lunedì 9 dicembre 2013

il nuovo colore delle parole

No, belli, queste non sono le solite parole polverose e dal sapore di muffa di quando parlo della solitudine.

Questa volta hanno un sapore , un calore e un colore diversi.
La stagione delle camminate in montagna è iniziata da tempo, e il grande contrasto tra il silenzio dei boschi e la mia camera è motivo di nuove riflessioni. La differenza tra questa splendida e caotica settimana passata camminando di notte per Padova con gente molesta e dove sono ora, è forte. (Per rendere più leggera la lettura ho deciso di cambiare stile, periodi meno lunghi e qualche punto in più, così non vi si frigge il cervello, miei buoni lettori (e spero anche qualche e lettrice). Il libro prestato da un caro amico, dove sto vedendo sotto una nuova luce i poeti e filosofi che mi ispirano, contribuisce a queste riflessioni pacifiche.

Descrivo brevemente la settimana che ho trascorso tra questi universitari pazzi, in attesa del video che li onorerà come meritano. Siedo con la solita tazza fumante di camomilla al mio fianco mentre ripenso alle molte esperienze che ho fatto per la prima volta grazie a loro. In primis non mi hanno mai permesso di farmi prendere male (una cosa che mi succede spesso) per qualche cazzata, qualche salto non chiuso o una battuta non capita, o qualsiasi delle cose che mi rattristano. Mi hanno mostrato splendidi monumenti accesi di sole invernale e quindicenni che vomitavano l'anima in vicoli bui e sporchi, dietro il locale in cui ho ballato per la prima volta (no, non avete un virus nel vostro pc, avete capito bene). Ci siamo allenati tutti i giorni in posti fantastici e con bella gente vestita larga, non ho mai dormito più di tre ore ogni notte perchè sono stato vittima di molestie di ogni tipo. Mi sono cotto alle terme, perdendomi in pensieri metafisici guardando il vapore salire nel cielo nero, ho bevuto cappuccini, spritz, vin brulè e amaro del capo, ho aggiustato il divano della casa di ragazze che con occhi innocenti hanno detto: "non sappiamo proprio come possa essersi sfondato!"                                                                    
Ho visto Venezia per la prima volta, correndo nei suoi stretti vicoli a bocca aperta per la meraviglia, Sono stato portato per ore sul portapacchi di una delle migliaia di grazielle studentesche spaccandomi il culo, e godendo delle luci della città di notte. Ho paragonato il mio cuore ai ragazzi in precario equilibrio sulla slackline nella seconda piazza più grande d'europa. Ho praticato Tai Chi in uno splendido parco con un buon maestro, rallentando il tempo. Ho mangiato tofu e seitan, mi sono arrampicato sull'albero di natale al centro della città, fatto piegamenti in mezzo alla strada per combattere il freddo mentre i miei molestissimi anfitrioni sedevano sfasciati di vino a perdere tempo. Abbiamo passato ore a parlare di parkour, donne, cavalleria, filosofia, amore, amicizia, natura. Ci siamo infiltrati in uno stadio abbandonato (accanto a una caserma di polizia e sopra le teste dei passanti) nella più epica night mission mai portata a termine. E molto altro. Vi ringrazio per tutto, mi avete fatto vivere giù duro!

Il paragone tra queste cose e la mia solita vita, fatta di Basho, Varese di merda, Poe, post rock, Rimbaud e camminate in montagna sono la causa di questo post, un'altra riflessione sulla solitudine, ma diversa dal solito. Kerouac, Rosseau, Nietzsche, Basho, e molti altri, sono filosofi, poeti, scrittori. Ma per me, sono prima di tutto camminatori, e chiunque cammini a lungo non può non pensare alla solitudine. Io ho fatto di questo tema la base del mio pensiero, il problema (non un problema nel senso di guaio da sistemare, quanto di pensiero profondo e articolato, come di una persona affascinante cerchiamo di capire come fa ad attrarci in quel modo oscuro e caldo) sul quale appoggio il mento  e guardo da vicino.

Il mio profondo desiderio di amore e di amicizie, di riversare tutto il mondo che ho dentro  (idealmente spogliati dei balbettii, dei "minchia" e del mio parlare troppo in fretta) è in contrasto aperto con il bisogno, a volte improvvisamente urgente, di solitudine. Quando vado per foreste mi viene di desiderare a volte la compagnia di qualcuno in generale, altre di qualcuno in particolare. Poi alzo gli occhi all' altezza degli alberi, lo abbasso a quello degli insetti tra le foglie morenti, e sento che lì, in quel preciso momento, col mio ritmo dei passi, con quello dei respiri, non potrebbere esserci nessun altro. Quando mi trovo con altri ho sovente questo senso di inadeguatezza, e ora lentamente comincio a lavorarci per cambiarlo (mi hanno fatto capire che trovare le cause di un problema, con le mie eterne e muffose riflessioni, non significa assolutamente risolvere il problema).

Se, quando mi trovo da solo per boschi o in un angolo ad allenarmi (intendo quelle giornate col sole tiepido, senza nessuno in giro, in cui magari trovate una sbarra o un problemino di boulder nel muro su in paese e lì sentite proprio dentro che è perfetto così, solo voi) sto bene, e quando sono in città con altre persone ho il disagio che sale, allora ora voglio lavorare subito sulle cause.  Mi capita di riuscire ad ASCOLTARE il disagio, invece di star là come uno stronzo a crogiolarmi nel comfort caldo e raffermo, e agisco. Pam! Al posto di guardar male la passante, immagino di sorriderle (ancora non ci riesco, ma almeno non mi chiedo più per quale motivo guarda me). Bum, chiudo quel movimento di fluidità stronzo che provavo da giorni, mi prendo bene e ci riprovo. Skippo la canzone deprimente che stava partendo nel lettore e ne faccio partire una che manda vibrazioni positive, cavolo. E a casa non mi metto al pc a guardare vecchie foto di bei ricordi che mi deprimono (bel contrasto se ci pensate, vero?), ma scrivo questo post.  Non la leggo la poesia struggente che ho sul comodino, ma apro il libro di fisica e mi impongo di studiare. Meglio la noia della tristezza.


Questo non significa che ho risolto tutto e non ho più problemi, che tac sono l'uomo più felice del mondo. Ma ho cominciato a disilludermi di alcune cose e ne ho capite altre aiutato dalle mie nuove esperienze. Coltivo ancora sogni, non sono ancora come nei carnets de pèlegrinage di Swami Ramdas, in cui si vede che è nel momento in cui si rinuncia a tutto che tutto ci è offerto, nel momento in cui non si aspira più a nulla che tutto ci è dato, a profusione. Quello è un level-up che ancora non ho fatto, mi va bene così. Mi lascio comunque guidare dalle emozioni, oltre che dalla ragione. Dai Tengu de "gli anni dolci", che svolazzano alle mie spalle. 

lunedì 18 novembre 2013

Resilienza

Una delle sessioni di allenamento più dure della mia vita. Una delle più soddisfacenti.

Pochi giorni fa, vedendomi molto depresso (tra le bozze ho quello che sarebbe stato altrimenti il post di oggi, e sarebbe stata una mazzata esistenziale), Il vecchio Mehdi ha proposto un allenamento gestito da lui, e questo già da sè significherebbe pesante. Ma da vero amico e conoscendomi ha deciso di organizzare e tenere qualcosa di massacrante. Volo ed io ci siamo fregati le mani, potendo solo immaginare, un pò inquieti ma soprattutto eccitati in cosa sarebbe consistito. In particolare di me M conosce il mio amore per la fatica e il suo effetto distensivo sui nervi.

E poi gestisco sempre io a Varese ed è bello di tanto in tanto spegnere il cervello e lasciarsi guidare da altri. Premetto però (sarò breve, prometto) un momento la mia situazione delle ultime settimane.
Mi capita sempre più di frequente di sentire come un peso allo sterno, faccio fatica a respirare, mi devo fermare e sedere per qualche minuto. E' il senso di inadeguatezza al mondo che mi opprime. Mai come ora mi succede spesso di non capire come facciano gli altri a essere così sicuri, così...distaccati. Li vedo, sicuri nei loro precision, sicuri in città, provocanti e provocatori, sfacciati e scherzosi con le donne (o le donne con gli uomini) e col mondo, li vedo.   Li vedo allegri davanti agli altri, sanno non contagiare chi hanno vicino con le loro domande e dubbi,  Mentre io mi immergo fino al fondo in ogni cosa, in ogni sentimento, sia esso di gioia o tristezza, e ne affogo dentro ogni santa volta. Non riesco ad accontentarmi della superficie. Citando:
"Volevo vivere con saggezza, volevo vivere in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, e non scoprire in punto di morte, che non ero vissuto."

Bello vero? peccato che questo vivere profondamente, in cui i sentimenti mi prendono per una mano e la ragione per l'altra mi stia letteralmente aprendo in due, come mettere le scarpe al contrario, alla lunga ti spezzi e ogni gamba se ne va per conto proprio .  E insomma ecco... è dura. Prendere ogni cosa così seriamente, dare peso alle parole, alla cavalleria, ai gesti, ti consuma l'anima, cazzo. Questa stanza fredda dove scrivo non mi disturba, avere paura non mi disturba, rido delle difficoltà materiali. Quello che mi dà fastidio è non riuscire a sentire la mia mente non infiammata...ogni giorno.  Vorrei essere in grado di congelarla ogni tanto, rinfrescarla con un po' di spavalderia, di stronzate che non siano pseudo-filosofico-esistenziali, parlare di tette e culi, e non di quella frangia dal colore inusuale di una donna girata quasi di spalle in un pullman che sfrecciava in centro, ma che mi ha bloccato il respiro per un attimo. Eh no, devo essere quello scemo che và a cercare miraggi quando tutti se la sciallano nell'oasi tra palme e puttane. Premessa chiusa, passiamo alla morte.


L'appuntamento e' fissato per il giorno dopo alla lunga scala, e credetemi se dico che e' lunga. Ci troviamo tutti all'ora x, con felpe e pantaloni +1. Questa malefica scala passa a fianco di un cimitero, e il nome "costa dei morti" è meritato. L'ho capito, ora.  L'obbiettivo che ci ha imposto il nostro mentore di oggi è stato correre su e giù (corricchiare anche nello scenderla) per 20 volte, in gruppo, uniti, spingendosi a vicenda in silenzio. L'unica volta che l'ho provata di corsa, questa estate, sono arrivato in cima mezzo morto. Fatto questo, trovare e chiudere 2 breaking jump.
Gradini lunghi, cambi di pendenze, illusioni ottiche che segano le gambe e la volontà. Alla base della scala l'aria è tiepida, a metà freddina ma ferma, in cima tira aria gelida. Venti volte, senza mai fermarsi. Ma insieme. Ci guardiamo, consci che anche il solo provarci ci farà sputare l'anima. Prima salita per provare, uhm uhm, interessante. Niente musica dopante, niente chiacchiere, qualche battutina mentre si scende finchè sappiamo di avere dei polmoni. Già il secondo, essendo ripartiti subito dopo essere scesi, si fa sentire.
Conta Mehdi, noi lo seguiamo seguendo il ritmo  che impone, che non e' sempre uguale. Alla quarta Volo non si sente bene, si ferma un secondo alla panca e noi continuiamo. nel tornare giù lo guardiamo, non serve dire nulla. Ci spingiamo con gli sguardi, e un minuto dopo è ripartito. La maglietta di cotone sotto la maglia termica comincia a essere bagnata, il vento nella schiena, la condensa fino alle braccia, l'aria fredda pizzica e fa male al naso. Respiriamo come mantici. Mi viene in mente la frase "i feel pain", in inglese rende meglio l'idea.  Anche Mehdi, una specie di ultramaratoneta che fa anche grossate ma superfluide, comincia a soffrire. Nel pezzo bastardo di scala dice: "pensa ad altro pensa ad altro pensa ad altro pensa ad altro pensa ad altro pensa ad altro", a ogni gradino, a ogni buttata d'aria dai polmoni in fiamme. Oh si. penso ad altro. Ogni insulto  che mi hai lanciato e' un gradino che mordo. E ora non vedo altro, salgo a testa bassa, respirando dolorosamente, ogni gradino una tua parola cattiva gratuita. E io le supero tutte. Scendendo guardo il cielo, si fa sempre più scuro. Cedono  le gambe, che continuano a gridare:   " ma dove cazzo vuoi andare!? Ci senti? Fermati!"

Il corpo manda mille segnali diversi, ci guardiamo perchè non li capiamo. Dolore, fame , nausea, lacrime di non si sa cosa, freddo e caldo infernale insieme nelle gambe. Magma nei polmoni. Ghiaccio sulla schiena. E, sotto tutto questo, gioia. Cercavo una bella citazione di S. King sulla gioia nello sforzo fisico, scritta chissà dove ma non la trovo, pazienza. A ogni salita la percezione che abbiamo della scala cambia. Il cambio di pendenza è come se la gravità aumentasse di colpo. Niente più ritmo, niente respiro, il cuore impazzisce per capire come distribuire ossigeno alle gambe senza far andare in tilt il cervello. Infine siamo arrivati all'ultima. Prendiamo gli zaini lasciati giù, e facciamo l'ultima salita con le cose in spalla, con le ultime energie. Ci buttiamo un momento per terra per prendere fiato. Una felpa asciutta, via la fascia fradicia e su il cappello caldo...che goduria. Camminiamo verso il centro per trovare qualche salto da fare, che ovviamente non sarà grosso ma con le gambe così a pezzi non servirà chissà che per trovare una sfida. nel frattempo ci riposiamo per una mezz'ora, mangiamo una pizza e andiamo a prendere un caffè per ricaricarci. (Cammino un pò e trovo in un mercatino "perseverare e' umano", di Pietro Trabucchi, libro sulla motivazione anche in ambito sportivo, che cercavo da tempo, e che ora mi mangio con calma ascoltando Einaudi).

Che bellezza, poter camminare in piano. Si impara ad apprezzare tutto, quando manca. I salti che abbiamo piu' o meno fatto tutti non sarebbero stati molto difficili, in normali condizioni. Io avevo un running a salire su un muretto e ho dovuto spingere ma l'ho chiuso. Il secondo che mi sono trovato era un altrimenti ridicolo precisino su sbarra, ma tra le gambe che tremavano come budini e la mia totale mancanza di visione notturna non me la sono sentita. Volo e Mehdi hanno trovato le loro sfide, più o meno con le mie stesse difficoltà. Va bene. Così abbiamo combattuto, ci siamo allenati. Ogni tanto ci vuole un test per vedere quali sono i limiti fisici e mentali, e se li abbiamo portati un pochino più in là. E' La mente, il muscolo  più difficile da allenare. La mente.




E ora un' ultima piccola riflessione su oggi, su come il mio umore, la mia motivazione intrinseca e il senso di volontà sono cambiati rispetto ai giorni scorsi. Vedete, so bene che leggendo i miei post, o anche parlando con me sembra che io sia sempre demotivato, abbattuto, che abbia perso il sentiero. E spesso è così, ma non perchè mi piace spararmi delle endovene di vittimismo, comodamente deresponsabilizzato coi soliti "ma io ci provo, faccio del mio meglio, cosa devo fare?"  Ma  perchè sono solo stanco del continuo vincere me stesso. Io, sono l'avversario più duro. Se anche fossi accovacciato ai blocchi di partenza accanto a Usain Bolt il giorno in cui è più in forma, sarebbe il dialogo con me stesso, per non mollare, la sfida. Solo che non vinco sempre. l'altro ieri è stata una di quelle volte, ma M (detto anche Il Vigroux del deserto, Capitan Maghreb) se ne è accorto e mi ha dato una spintarella. Consapevole che tutto ciò che riesco a raggiungere non e' frutto di talento, di qualche miracoloso aiuto genetico, ma di duro, costante lavoro, a volte mi stanco. Non sono ancora così resiliente, e la mia spinta volizionale (la volontà), non e' ancora così solida.
Certo poi una vita più dura può rendere più fragili o più resistenti alla fatica, alla sofferenza, alle privazioni. O anche entrambi. Io ho un rapporto con la fatica speciale, che solo chi pratica (come penso quasi tutti voi che leggete) uno sport a livello amatoriale, senza altri premi che la propria passione e il desiderio di sentirsi forti, vivi, coraggiosi, può capire. Che solo chi fa  dell'affrontare qualunque tipo di disagio una cosa normale e inevitabile, comprende. Noi, al contrario di molti, a volte addirittura lo ricerchiamo, questo tipo di disagio e di sofferenza, infilandoci in angoli bui ad allenarci, aggrappandoci a lamierini sudici e arrugginiti, rimanendo con le braccia tese giusto per capire per quanto possiamo resistere, lavando i piatti apposta con l'acqua fredda, camminando in montagna proprio nelle giornate "peggiori" ( il tempo sfavorevole non esiste, esistono uomini che si arrendono). Tutti gli altri si illudono di poter fuggire i disagi, i sentimenti negativi o spiacevoli, una visione utopistica. Quell'allenamento mi sta anche aiutando ad accettare finalmente che a volte, per spingere un pò più in la, mi serve qualcuno vicino. Non si può fare tutto da soli, e non c'e' niente di male in questo. Siamo esseri sociali, e aiutandoci possiamo dare tutti noi stessi, a un livello che non credevamo altrimenti possibile.

E, gradino dopo gradino, spingendo il segnaposto dei propri limiti mentali un centimetro più in la si diventa sempre più consapevoli delle proprie risorse, della capacità di andare ancora avanti, ancora un pò. Un minuto ancora di sedia, un km di corsa, qualche metro, un pò più veloce, resisti, ancora un piegamento, una pagina in più da studiare, solo una. Finchè non senti la gioia.
















"Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede."
(2 Tm, 4,6-7)

"I piedi sono congelati, il vento aspira ogni stilla di calore dai muscoli e dalle giunture, e io sento che non potrò mai più riuscire a scaldarmi per il resto della mia vita. Vorrei rimanere qui, rinchiuso nella mia tenda, ma poi quella voce mi ordina: "vai fuori, vai fuori e provaci".
(D. Hempleman-Adams, Polo Nord)


martedì 1 ottobre 2013

10000 squats

E così, ho fatto questa cosa. Un mio amico qualche tempo fa mi ha detto che in un ritaglio di tempo si e' sparato 1000 squat, come avesse bevuto un bicchiere d'acqua. Io non ne ho mai fatti più di trecento in una serie, ed e' molto tempo che non mi metto seriamente alla prova. 

Penso a tante cose. Le mille muscle ups di Blane, il pensiero denso di Bruce. Una sera, davanti a una tisana fumante, perdo lo sguardo nel vapore che sale lentamente nell'aria fredda della mia casa, prima di sparire. Alcuni koan, alcuni ricordi, alcuni visi. E non credete che tutto questo non abbia nulla a che fare con dei piegamenti delle gambe. Ogni cosa ha a che farne. L'acqua in cui cuocio il riso che mangio e' la mia stessa vita. Quel momento particolare di quella sera, l'inizio dell'autunno, Aware, il senso di dileguare del mondo. Ora so identificare meglio di una volta questo succedersi di emozioni, e accettarlo piu' serenamente.
Comunque, in questo stato ho pensato se fosse possibile fare 10000 squats in un giorno.  E' lo squat movimento di base del corpo umano, e' vero, ma un numero così grande di ripetizioni e' fattibile? Come dovrei dividere le serie, i tempi, il riposo?
Con due legamenti lesionati, rischio di lavorare alla lunga in maniera asimmetrica per compensare col rischio di sbilanciarmi e farmi del male? Posso chiedere a qualcuno di supportarmi, farmi compagnia, proporre questa sfida da fare insieme, come il gruppo di Blane lo ha sicuramente aiutato e spronato?
Invece di cercare ossessivamente risposte nel mio stile nevrotico, le ho messe da parte, per finire in pace la mia tisana.

Un po' di silenzio.

Non avendo avuto fino a oggi i documenti, dopo il furto del mio zaino, non sono andato a scuola ( senza patente mi hanno già beccato una volta e sono stato miracolato, non ho voluto rischiare ancora), così ho avuto il tempo di prepararmi una notte.

Domenica sera: preparo lo zaino con la borraccia, banane, pesche, cracker, bandana, lettore mp3 fuffo ma funzionante. nella tasca esterna metto quella rabbia che a volte mi striscia dentro ma che voglio sia combustibile in piu', determinazione ne ho ma non occupa tanto spazio. Dormo.
Lunedì mattina alle 7 scendo a Ponte. Tutti a scuola o a lavorare, non ci saranno disturbatori come alcuni giorni fa, quando per mettermi alla prova ne ho fatti 3000 in circa 5 ore (morendo) continuamente disturbato da ragazzine/i che vomitavano intorno a me, chiedendo sigarette, scolandosi vodka alla pesca e lasciando la bottiglie nel Tresa. Pipì di rito, musica, respiro profondo.
 La schiena e' dritta, lo sguardo nel vuoto. L'orizzonte si alza e si abbassa un poco a ogni piegamento, mi immagino di essere su una nave nell'oceano, solo. Un beccheggio senza meta. In circa 40 minuti  sono a mille.

Ogni tanto mi fermo, faccio serie da 50 con x tempo di riposo, dove x e' quanto sento il bisogno di riposare.
Non guardo l'orologio, ascolto la musica e gli occhi mi diventano lucidi  intorno ai 4000 mila per colpa di un ricordo. su, giu, su, giu, su, giu....fino a quando non c'e' piu' Danilo che fa gli squats, fino a quando scompare la musica di erhu, fino a quando il cielo e' vuoto.

Ore 13, 5500. faccio una passeggiata, Il ginocchio mi dà fastidio, mentre la schiena fa proprio male. Era gia' dai mille che mi faceva male, ma rimanendo costante e comunque leggero non mi ha fatto soffrire, fin'ora. Mangio una banana, il sudore che bagna la bandana ha un odore strano e non ho mai fatto uno sforzo tanto prolungato, tranne quando lavoravo, ma li l'unico odore che si sentiva era quello della farina; immagino sia questo l'odore di una maratona. Stretching alla schiena e riprendo.

Ore16: Schiena. Fa male. sono a 8000 circa. Il quadernino e' pieno di stanghette verticali e orizzontali come in un carcere, la schiena.  Le coscie sono di budino da un pezzo, sono solo. Non ho nessuno che mi da' sostegno, ora mi pesa. Sono stufo di darmi coraggio, di parlare da solo. Il carro del sole ha fatto tanta strada.

Ore 19,45: 9999.
Non sudo neanche piu', il sole pallido del pomeriggio ha lasciato spazio a un'aria che puzza di fiume basso.
Mi fermo per qualche minuto, ho la nausea e la testa in fiamme, le gambe sono, come un gelato sciolto rimesso in freezer, dei pezzi di legno.  Il dolore alla schiena sembra si sia spostato allo stomaco. Dedicare gli ultimi squats a qualcuno che mi vuole bene, a qualche causa? Sputo per terra e urlando a bassa voce faccio 2 Squat.



10001 SQUATS IN 13 ORE.
Ho fatto tanti piegamenti sulle gambe quante sono le creature da salvare nei testi buddhisti, eppure non mi sento un uomo migliore.  Ho affrontato un viaggio di diecimilauno passi, sono andato lontano e sono tornato, ma la mia mente non e' silenziosa come speravo. Ho versato una lacrima che mi incendiato l'anima.

Sono tornato  alla macchina zoppicando, ho guidato a fatica per pochi minuti rischiando i crampi per cambiare marcia, e mi sono buttato sul letto. Buio. Credo, nonostante la luce negativa in cui ho scritto questa storia, che mi sia servita questa sfida, solo che devo prima digerirla. Datemi tempo.






Congiungi le palme delle mani e inchinati alla vita,
segui la gravita' fino ai ginocchi
e in avanti, finchè la fronte tocca il pavimento,
poi alzati lentamente.
Fuori, richiami di capinere.
La luce si oscura e si ravviva in chiazze
polverose sul pavimento di legno; la fronte
si riscalda al contatto, si raffredda quando stai ritto.
Continua ancora fino a quando 
la differenza tra caldo e freddo non fa
più alcuna differenza, o finchè non dimentichi
fino a quanto hai contato, che stai contando,
perfino che ti stai prostrando: continua
 fino a quando ti prostri anche quando non ti prostri.
                                             
                                                      Allen Hoey

martedì 7 maggio 2013

Loop catabolico

Niente di importante, solo una notizia che mi ha sorpreso. Il mio dottore, perplesso perche' nonostante l' eta' e col mio fisico , il mio corpo sia così lento a guarire ( si parla dei gomiti e di altre varie piccole infiammazioni e problemi) ha chiamato un collega nutrizionista (visto che anche le analisi del sangue erano perfette) e mi ha visitato gratuitamente. Esito: il mio corpo fa tanta fatica a ricostruire nuovi tessuti alla invece alta velocita' a cui dovrebbe farlo perche' lo stress emotivo consuma tutta l'energia che immagazzino mangiando. In poche parole brucio molta piu' energia deprimendomi  che allenandomi, e ora capisco perche' quando sono triste per periodi medio-lunghi (settimane) dimagrisco drasticamente. La cosa mi ha davvero sorpreso, e come per ogni cazzata, fatto riflettere.
Stare fermo a far lavorare (ovviamente inutilmente, amori non corrisposti, paure,ansie, insoddisfazioni sono tutti circoli viziosi senza fine, ruote da criceto che mi costruisco e dentro le quali corro) il cervello e' piu' faticoso che uscire e spaccarmi di squats. Spaventoso. Eppure e' così. E se voglio guarire devo mettermi il cuore in pace, lasciare a terra tutte quelle cose che mi loopano la mente e andare avanti. Amicizie spezzate, delusioni e incubi. Non sono mai stato così fuori forma infatti, e così magro infatti... Restiamo impantanati nelle persone, nei ricordi. Chi speravo cambiasse la mia vita l'ha fatto, giusto ieri sera...Dicendomi null'altro che l'onesta verita'. Non esisto piu' per lei...nei termini che speravo io. Sono scappato fuori, automaticamente vestito di scuro quando esco di sera, ho corso, non c'era una nuvola ne una persona in giro..e ho perso ogni cosa. Un altra volta. Lavoro ogni tanto, ma questo non mi aiuta, caro Anonimo che credi che il lavoro sia la cura di ogni pensiero. Cosa faro' adesso? e' quello che mi chiedo da ieri sera. Un mio caro amico mi dice che la vita va' avanti ma anche se so che e' vero perche' e' così difficle andare effettivamente avanti. Mi dice che forse per trovare qualcuno che mi voglia bene devo  scendere a dei compromessi, ma non posso farlo.
Mi chiedo ora cosa faro'.

Ma le cose dovranno cambiare, cazzo. Devo farle cambiare.
La paura è la via per il Lato Oscuro; la paura conduce all'ira, l'ira all'odio, l'odio conduce alla sofferenza. »

martedì 30 aprile 2013

cento pietre fredde

E' nato.  il mio libro, e' tra le mie mani. Per me significa molto, una parte di me, 100 haiku e non solo selezionati fra le quasi 300 poesie che ho scritto in 4 anni. E' qualcosa di vivo, ma solo grazie a Diana che col suol lavoro di sistemazione e impaginazione gli ha dato un corpo, e a Mura, che con le sue magnifiche illustrazione ha dato a questo corpo la vita. Non so che altro dire, sono un po' emozionato.
In questo libro ci sono quasi 1500 giorni di lacrime, di sospiri, di profonde meditazioni, di ricordi, di baci dati al vento, 1500 frammenti della donna che ho amato. Ci sono Io, c'e' Mura, C'e' Diana, Ci sono fiocchi di neve, passi, mani nelle mani, notti a fare l'amore, camminate sulle spiagge a febbraio, vento, pioggia, rabbia, oblio, voglia di affogare, di morire, di totale felicita'.

Dedico questo lavoro agli alberi (presenze silenziose ma attente) ai torrenti, alla luna, alle montagne, alle poche persone vere di cui mi circondo e che mi vogliono bene.
Queste sono poesie sulla natura, sulla mancanza, sul vuoto, su brevissimi momenti fotografati nell'eternita'. Ma anche sull'arte, che altro non sono che semi sparsi dal vento nell'animo delle persone. E se anche uno solo di questi semi germoglia, ecco il miracolo. Che altro non e' che arte di vivere, visto che l'arte piu' difficile in cui eccellere e' la vita, e non  un poeta, un calligrafo, uno scultore; vorrei diventare artista della vita. .





lunedì 29 aprile 2013

pensieri sotterranei


Visto i gomiti ancora infiammati sto muovendomi comunque, e anche se ne ho sempre fatte non ne ho mai scritto sul blog, comincia oggi la rubrica "microavventure". Questa volta ho esplorato l'Antro dei morti (un nome che mi tornava in mente mentre entravo), la grotta naturale che fa parte del complesso carsico dell'orrido di Cunardo, un sistema di gallerie (in parte ancora inesplorate) e sifoni a labirinto scavate dal torrente Margorabbia nella roccia calcarea. Essendo in fase di piena era piuttosto carico d'acqua, ma ho voluto provare ugualmente ad entrare nel ramo sinistro, quasi orizzontale (quello destro, verso cui l'acqua scorre, dopo pochi metri nel buio si getta in un sifone di una trentina di metri, impossibile da praticare senza corde ne' conoscenze speleologiche). Dopo i primi 3 metri nel ramo che ho preso l'oscurita' e' pressoche' totale, e la corrente gelida che cerco di risalire arriva quasi alle ginocchia. Si sente solo lo scroscio dell'acqua. Acqua che scorre, acqua che filtra da ogni dove e gocciola da ogni roccia del basso soffitto. Le ragnatele brillano, pesanti d'acqua, e grossi ragni aspettano qualche preda appostati nel nero. Dopo aver percorso una ventina di metri trovo un sasso che sbuca dalla corrente di questo torrente sotterraneo e mi siedo, in silenzio. spengo la gia' debole lampadina frontale. E' strano, come a qualche decina di metri sopra di me la vita si muova frenetica, asfalto cani bar passanti vecchi bambini grossi suv e semafori siano investiti di luce e chiacchiere mentre qui


                                     
                                                                  sono solo,nel buio.



Sono rimasto così a fare strani pensieri sotterranei e a cercare di ignorare il qualcosa che mi camminava sul collo ( viva le avventure certo, ma un ragno sul collo da' fastidio anche a me), mentre l'acqua scorre, e persino qui,

il suo ricordo mi accompagna....

Uscire e rivedere la luce dopo solo mezzora al buio la rende così diversa, così preziosa per gli occhi! l'aria fuori e' fresca, viva, quella nella grotta mi sembrava solo fredda, non so se rendo l'idea. Che sia un po' claustrofobico?

Lì sotto mi e' venuto un pensiero. Come il mio cuore sia simile all' Aquila: vi abita una persona, e' in fase di ricostruzione ( ma i lavori vanno a rilento), e la notte e' silenzioso e vi soffia il vento che scende dalle montagne.


l'antro dei morti, l'entrata

il ramo controcorrente, entrando nel nero.




acqua ovunque, anche da respirare



verso l'uscita.






mercoledì 20 marzo 2013

Giro di boa

Giro di boa perché' fra pochi giorni compierò' 24 anni. In realtà' il numero dell'età' anagrafica per me, sento già' da un po' di aver pagato il prezzo per la mia maturità'. Giro di boa perché' non e' certo con un compleanno che la vita cambia, pero' penso sia ora di cambiare un po' di cose della mia vita. Canzoni che ascolto ,libri che leggo, persone che incontro e stagioni che si succedono stanno cambiando lentamente...me.


Prima o poi dovrò' lasciarmi il passato alle spalle, e oggi voglio cominciare a farlo. Ho pensato cosi' forte a una persona che forse ho cominciato a idealizzarla. Ci ho pensato così a lungo che le stagioni si sono fatte spazio una dopo l'altra e me ne sono appena accorto. Questo mi ha fatto male, e contrariamente a quanto scritto nell'ultimo post, voglio fare qualcosa di più' che compatirmi, eh si. Lo scrivo ancora: Voglio fare qualcosa di più' che compatirmi,voglio fare qualcosa di più' che compatirmi. E' vero che non trovo lavoro, e' vero' che non ho un diploma di scuola superiore ( superiore a cosa poi, mi fa ridere pensarci vedendo certe persone diplomate "superiormente" e ignoranti come gambi di sedano) ma non per questo sono un fallito. Non voglio che la mia realizzazione consista in una carriera senza pretese in un posto senza pretese con colleghi e capi che, senza pretese, perdono i capelli affogando nello stress di un lavoro che odiano, nè tanto meno nel dovermi giustificare perché' sul mio curriculum la scritta istruzione sia riempita soltanto da un misero diploma di scuole inferiori. Inferiori a cosa? Ho imparato piu'cose da quando ho lasciato la scuola che frequentandola, grazie alla mia curiosità'. Ho cambiato e migliorato più' me stesso attraverso l'introspezione, che grazie a corsi umilianti di comunicazione e marketing in cui ogni povero diavolo coi suoi problemi viene costretto a raccontare episodi imbarazzanti davanti ad altre persone imbarazzate e confuse.

NO,GRAZIE.

A proposito di questo cambio un attimo argomento prima di raccontare le news per raccontare qualcosa a cui tengo:



Voglio citare un fatto avvenuto un paio di mesi fa, a un piccolo raduno a Milano, con molti vecchi e buoni praticanti e altre persone che non conoscevo. Finito l'allenamento me ne sono andai come sempre senza fare rumore, in metro per tornare a casa, e un ragazzino che non conosco si avvicino' e mi dice:" ah ma tu sei ghost vero?! Uo grande ho sentito parlare di te, sei fortissimo, ho visto i tuoi video, sei proprio un boss. Si, il boss!" Avrà' avuto quindici anni, mi disse che questo e' stato il suo secondo allenamento, non mi ha mai visto prima eppure mi tratto' con tantissimo rispetto. E in risposta borbottai qualcosa e mi girai dall'altra parte, perché' quel giorno ero nervoso e non stavo bene. Così facendo tolsi tutto l'entusiasmo e probabilmente rovinato la giornata e tutta la stima che quel ragazzino aveva . E me ne vergogno profondamente. Solo poche sere fa una cara amica, facendomi quasi piangere per la vergogna( questa persona ha una capacita' di guardarti dentro, di oltrepassare ogni tipo di barriera difensiva psicologica fuori dal comune) mi ha fatto davvero riflettere su questi e altri atteggiamenti che hanno ferito delle persone. Me ne vergogno, soprattutto perché' anche io, a suo tempo, sono stato trattato proprio nello stesso modo da persone che stimavo molto ed erano già' bravi praticanti quando io avevo appena cominciato. Da quel giorno ho potuto conoscere più' a fondo quelle persone, ma ormai il mio modo di vederle e' rimasto quello della prima impressione, cioè' quello di persone arroganti, superbe, che non conoscono l'umiltà' e non riconoscono il valore che davo loro, che non vedevano cosa rappresentavano per me e che, solo perché' erano forti e io no, non meritavo neanche una stretta di mano. Proprio come quel povero ragazzo pieno di entusiasmo, al quale ho spento il sorriso mettendomi gli auricolari e ignorandolo. Mi dispiace tanto, stasera l'ho capito: non era mia intenzione farti del male. Non era mia intenzione fare del male a nessuna delle persone a cui ne ho fatto. Compreso me stesso. Mi sono reso conto che il motivo per cui ai raduni il classico gruppetto dei vecchi e forti praticanti mi ha sempre (educatamente e senza che si vedesse eh, questo va detto) ignorato, escluso dal gruppo, e' per l'atteggiamento che avevo anche io. In parte e' colpa mia. Questo atteggiamento che ho tenuto praticamente da tutta la vita e' quello che ha causato sofferenza negli altri, e' quello che fa si che agli allenamenti,coloro che si vogliono avvicinare e dirmi qualcosa l'ottanta per cento non si avvicina e il restante venti si avvicina con prudenza e prima di formulare qualsiasi domanda mi chiede" sei incazzato?".

No, assolutamente, io voglio che mi parliate, voglio che vi avviciniate, che mi diate un po' di calore umano! Una parola, un consiglio, una stretta di mano! Ma evidentemente il mio corpo dice qualcos'altro. Un certo sguardo, le classiche chiusure (braccia conserte ecc, isolamento involontario) e un modo di dire le cose aggressivo,brusco, e apparentemente scazzato hanno sempre tenuto chi speravo si avvicinasse, lontano. A distanza di sicurezza. Questo crea un circolo vizioso: sto male perché' mi sento solo, il mio corpo lo esprime e le persone lo temono e più' stanno lontane più' mi sento solo. Ed e' per questo (che fin'ora non avevo mai capito) che quando sono fidanzato e sto bene, il mio corpo lo esprime e le ragazze si avvicinavo,con mia gradita sorpresa,(un po' meno gradita per lei) mentre quando sono solo e solo mi sento, stanno tutti lontano, aumentando il mio disagio che aumenta quindi la distanza. E questo ha cambiato tutto il modo in cui sono cresciuto e mi sono relazionato con gli altri. Forse un tempo questa mia chiusura, i muri che alzavo più' rapidamente di un muratore incazzato mi aiutava, quando era il caso( un periodo della mia vita che non mi va di raccontare qui), ma ora le cose sono cambiate. Ragazzini che desideravano avvicinarsi per chiedermi come mai saltavo di qua e di là, ragazze che ( si, incredibile ma vero, qualche volta e' successo) mi sorridevano, e quando le guardavo (con interesse, cercando di non fare ne' la faccia da maniaco ne quella da serial killer) se ne andavano in fretta, ferendomi.

Da un paio di anni a questa parte non avevo neanche più' il coraggio di guardare le persone in faccia quando parlavo, dal momento che il mio sguardo sembrava metterle a disagio, cosa che non volevo fare. E quando quella sera la mia amica (che mi ha anche aiutato col libro di poesie che sto per pubblicare e alla quale ho chiesto che fosse la prima a leggere) mi ha guardato attraverso, oltre tutti i miei muri, i miei occhi che sfuggono ai suoi, fin dentro i miei punti deboli e le mie paure....mi sono sentito così vulnerabile, come mai mi ero sentito prima, nudo, inerme. E naturalmente mi sono difeso, borbottando qualcosa senza senso, guardandola nel peggiore dei modi, stringendo i pugni, alzandomi dalla sedia per farla (inconsapevolmente) sentire sola ed esclusa, ma era inutile. Il suo sguardo mi ha trapassato vedendo tutto, vedendo cose che neppure chi mi e' stato vicino per anni, ha saputo capire. E' stato spaventoso. Una cosa per me indescrivibile, sarebbe stato più' facile incassare dei pugni in faccia...ma e' stato utile. Quella sera ho fatto un piccolo passo avanti verso una migliore conoscenza di me stesso, verso una futura riconciliazione con me. Non abbiamo parlato solo di questo, ma soprattutto di questo. L'ultima cosa che mi ha detto prima di andare e' stata:

Impara a fidarti di te stesso.



E stasera vado ad allenarmi in piazza a Varese, così luminosa coi molti lampioni arancioni di recente installazioni, e così tranquilla la sera. non vedo l'ora.

P.S.: Non ci sono molte novità'. Leggo tantissimo in questo momento, ancora poco e riuscirò', a spese mie, a stampare una cinquantina di copie del mio libro, se mi bastano i soldi. niente PDF, non e' paragonabile al contatto delle dita con la carta ruvida, col piacere (almeno per me) di sfogliare, di cercare tra le pagine. Se e' così anche per voi, allora quando esce compratelo :)





giovedì 24 gennaio 2013

equilibrio

Il ginocchio senza cure non migliora, fra 2 settimane la visita per capire cosa fare. Nel frattempo un mio buon amico mi ha regalato una settimana di palestra gratis e ne sto approfittando per provare un lavoro completamente diverso da quello al quale il mio corpo e' abituato. Non mi ricordavo bene cosa significasse sentire i muscoli come se ti avessero preso a bastonate. Sto facendo le mie prime esperienze con un bilanciere e mi piace sentire come il corpo lavora con una carico diverso dal suo solito peso. Niente corsa sul tapis roulant, solo cyclette alta come riscaldamento. Interessanti i lavori con le macchine, che ho sempre voluto conoscere meglio dal momento che la mia curiosita' per quanto riguarda i diversi metodi di allenamento e' insaziabile, anche se amando lo sviluppo della forza piuttosto che la massa sono i fondamentali (eccetto il deadlift che non mi permettono di fare, uffa) quelli che mi hanno da subito attratto. Nello squat (che faccio super lento perche' il ginocchio non ha piu' alcuna stabilita' e trema come una panna cotta) sono a 60 kg e 40 di panca piana . So che non e' molto ma per non aver mai fatto nulla sono contento. Inoltre finito in palestra posso fare qualche vasca in piscina ( con la tavoletta per rinforzare il ginocchio e...bhe', perche' non so ancora nuotare) e poi una bella sauna seguita dalla doccia fredda.


Queste erano le news.

Volevo scrivere cosa ho fatto ieri per riposare sia braccia che gambe. Ispirato da un vecchio post di Blane sono sceso a Ponte dove c'e' un campo da basket delimitato abbondantemente da una serie di sbarre tutte vicine ( alcune mancano altre ballano). Un buon modo per testare il grip delle Feivue nuove: due ore di equilibio ininterrotto. E' nuvoloso, umido, e ci sono 3 gradi. Poco lontano il Tresa scorre uscendo dal lago di Lugano per gettarsi una decina di km piu' in là nel lago Maggiore. Gorgoglia sbattendo tra i sassi, gabbiani e anatre infreddoliti stanno sugli spalti a guardare stupiti un po' gli altri, un po' i passanti che oggi non hanno voglia di lanciare pane. L'obiettivo e' fare piu' strada possibile, e non ho mai fatto piu' di 20 metri senza cadere. Non sento gia' ora le mani. Calcolo la lunghezza e la larghezza del perimetro con i piedi, calcolando per difetto che misura 32x20 metri, 104 metri a ogni giro. Dopo qualche secondo di raccoglimento scelgo la musica dal lettore e salgo. Ho deciso di fare 2 giri in un senso e 2 in un altro, per non viziarmi a girare il periplo da una parte sola. A ogni giro incontro 3 sbarre che mancano, così allungo il piede piuttosto che rischiare di cadere facendo un precisino di traverso. I primi 6 giri sono tranquilli, ogni tanto mi fermo un istante per soffiarmi il naso. Non ho comunque mai fatto tutta questa strada in equilibrio in una botta sola e infatti verso il nono giro cominciano gli svarioni da percezioni visive. Bruciano un po' le spalle e gli addominali, che lavorano per dare stabilita', cominciano a farsi sentire. Al meta' del dodicesimo giro il dramma: un'allucinazione. mi appare tra la sbarra e i piedi l'immagine della Venere di Botticelli con la faccia di una mia ex.

E cado. Prima di rendermi conto di cosa e' successo e sclerare riparto subito, e l'effetto di vedere per tutto il tempo davanti a me solo la sbarra che scorre dall'alto verso il basso non mi permette di percepire altro, cambio canzoni dal lettore senza guardarlo perche' tanto non riesco a mettere a fuoco. Che Strano! Un vecchio con l'accento napoletano passa e a ogni passo urla "hop! hop! Attento che cAAAdi!" , sta li per qualche minuto a rompere le balle e riparte per fortuna per la sua strada lungo il fiume. Spengo il lettore, ultima mega soffiata di naso e gli ultimi 3 giri li faccio quasi di corsa, con gli occhi socchiusi. Anche se sono caduto una volta ho complessivamente percorso 2080 metri su una sbarra. Ho le mani gelide e piedi belli caldi, faccio una passeggiata in silenzio per schiarire la vista. Ho intitolato questo post" perche' in un' ora e mezza, un passo davanti l'altro ho pensato tanto a chi mi ha amato o ha detto di averlo fatto, e alla solita  solitudine, che a volte mi e' amica e musa altre una parassita che soffoca le belle giornate. Non si puo' dire "fregatene,tirati su" o cose del genere. Non sono il tipo di persona che sa ignorare questi pensieri,ma sono loro a rendermi cio' che sono  nel bene e nel male. Rileggendo il post noto di aver cambiato modo di scrivere. Adesso sembra il diario di Rorschach. Ma non mi importa.
Cammino su questa via continuando a cambiare, conoscendo ogni giorno un nuovo me stesso.