mercoledì 10 agosto 2022

Ritorno a Evry e Lisses 2022

Scrivo questo appunto come monito per me stesso, perchè dopo molti anni di pratica sono caduto in una pratica inaspettata.
Sono da poco tornato dal secondo viaggio a Evry e Lisses dove ero stato per la prima volta nel 2015, luogo dove sono cresciuto tantissimo in pochi giorni, mi sono messo alla prova e nel quale ho lasciato un pezzo di cuore, per il significato che ho dato a quei posti. Questa volta l'esperienza mi ha dato una lezione molto diversa. 
Questa volta già nei giorni precedenti alla partenza avevo una strana sensazione che mi perseguitava, qualcosa che non andava, un disagio. Ma meditando per riconoscerla non ci sono riuscito, e così ho etichettato quella sensazione come il normale nervosismo prima del viaggio che per anni ho sognato, come tanti della mia generazione. 
Una volta lì invece sono precipitato nella trappola delle aspettative. Volevo solo allenarmi con degli amici e provare alcuni salti, vedere cari spot e condividere questi momenti con un gruppo di persone ma alla fine non ci sono riuscito.  Non ho avuto il coraggio di sbloccare salti che credevo di essere in grado di fare, non mi sono sentito parte di un gruppo, sono rimasto molto spesso solo e scoraggiato anzi soverchiato dalla mia incapacità di pensare lucidamente e di ricordarmi la gioia della pratica. Solo la mattina Fontainbleu sono riuscito a vivere e a muovermi serenamente, proprio perchè pur essendo un altro luogo iconico della pratica non ci ero mai stato prima e non avevo nè salti famosi nè fallimenti con cui paragonarmi. E questo fino a che un' oretta dopo aver iniziato ho battuto la gamba contro il nodo di un albero durante un batman jump che mi ha completamente disattivato i muscoli e per quel giorno non ho potuto fare altro. 
Mi sia di lezione questa settimana a Evry e come l'ho vissuta. Un brevissimo post questo, per ricordare a me stesso quanta strada c'e' da fare verso la serenità nella mia pratica ma anche per ricordarmi quanta ne ho fatta, essendo stato in grado appena tornato di riconoscere tutto questo dentro di me, invece di limitarmi a starci male e a darmi la colpa di tutto. Invece di dirmi che era dovuto agli altri, con i quali non sono riuscito a legare perchè tutti presi dal fare quei 2 o 3 salti iconici a ogni costo. Invece di incolpare la mia scarsa forma fisica o il mio mancante bagaglio tecnico. No. 
Dipende tutto da quello che vogliamo nella nostra pratica. Non c'e' alcun nemico al di fuori di noi stessi. La dama del lago non è malvagia, non è indispensabile fare il manpower subito. E soprattutto...
 Il nostro valore come persone e come praticanti NON dipende dai salti che facciamo o non facciamo. Sembra banale scriverlo ora, ma quando si è circondati da persone che saltano molto meglio, quando ogni movimento che nei video di David o degli Yamakasi sembrava fattibile si rivela immenso, (o ad altezze mortali o comunque conclusi con una facilità disarmante) bisogna tornare a guardarsi dentro e riconoscere con onesta e con una mano sulla propria spalla che noi non siamo loro, che la nostra pratica è la nostra pratica e basta, e che non c'e' niente di male nel non essere pronti a certi test. Test che  sicuramente farò in futuro, ma non oggi.  E comunque non è stato solo sofferenza questo viaggio. Ci sono stati anche bellissimi momenti di condivisione e momenti di pratica intensi e forti. Bisogna anche essere equi e non troppo autocritici, lo so. Prendersi il risultato. 
 Scopo della mia pratica è continuare muovermi e godermi il movimento giocoso tanto quanto le sfide mortali. Non voglio fra vent'anni avere un corpo forte ma con il cuore a pezzi per come ho vissuto il mio parkour, sempre rimproverandomi, criticandomi e soffrendo. Cerchiamo comunque di vivere ricordandoci quanto siamo fortunati a poterci muovere, quanto siamo forti ad  arrampicare dove pochissimi lo farebbe e quanta libertà abbiamo di scegliere cosa fare con i nostri corpi.



lunedì 1 agosto 2022

Il tesoro dell'ignoto (Alpe Devero-Binntal-Alpe Devero)

Questa è una breve riflessione, breve come l'avventura che mi ha portato a scrivere questo post rispetto alle possibili grandiose avventure che ci aspettano là fuori. 
Questo we appena trascorso l'ho passato facendo un giro in montagna, ma con una differenza rispetto ai soliti: mi sono informato il minimo possibile prima di intraprendere un anello di 36 km tra il Piemonte e il canton Vallese in Svizzera. Ho fatto così: ho scelto una valle in cui non ero ancora mai stato, anche grazie al buon Marco che mi ha parlato di una zona da esplorare che sembra Mordor, ho cercato uno dei trekking più lunghi e difficili della zona, ho dato un'occhiata al meteo e basta. Niente di eccezionale rispetto alle mie solite avventure nei boschi dietro casa. La differenza qui la fa la distanza e l'altitudine. Nelle tenere montagnette che esploro di solito le temperature, le quote, il terreno, la vegetazione non sono che un parco giochi, la sabbiera dove i bimbi scavano con la paletta per far muovere le mani. Ad un'ora al massimo da qualsiasi punto si trova una strada, i boschi decidui offrono protezione, non ci sono pericolose pietraie e il meteo non è capriccioso. Un terreno di allenamento adatto ai primi esperimenti, come i "piccoli giochi di sopravvivenza 1 e 2
In alta montagna (sopra i 2000 metri) si gioca più seriamente. 
Descriverò brevemente il giro come premessa, poi cercherò di condividere la riflessione vera e propria.
 Intanto devo dire di aver scoperto dei luoghi di una bellezza selvatica ed aspra.

Alpe Devero

La mattina di sabato sono partito fino a lasciare l'auto prima del parcheggio a pagamento (L'alpe Devero, per quanto famoso e conosciuto è fortunatamente protetto e c'e' un numero limitato di parcheggi per evitare che troppi merenderos prendano d'assalto la valle. Per accedere all'alpe si paga l'accesso un paio di km più a valle e io sia per non pagare sia per evitare di fare altra strada in auto ho scelto di lasciarla a metà valle e camminare di più. Partito già abbastanza tardi ho raggiunto l'alpe in un'oretta di buon passo, anche grazie a una scelta accurata e del materiale da portare ( l'approccio minimalista e ultralight ripaga sempre in termini di serenità mentale e di carico sulle ginocchia). Da lì devo ammettere che si è svolta la solita battaglia interiore di ogni volta che intraprendo qualche faticosa avventura: arrivato al bivio con le indicazioni per i sentieri facili o per  i passi alti difficili e faticosi sono stato un pò a pensare, guardando tutte la famiglie e gli escursionisti puliti e profumati prendere a destra. Non nascondo che per quanto mi piaccia affrontare il disagio e l'ignoto...una vocina dentro sussurra sempre di rinunciare. A volte per paura a volte per pigrizia. L'importante però è ignorarla, in questi casi. 
Così ho preso il mio sentiero a sinistra, che guarda caso era deserto.
"due strade divergevano in un bosco giallo..."

Bambini che piangevano e coppie che bisticciavano a destra, silenzio e promesse di epicità a sinistra. 
Quando ho visto quanta gente andava a fare i giretti facili mi sono deciso a continuare per dove avevo deciso la sera prima. Quell'anello andava distrutto, e  ricordando dell'amico che mi ha descritto la zona che avrei attraversato, Mordor, mi sono incamminato. In effetti durante quel giorno e il successivo mi è sembrato davvero di attraversare la terra di mezzo, tra stupende baite immerse nel verde e nel sussurro dei ruscelli e via via che salivo nel paesaggio sempre più aspro. Comunque presto ho iniziato a salire e pregavo di non prendere qualche storta, a pochi giorni dalla partenza per il secondo pellegrinaggio a Lisses e Evry.

Mordor

Trovo sempre un pò brutto cercare di descrivere i trekking che faccio perchè devo necessariamente riassumere ore ed ore di panorami, di dettagli e di paesaggi in poche righe. E' necessario perchè altrimenti mi dilungherei all'infinito. Diciamo quindi che in poche ore ho raggiunto  i piani della Rossa con pausa panino e asciugatura maglietta  prima dello strappo per il passo della Rossa, uno dei punti che ho trovato più belli di questo giro. Un grande altipiano  completamente spoglio, se non per pochi ciuffi d'erba e qualche pozza glaciale sciolta. Si direbbe la parte più povera del sentiero eppure ci ho visto una bellezza severa, silenziosa. Quasi spirituale.

Mordor


 E lì, camminando in silenzio tra grossi massi spaccati da vento e gelo...mi sono ritrovato a pensare al mio amico Iohan Guerguiev, morto suicida nel 2021. Una delle persone che più mi ha ispirato in questi anni. Se non sapete chi era andate a vedere quello che stava facendo. Iohan stava girando il mondo in bicicletta attraverso enormi difficoltà e rari momenti di bellezza con una positività e un energia che mi ha fatto sempre vergognare del mio lamentarmi per cose di poco conto. L'ho seguito dall'inizio del suo viaggio otto anni fa fino all'anno scorso. Godetevi il suo viaggio qui, il primo dei suoi 40 video. Ho pensato a lui quando, quasi alla fine di quel pianoro che ho chiamato Mordor, dietro l'ennesino enorme masso da scavalcare ho trovato un laghetto attorniato da questi stupendi, delicatissimi fiori dall'aspetto di batuffoli di zucchero filato, che resistevano a 2400 metri con un vento da sbilanciare e tagliare la pelle. Stavo per bagnare le mie maniche, guardandoli.





Siamo davvero fiori delicati che provano a resistere al vento. Quanto potente è stata la consapevolezza di Anicca, l'impermanenza di tutte le cose. 
In realtà ora non vorrei dire altro, perchè è difficile passare oltre. Ma ho continuato a camminare e questa descrizione non è più così breve come avrei voluto. Superato il passo si giunge in Svizzera, nel canton  Vallese, dove il popolo Walser ha colonizzato e coltivato e costruito con fatica anche viaggiando attraverso questo passo. Ho visto splendidi laghi , erba morbida, ho pranzato su un duro masso con un pugno di polenta istantanea e ho iniziato scendere, avendo davanti l'incredibile e nuovo paesaggio di questa zona mai vista e l' Aletschorn, elegante piramide di ghiaccio e roccia alle cui pendici nasce anche il ghiacciaio più grande delle Alpi.





Svizzera, su e giù

In breve ho attraversato una lunga discesa fino a valle , intervallata da laghetti cristallini in cui avrei fatto il bagno (nudo, non portandomi il costume) se non ci fossero stati escursionisti ad occuparlo. Mi sono limitato a farmi un caffè e a tenere le gambe in acqua per ricaricarle un pò.


Continuando la discesa la stanchezza e il ginocchio hanno iniziato a farsi sentire. Raggiunto il fondo valle mi sono accorto che cominciavo a ciondolare e inciampare, ero cotto. E soprattutto iniziavo a cercare con lo sguardo un punto in piano ma discreto per piantare la tenda ma mi sono imposto di fare almeno più della metà della strada di tutto il trekking, altrimenti avrei fatto molta più fatica il giorno dopo, con le gambe cotte dal giorno prima, e ed ero solo a una dozzina di km. Quindi la valle ricomincia salire tra pascoli e alpeggi via via più disabitati.
 Ancora un'ora, ancora mezz'ora, ancora dieci minuti. Mi sono ritrovato ad incitarmi ad alta voce  per andare ancora un pò avanti, fino  a quando cotto, ho trovato un micro spiazzo non coperto di cacche di mucca qualche centinaio di metri sopra un torrente. Prima di raggiungerlo ho fatto il pieno di acqua per lavarmi e per cucinare e raggiunto il pascolo ho piazzato la tenda. Alle 8 di sera, dopo essermi dato una lavata con una bottiglia, la cena e una camomilla ero già nel quilt, distrutto e sereno, confidando in una bella notte di sonno.

Ma ho dormito pochissimo, come spesso mi succede in montagna. So che succede e me lo aspetto ma è comunque molto irritante non riuscire a prendere sonno pur sentendo una grande stanchezza addosso. Quanto meno ho colto l'occasione per provare a fare qualche foto notturna.  Che come al solito non rende l'enorme numero di stelle che si vedeva, lontano da qualsiasi fonte di inquinamento luminoso. Quando sarà il momento di cambiare fotocamera vorrei trovare qualcosa di altrettanto piccolo della mia compattina ma con un angolo maggiore, per riprendere la magnifica via lattea. 

La via lattea si distende dalla mia sinistra alla mia destra come un nastro sfilacciato e interrotto da zone buie e zone più chiare e lattiginose. Alcune stelle sono così luminose da intravedersi attraverso il telo della tenda, e satelliti e stelle cadenti passano ogni tanto con una chiarezza che sono felice di non vedere tutti i giorni. Non vorrei mai abituarmi a questo spettacolo. Ma andiamo avanti. Questo post nasce in realtà per un altro motivo. La mattina alle 5, ancora col buio mi sono stufato di rigirarmi nel quilt e ho sbaraccato. Faceva freddo ed era il 30 luglio. Meraviglioso ricordarsi cosa significa avere freddo. Colazione rapida con caffè e busta di avena e alle 6  stavo già camminando. In un paio d'ore ho raggiunto rapidamente il Passo Devero. Stupendo camminare per raggiungere il sole lassù in cima al passo e scaldarsi un attimo prima della lunga discesa. Il passo era deserto. Mi sono voltato per salutare le montagne svizzere e ho scavalcato rientrando in territorio italiano verso I laghi. Con molta calma perchè le discese sono la mia debolezza, con le caviglie di vetro che mi ritrovo. Paradossalmente a parità di tempo copro più dislivello in salita che in discesa. alle 10 ero di nuovo all'alpe Devero, stordito da tute le voci delle persone che passavano, (bastano poche ore di solitudine per abituarsi al silenzio) chi guardando il telefono, chi chiacchierando di cosa avrebbero fatto il giorno dopo al lavoro. Spero ci fosse qualcuno che stesse vivendo nel presente, su quella ghiaia nella valle. 
Ore bho, poco dopo l'alba sul passo Devero coi mitici pantaloncini.


 Discesa e riflessioni

Alle 12 sono tornato all'auto e sono subito ripartito verso casa, troppo stanco per meditare in valle, anche se avrei voluto. Ma perchè ho scritto questo post?
 Questa è la mia riflessione: Ho scelto di fare un giro in montagna non sapendone troppo perchè credo fermanente  (con i dovuti margini di sicurezza minimi, che poi che significa?) che la crescita umana stia sopratutto in un fattore: la sua enorme capacità di adattamento e di improvvisazione. Se l'Uomo ( e quando dico Uomo con la U maiuscola intendo il der mensch, l'essere umano, uomo o donna che sia)  è grande in qualcosa lo è in e per queste capacità. Adattarsi, improvvisare, usare l'intelletto per affrontare situazioni ignote ed uscirne vivo superando il solo istinto di lotta o fuga. L'ignoto è un tesoro enorme nascosto in bella vista dietro ogni angolo, ma in questa epoca ultra informata, iper-organizzata e paranoica sulla protezione e sulla sicurezza ci dimentichiamo che siamo fottute bestie epiche capaci di arrampicare, correre per decine di chilometri, lanciare oggetti con una precisione assurda, creare nodi con mille usi e via dicendo. Un pò come i breaking jump del parkour ci mettono di fronte a delle sfide, ma sempre con percentuali più o meno alte di controllo ( decidere che salto fare, con che tecnica, in quali condizioni meteo/ di stanchezza/fame/disagio comporta sempre e comunque una parte di aspettativa). Trovo che affrontare ambienti sconosciuti con molte più variabili sia per me ora una sfida ancora più stimolante, che sta mettendo davvero alla prova il mio ingegno e la mia resistenza fisica e mentale. Ritengo sia anche interessante dal punto di vista dell'autostima superare sfide mentali lunghe come un trekking. Sfide fatte di ore, e non di secondi come un breaking jump. Tassanti, faticose e imprevedibili. E di come raggiungere traguardi visibili e tangibili come una cima possano essere un grande boost per l'autostima con la cascata di effetti positiva che porta. Come detto all'inizio del post questo non è che l'inizio. Le avventure, i rischi e i margini di crescita sono potenzialmente infiniti. 

la via prosegue senza fine lungi dall'uscio dal quale parte