domenica 7 ottobre 2018

Kin hin (quindici metri in quindi minuti)

Kin hin: nel Buddhismo Zen si intende la meditazione camminata che si fa tra una sessione di Zazen e l'altra. il termine deriva dai caratterci cinesi Jing "andare attraverso" ( come un filo in un ago) e Xing "camminare". Letteralmente significa "camminare dritto avanti e indietro".


un esempio di kin hin
link da aprire>>>>Meditazione camminata






Quella di oggi è stata una lunga e difficile giornata. Sono tornato in uno spot pieno di sfide da affrontare, uno di quegli spot che sa regalare una bruciante frustrazione, appena ci si comincia a muovere. Ogni praticante ne ha uno. e se non ce l'ha dovrebbe trovarlo, perché quella frustrazione è il simbolo di qualcosa da osservare con attenzione di sè stessi. Magari è un luogo con salti difficili, strani, scomodi e fuori da quello che ci piace fare di solito.  Se troviamo uno spot così o non ci vogliamo tornare ( per evitare quella frustrazione) o ci vogliamo tornare, come nel mio caso, proprio perché è frustrante.  E non è mai stato frustrante come oggi.
Giornata di sole autunnale: arrivo allo spot da solo, in un momento in cui non avevo proprio voglia di stare da solo. Ma a volte è necessario. Sono in forma, la temperatura è ideale, il luogo è pulito e silenzioso. Mi sta già dando fastidio.  E poi tra tanti, eccolo. l'Antico Demone. Un salto non gigante, non così brutto, non così infido. Eppure qualcosa mi ha frenato per anni. Ora mi ha chiamato di nuovo e io ho risposto. Ci ho discusso per una buona ora..fino a quando ho capito che non funzionava. Allora ho deciso di abbandonarlo per un poco e spostarmi. Volevo solo evitare di vederlo.
Così ho trovato una sbarra lunga una quindicina di metri. Fare equilibrio mi ha sempre ridato un po' di pace, nei momenti difficili. Sono salito e per la prima volta invece di stare o di camminare al solito modo ho pensato al kin-hin, la meditazione camminata dello zen. ho iniziato a spostare il peso  in avanti senza ancora muovere i piedi. mi sbilancio, respiro. Sento ogni muscolo che lavora freneticamente per affrontare questa situazione. I pensieri si accavallano. Saltano senza posa come una scimmia salta di ramo in ramo. Sollevo il piede, lentissimamente lo sposto in avanti, espiro, appoggio il tallone. Mentre con le braccia cerco di compensare il meno possibile appoggio anche il resto del piede. E via così, tra pensieri il cui volume lentamente si abbassava, l'attenzione a ogni rumore intorno aumentava fino a farmi sentire suoni altrimenti ignorati dal cervello. Sono riuscito ad andare così piano da non far scappare una lucertola che prendeva il sole sotto di me, tra la sbarra il cemento.

Quindici metri in quindici minuti. Sono giunto alla fine della sbarra e sono sceso. Inspiro, espiro. Mi sento meglio. La mente, che non è diversa dalla sbarra o dalla gomma delle suole delle scarpe che baciavano la vernice gialla della sbarra, si è fermata.

Senza dire una parola ma godendomi quel prezioso momento ( era davvero prezioso) tiro lo zaino acqua e fotocamera e torno a vedere quel salto. Decido di filmare il processo. altri 15 minuti di sguardi, di finte rincorse, di prendere la mira e bruciare con gli occhi l'arrivo del salto che voglio fare. Alla fine lo faccio. E' da Evry, dal 2015 che non mi veniva da piangere per un salto.  per fare il secondo ci metto un minuto  e mezzo, e all'arrivo ci caccio un altro breaking jump, un cat sull'altezza che però l'anno prima ho già fatto. Un' altro minuto e mezzo per fare il terzo. That's it.
Questo è quello che odio/amo della pratica. Spesso mi sono trovato a riflettere se buttarci così tanto sentimento, se affrontare certi salti sia utile. ripeto: non importa se sono salti enormi o sui tetti.

Perché per quanto mi riguarda è la mente, la parte più difficile. Mi sono incastrato in certi salti ridicoli per anni e ho risolto in pochi secondi problemi che hanno messo in difficoltà praticanti più esperti e coraggiosi di me.
Ma il focus di questo post è la riflessione che ho fatto tornando a casa in auto, senza musica:
La differenza tra un praticante principiante e uno avanzato non sta nella dimensione dei salti, ma nell' approccio: La consapevolezza di sapere quando è il momento di prendersi una pausa, di fare il giro intorno a quell'ostacolo o di vederlo da un diverso punto di vista può essere un potente strumento. Alla fine ho fatto quel salto, l'ho fatto tre volte...eppure non mi ha dato la soddisfazione che meritava e che credevo mi avrebbe dato. Qui sotto potete vedere il noioso processo in un video lunghissimo e palloso.


mercoledì 11 luglio 2018

La fortuna di farsi male



Quante volte ci è capitato di sentire che se ci fossimo allenati bene, in maniera graduale e senza fare troppi saltoni avremmo evitato infortuni e infiammazioni?  Bhe...






ERA UNA BUGIA.

so che quello che sto per dire farà storcere il naso ad alcuni. Gli infortuni capitano. A chi si allena male e a chi si allena bene. Capitano perchè in parte è il prezzo da pagare per allenarsi. Capitano perchè il nostro equilibrio tra miglioramenti e infiammazioni è estremamente sottile, capitano perchè bisogna fare esperienza sulla propria pelle di quanto un certo tipo di allenamento o un certo tipo di salto sia adatto a noi.
Significa forse che tutti quelli che praticano sono destinati a farsi male? Ad avere, dopo qualche anno, artriti e cartilagini consumate? No, ma significa che è ora di iniziare a capire che sono cose che possono succedere a tutti. Accetta questo fatto e se non ti farai mai male, buon per te, altrimenti potrai cogliere un'occasione per continuare ad allenarti in altri modi. O potrai prenderti un momento di pausa dalla tua pratica. Ho deciso di scrivere qualcosa sugli infortuni perchè allenandomi da qualche anno e avendo conosciuto molti praticanti sia di vecchie che di nuove generazioni ho iniziato a farmi un'idea di quello che ci succede. Delle cause, delle conseguenze e delle possibilità di un infortunio. Cominciamo a capire cos'e' un infortunio nel parkour.

 Nel parkour possiamo trovare due tipi di infortunio:

  • infortuni da TRAUMA;
  • infortuni da USURA.
gli infortuni da trauma sono tutti quelli causati da cadute, errori negli atterraggi, gestione sbagliata degli appoggi e via dicendo. Possono essere più o meno gravi e vanno da un graffio a una morte brutta. Di solito capitano molto più spesso ai principianti, sia per mancanza di preparazione fisica, sia per mancanza di concentrazione in quello che si sta facendo, o per aver valutato male movimenti e traiettorie.  Per quello che ho potuto osservare  più un praticante è avanzato meno probabile è che si faccia male in questo modo, e di solito quest'ultimo è in grado di salvarsi e di limitare i danni attraverso delle tecniche di salvataggio (parkour defense):

Gli infortuni da usura sono più infidi. Possono presentarsi in maniera inaspettata dopo un periodo di allenamento intenso ( che di solito coincide con un periodo di grande forma fisica e quindi di intenso lavoro) . Strisciano in modo viscido presentandosi spesso come un leggerissimo fastidio a un muscolo o più spesso a un'articolazione. Fastidio che all'inizio scompare dopo essersi ben riscaldati, per poi tornare sempre più frequente e intenso se non identificato in fretta. Quando diventa dolore si è autopromosso a infiammazione, l'infame. In quel caso starà alla sensibilità e intelligenza del praticante trattarlo con attenzione, per poter guarire davvero e riprendere il proprio allenamento.

Qui si presenta il primo problema, per entrambi i tipi di infortunio: quando abbiamo una ricaduta del primo ( di solito capita perchè chi si allena ha sottovalutato il trauma o perchè, ancora influenzato dall'idea che bisogna essere dei guerrieri a ogni costo,ci lavora duramente sopra). O quando il secondo non ci dà tregua. Vuoi perchè la terapia adottata non è stata sufficiente, vuoi perchè il problema non è stato identificato da un esperto. Ma in ogni caso continua e inizia a rendere la nostra vita, oltre all'allenamento, frustrante e dolorosa. Per chi non lo avesse mai letto consiglio una delle migliori cose scritte sul parkour: l'articolo di Blane sugli infortuni e sul proprio futuro nel parkour. Dilution

Ma perchè ho scritto questa carrellata di ovvietà? Proprio perchè ho capito che non sono affatto ovvietà. Io stesso ho subito infortuni da trauma e combattuto con  infortuni da usura per anni, e solo al prezzo di molta pazienza, molto ascolto, molto lavoro ho iniziato a sistemarli uno per uno e ho potuto continuare ad allenarmi ed eventualmente a migliorare. Certo, non capita a tutti. Ma a qualcuno capita, e qui si presenta il secondo grande problema


L'aspetto psicologico:
Questo è l'aspetto di cui voglio parlare con più cuore. Ci sono persone che non accettano di essersi fatte male ( spesso in maniera banale, quasi ci dispiacesse di aver subito un infortunio su salti facilissimi o prendendo una storta in un tombino)  ed entrano in un loop di malessere. Lo capisco. Ci sgridiamo per la distrazione, per la debolezza, per la banalità del nostro infortunio e non riusciamo a muoverci, magari siamo costretti a un riposo forzato per settimane, o mesi. Qui entra in gioco, se siamo abbastanza svegli, la maturità di accettare che

  • sono semplicemente cose capitano; 
  •  che se ci consigliano di riposare forse dovremmo davvero riposare, ricordando che abbiamo un solo corpo a disposizione, e a volte riposare significa prendersene davvero cura. non impazziremo e non diventeremo dei ciccioni se non usciamo ad allenarci qualche settimana;
  • che è una  ottima occasione per fare altro.
Certo, detto così sembra semplice.
Io ci ho impiegato quasi 4 anni a uscire da un'epitrocleite causata in ultima analisi, dal troppo allenamento di braccia fatto dopo essermi infortunato a un ginocchio. Come potete immaginare non è stato il migliore degli approcci. In quel momento però non ero pronto a capire che, benchè sia stata una bella cosa quella di riniziare a muoversi il giorno dopo l'incidente al ginocchio non fosse il caso di esagerare. A quel tempo mi allenavo solo e non avevo nessuno che mi facesse capire che stavo facendo troppo.  Ora ho imparato a sentire i segnali che manda il corpo, parliamo la stessa lingua.
Questo è il punto su cui voglio focalizzare l'attenzione: Ho visto molti praticanti chiudersi e aspettare che il problema passi, e altri ignorare i segnali che il corpo mandava perchè volevano fare parkour, parkour, parkour per forza e a ogni costo. Ci si chiude a chiave in una stanza vuota e si inizia a sbattere la testa contro il muro, dopo aver buttato la chiave.


LA FORTUNA DI FARSI MALE


Quello che conta, per chi si fa male, non deve essere soltanto la guarigione o il movimento a ogni costo, ma il fatto che la vita ci mette davanti a delle prove. E noi possiamo sbatterci contro oppure fare un respiro e iniziare ad agire adattandoci. L' acqua che scende dalla montagna si fa strada tra  i sassi, per quanto sia un rigagnolo. Ma arriva dove deve arrivare, di qualunque dimensione sia l'ostacolo. ci vorrà tempo. Si dovrà trovare la strada giusta attraverso tentativi ed errori, ma per chi ha pazienza persino un infortunio può inaspettatamente cominciare ad apparire sotto una luce diversa. Diventa un' occasione di crescita.
Naturalmente non è l'incidente che diventa una fortuna, ma siamo noi che impariamo a vederlo come una occasione. allora potremo pensare a cosa vogliamo dal nostro allenamento, a dove vogliamo essere fra 1, 5 o 20 anni da oggi. Possiamo fare di una storta un'occasione per allenare le trazioni. Di un'instabilità al ginocchio la possibilità di provare la slackline che un amico porta spesso al parco. Possiamo fare un infinità di cose, oltre al mero riposo. Prendere in mano la situazione, piuttosto che girarsi dall'altra parte e ignorarla o peggio, cercare scuse,  è ciò che fa la differenza tra un praticante saggio e uno che fa parkour.


domenica 29 aprile 2018

La notte



Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno
toglieva li animali che sono in terra
da le fatiche loro:e io sol uno

m'apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.

                                      (Dante Alighieri- Inferno, canto secondo)

Fin da quando lessi delle leggendarie hell night di Blane ho sempre voluto provare ad allenarmi un'intera notte, senza però riuscirci mai. Sono uscito molte volte da solo ad allenarmi, magari in inverno con un thermos di tè caldo nello zaino e qualche biscottino (una volta anche a Capodanno). Ma non sono mai riuscito a resistere, da solo, più di 3 o 4 ore. Eppure ho sempre trovato affascinante muoversi vestito di scuro, attutendo il suono dei miei passi sul cemento mentre la città è avvolta nell'ombra, fino a quando diventa sempre più silenziosa. Mi sembrava fosse un poco mia, quando i semafori lampeggiavano e i passanti lentamente sparivano.

Stavolta ho deciso di fare una notte intera di allenamento e alla mia chiamata alle armi ha risposto un vecchio compagno di battaglie come Mehdi, che mai si tira indietro quando ci sono sfide strane, lunghe, o faticose. Ci siamo allenati insieme per ormai 8 anni, affrontando challenge, sessioni di cardio infinite, percorsi, esplorazioni, arrampicate in città e in natura, breaking jump. Eravamo sulla stessa Dama, abbiamo condiviso mille kebab e altrettante bottiglie d'acqua. Appuntamento alle 23 a Varese, in una bellissima notte di luna piena che ha continuato  nascondersi e a mostrarsi tra le nuvole fino alla mattina, intervallata da brevi momenti di pioggia. Maglia Termica, cibo, acqua e una buona scorta di musica, per i momenti di relax e riscaldamento, prima di fare sul serio.
Non abbiamo pianificato  il lavoro della notte, ci siamo limitati a scaldarci con giochi di contatto, piccole sfide di movimento e salti vari, fino a quando il sudore ha iniziato a farsi vedere. poi ognuno proponeva una challenge diversa, e si tentata fino  quando entrambi riuscivamo a completarla. La luna va e viene, i ragazzi del sabato sera urlano, ridono, poi la stanchezza li sorprende e si ritirano.

Il buio parla sapendo che sei in ascolto
il buio ha un volto, stanotte il buio ti ha scelto.





Mano a mano che il tempo passa ci accorgiamo di sentire uno strano tipo di stanchezza, che non mi ricordavo di conoscere. Poi mi è tornato alla mente. La bocca impastata, un leggero mal di testa, lo sguardo un pò agitato: Durante i primissimi anni di pratica, quando facevo il panettiere, lavoravo di notte. Il sabato mattina, dopo aver fatto pane doppio (significa dalle 9 alle 12 ore di lavoro) tornavo a casa, mi facevo una doccia e invece di dormire il sonno dei giusti prendevo il pullman e andavo in piazza ad allenarmi. Parlandone con Mehdi sembra qualcosa che non ci sia più, tra le nuove generazioni, stanche dopo 5 ore di scuola. Troppo stanche, per fare side precision con accuratezza. Pare non abbiano sufficiente energia e fuoco interiore, per alimentare la loro pratica da stanchi, quando per terra è umido, quando la notte nasconde le superfici nelle ombre. Si direbbe abbiano paura di fare esperienze fuori dalla comoda poltrona del comfort. Anche per questo la mia stima verso certi silenziosi e umili praticanti come  Thomas non avrà mai fine.

Qualche chiacchiera ci vuole, tra un salto e l'altro, per far passare il tempo. La notte è più lunga del previsto e la stanchezza si fa sentire, ma noi continuiamo con le nostre challenge.  Ci teniamo caldi e svegli facendo equilibrio e dei percorsi di velocità a coppia. Lentamente la notte scorre, e prima di spostarci propongo una sfida difficile: la salita di un palo della luce alto una dozzina di metri. avvicinandosi alla cima lo stelo si assottiglia e il tutto oscilla come un albero al vento, ma in 3 tentativi riusciamo entrambi a completarlo, anche se ci è costato molta energia. per concludere la nottata andiamo allo spot di sbarre, dove senza neanche parlarne, nasce una routine fatta di un uso ciascuno della lunghezza della sbarra. Ovvero a turno ognuno propone un uso diverso di tutta la lunghezza della ringhiera, in modi più o meno semplici, più difficile tenendo conto della stanchezza. a quest' ora ogni vault è davvero tassante per il mio sistema nervoso, che stenta a seguire il corpo. Focus al massimo per non farsi male. Un'ora e mezza buona passa, e alle 05:30 ci riteniamo soddisfatti.  Dopo esserci stesi a terra per qualche minuto ci alziamo, con le magliette fradicie di sudore ce ne andiamo in cerca di un bar, in cerca di vita.

Il cielo si è schiarito, anche la luna sta andando a dormire,contenti di questo primo esperimento, cui sicuramente ne seguiranno altri.
Questa è la pratica che noi "vecchi"-per come viene considerato il modo in cui ci alleniamo- abbiamo scelto. Non sarà sempre uguale e non è stata sempre così, non è la più spettacolare, non macina follower ed è ,come amo ricordare ai miei studenti, un una via senza lode e senza biasimo.

QUI troverete qualche ripresa casuale della notte.

Le nubi di tanto in tanto
ci danno riposo
mentre guardiamo la luna.

(Matsuo Basho, 1644-1694)