo da un pò, così ho provato una sfida. Mi aspettavo un allenamento noioso e ripetitivo.

Invece si è rivelato molto interessante per vari motivi. Scrivo questo breve post perchè penso possa essere utile condividere le mie impressioni  su un lavoro particolare e credo non così usuale tra i praticanti sia giovani che vecchi. 

La sfida è stata quella di trovare un albero adatto e arrampicarmici 32 volte (che poi sono diventate 36). Negli  ultimi giorni ho girato per Varese per trovare quello giusto, ma o erano piccoli, o pieni di rami morti o troppo vicini alla strada, e io volevo lavorare tranquillo. Poi fuori città ne ho trovato uno adatto, anche se piuttosto basso. Una giovane quercia che salivo quasi fino in cima, dove il tronco sottile si divideva, per formare la chioma, per circa 8 o 9 metri.

Veniamo alla sfida e poi alle impressioni. 

All'inizio faceva freddo, per essere metà aprile e avevo maglia termica e felpa.

La prima difficoltà è stata usare i giovani rametti nati negli ultimi anni senza danneggiarli, ma con attenzione e delicatezza sono riuscito a non spezzarne nessuno. La seconda è stata lo strato di lichene polveroso presente su tutto il tronco, ma non sui rami. Evitare che andasse negli occhi. A parte quello era un albero bello, da arrampicare. Le sensazioni provate sono state molte e particolari: i primi 10 o 15 giri mi sono serviti per capire il percorso più facile da seguire e il più sicuro in termini di robustezza dei rami. L'arrampicata sugli alberi è molto bella ma è da non sottovalutare. E' facile dimenticare di avere sempre tre appoggi o appoggiare e aggrapparsi a un ramo troppo sottile o fragile perchè non in salute.  Dopo aver saggiato la portanza dei rami che  ho deciso di usare ho iniziato  a prendere confidenza col percorso che all'inizio facevo molto piano e ho aumentato la velocità. 

 Faceva freddo ma stavo in maglietta adesso.

Inoltre, non dovendo arrampicarmi per molti metri ho deciso di darmi 5, 10 secondi al massimo di riposo tra un giro e l'altro, per mantenere alto il battito e rendere la sfida più interessante. Fino a qui lo sentivo come un lavoro di forza piuttosto intenso, con le salite e le discese lente, con molti movimenti eccentrici per scendere da un ramo all'altro e molte transizioni simili alla muscle up.  Molto pumping muscolare. Una volta capiti gli appigli e gli appoggi ho iniziato a muovermi davvero in fretta e in quel momento la concentrazione cosciente è diventata più profonda e naturale,  lo sforzo fisico è diminuito perchè distribuivo meglio il peso tra braccia e gambe, come quando si fa un percorso lungo per molte volte e diventa automatico. Non è più necessario pensare a ogni movimento, ma viene tutto da sè. 

 Intanto dopo le nuvole ha iniziato a piovigginare leggermente e poi ha continuato, quando è uscito un tiepido sole. 

Vicino all'albero c'era un campo da calcio pieno di ragazzi che giocavano urlando e bestemmiando, e io non li sentivo neanche. C'era solo un ramo dopo l'altro, piedi e mani che si spostano veloci e sanno da soli dove andare, lasciare e prendere, stringere per il tempo e con la tensione necessaria. Davvero una bella sensazione. Così sono arrivato a circa 27  o 28 giri. A quel punto la stanchezza ha iniziato a farsi sentire e ho diminuito un poco la velocità  per permettere  alle mani di prendersi il tempo giusto per afferrare con sicurezza i rami. In tutto questo ho trovato più faticoso scendere che salire. 

Arrivato a trenta  giri  c'era il sole e una leggera brezza. L'albero vibrava di vita.

36 salite e 36 discese. Una sfidella interessante più per le sensazioni e le riflessioni che mi ha regalato, che per la fatica.

Parlando di allenamento credo che quello dell'arrampicata e del movimento in generale sugli alberi, possa essere un grande mondo che si potrebbe aprire per chi come me non ci ha mai lavorato sistematicamente. Lavorare le trazioni in ogni angolo possibile, lavorare la forza e la resistenza della presa in maniera varia eppure densa. Utilissimo strumento per la creatività, immaginando già le decine di vie possibili per muoversi attraverso un semplice albero. Cambiare specie di albero potrebbe cambiare completamente le regole del gioco. Basti pensare alla differenza tra una betulla e un vecchio cedro del Libano, un Fico, una faggio, un pioppo, un pino vecchio. L'angolo dei rami , il tipo di corteccia e  il tipo di legno che rende diversa la portanza dei rami.  Penso che potrebbe anche essere un ottimo strumento per quei praticanti che vorrebbero riprendere un lavoro di forza di braccia ma che magari hanno qualche piccolo infortunio  che si riacutizza con l'appensione completa e con le trazioni. Sugli alberi si può sempre scaricare peso pur mantenendo un volume totale di lavoro non indifferente e gestendo con precisione il carico.  Lavorando sempre con angoli particolari si va a creare quella forza organica che ha portato alla ribalta Ido qualche anno fa, rispetto agli angoli di lavoro classici di trazioni e dips. 

https://www.instagram.com/p/CNuqGyGoysa/






giovedì 4 febbraio 2021

Piccoli giochi di sopravvivenza 2.0

 Ci stavo pensando già da un pò, e con l'ultimo bivacco fuori ho deciso di scrivere questo post. Amo la montagna, i boschi e il fuoco, e come ho già scritto in altri post, il 90 per cento delle mie escursioni o notti fuori le faccio in autunno e in inverno. Niente persone, niente insetti molesti, niente caldo. C'e una luce in inverno che è difficile da descrivere. Forse è il sole più basso che filtra tra gli alberi, forse  l'aria più tersa...non so. C'è una magia nei boschi in questa stagione. E sento che è proprio la mia stagione, e quello il mio luogo. Quando siedo tra gli alberi il pomeriggio o la sera mi sento più a casa che tra le mie quattro mura. 

Lo scopo di questo post però non è lodare la foresta, anche se lo meriterebbe. E' condividere la mia esperienza (che non è ancora molta, ma è abbastanza per aver imparato qualcosa).

Partiamo con la premessa sull'andare da solo per boschi, e soprattutto sul restarci la notte:

Ormai io mi sono abituato, ma per la maggior parte delle persone passare la notte nel bosco da soli è fantascienza, qualcosa di strano e sospetto. O di terribilmente pericoloso. Come l'altro pomeriggio, quando una signora che passeggiava sul sentiero si è preoccupata, vedendomi piazzare la tenda e iniziare a fare legna. Tanto da far arrivare un paio d'ore dopo una pattuglia della polizia che deve aver fatto un bello sforzo per inerpicarsi fin là. Ho tranquillamente ammesso sia che stavo per campeggiare li, sia che stessi per accendere il fuoco e anche e di non abitare nel comune in cui rientrava il bosco. Non mi hanno fatto storie e mi hanno invece augurato di divertirmi, pur essendo anche loro un pò sorpresi fossi da solo nel bosco. 


Era da qualche settimana che non passavo la notte fuori, e quest'ultima è stata sicuramente la più fredda fatta fuori fin'adesso. Il luogo è la solita radura nella parta alta della Valganna, la stessa del "nel cuore della notte" .Stavolta coperta di neve ghiacciata e battuta da un gelido vento che ha tirato tutta la notte, costringendomi a fare un fuoco particolarmente curato e a piazzare bene la tenda (cosa che avrei dovuto fare e non ho fatto, subendone le conseguenze).  I vecchi scarponi non tengono più l'acqua da anni e  dopo mezz'ora a fare avanti e indietro sulla neve per raccogliere la legna ho iniziato a sentire l'umidità, ma sono troppo comodi per buttarli. Nel fare legna mi sono anche tagliato e ho dimenticato a casa il kit medico. Benissimo. Scesa la sera è arrivata la mia parte preferita: accendere il fuoco.


 E' come tornare a casa la sera dopo una lunga giornata di lavoro. Preparare l'esca, tenere  i legnetti sottili lì vicino a portata di mano, e far partire le scintille è un rito che ogni volta mi dà una certa soddisfazione, fino a quando danzano le fiammelle. Quando la brezza già presente si è trasformata in un vento gelido che ha tirato tutta la notte è sorta la luna piena. Ho cenato con ravioli e marshmellows, tenendo vivo il fuoco e razionando la legna. 
Mi sono dimenticato anche i guanti, il gel disinfettante, il materassino di schiuma da mettere sotto quello gonfiabile, quindi dormendo con le mani piene di tagli, ho sentito freddo sotto il sacco a pelo in qualunque posizione mi mettessi, il telo della tenda ha continuato a sbatacchiare tutta la notte  sulla mia faccia, pieno di condensa. E infine la tenda si è spicchettata costringendomi alle due di notte ad alzarmi tremando per uscire e ripicchettarla. Ed ecco!


Ecco. è questa la magia del bosco.

La radura perfettamente illuminata dalla luna, ora alta nel cielo, non più nascosta dagli alberi nel sorgere. L'aria per un attimo è calma. Il silenzio è perfetto. Sopra di me, migliaia di stelle che  brillano. Commovente. E sono qui, capite? Qui ora, in questo istante in questa radura gelida in cui tremo e mi luccicano gli occhi dall'emozione dell'essermi meritato questo momento soffrendo il freddo, i piedi bagnati, le mani ferite e il dormire poco. Avrei potuto lasciare la mia casa una sera, ben coperto e asciutto, salire in auto fino alla cima di qualche montagna intorno a casa e vedere di un panorama simile. Potete anche riprendere un salto che avete appena rotto. Ma solo dentro di voi potete sentire quella gioia che è impossibile da descrivere a parole, che va solo vissuta i pochi attimi prima che la mente cerchi di razionalizzarla, subito dopo l'atterraggio. Inutile tentare di prolungarla, inutile rivedere il video dove si vede lo stesso salto che avete appena fatto. Altrettanto inutile fotografare quel panorama nella speranza di poter riproporre a voi stessi l'emozione del momento. Và vissuto e poi lasciato andare. 

Ecco, questo è il valore del camminare da soli per boschi, passarci la notte, tremare di freddo e maledire voi stessi per averlo fatto. questo attimo. Che ha qualcosa di sacro e che mi appartiene, perchè me lo sono guadagnato.



Dopo aver provato comunque a fare almeno una foto e aver ripicchettato la tenda a bastonate mi sono infilato di nuovo nel sacco a pelo, stavolta dormendo un pò di più. Ho aperto gli occhi e la luna aveva attraversato tutto il cielo e stava tramontando dietro  gli alberi. L'aurora. Ho riacceso un fuocherello per la colazione e mi sono goduto in silenzio l'alba arrivare. 


Puoi sentire il fuoco crepitare e gli alberi scricchiolare nella brezza, prima dell'alba. Guardalo a tutto schermo col volume piuttosto alto, per regalarti 30 secondi di pace


Perchè ho scritto questo resoconto? Per esortarvi ad andare per boschi, o dove piace a voi. Credo sia non solo utile, ma essenziale quello che mia madre definisce con grande precisione "andarsele a cercare": togliersi delle comodità delle quali siamo dipendenti, passare del tempo in solitudine, ma non in casa, dove l'essere umano trova tutto quello che crede gli serva per vivere bene. Ma fuori.  Allo scopo di starci, e basta. Affrontando piccoli disagi e difficoltà, in cambio di qualcosa di enorme valore.Certo, non è facile. Bisogna imparare delle tecniche, dei trucchi e degli approcci diversi da quelli a cui siamo abituati. E' necessario non sottovalutare nè fauna ne flora, ma entrarci in comunione significa poter entrare in un mondo armonioso e vagamente segreto, che permette di godere di quello che c'e', come lo scricchiolare dei vecchi faggi nel vento e le nocciolaie che vocalizzano, Il fuoco che scalda, il caffè la mattina. 

Certo,anche io soffro la solitudine e molte volte vorrei condividere quella bellezza con qualcuno. Ma bisogna sforzarsi di vivere senza la frustrazione di quello che non possiamo controllare, anche se difficile. A molti non piace stare da soli, per motivi personali. Si può temere di stare con sè stessi, si può avere paura degli animali o di fare brutti incontri, di perdersi, di farsi male. Ma si può iniziare girando per zone conosciute, prendere confidenza con tecniche base di orientamento e costruzione di ripari di emergenza, di approvvigionamento d'acqua e accensione del fuoco.  Quello che in cambio si guadagna è la possibilità di entrare in una più profonda comunione con sè stessi, cosa difficile in ambiente distraenti o rumorosi come la città o la propria casa. Un dono prezioso in questo mondo Fluttuante e sempre di corsa.  


"Sono uno spirito libero che non ha mai avuto le palle per essere libero."- Cheryl Strayed