giovedì 28 dicembre 2017

Piccoli giochi di sopravvivenza

Come sfida di fine anno, invece di un allenamento di parkour classico, ho deciso di mettermi alla prova con una sfida diversa dal solito.
Amo molto la montagna, e in questo periodo ci sto andando il più possibile. Giro per boschi da quando ho dieci anni, e ultimamente mi piace, per rilassarmi e imparare nuove skills, fare campo, fuoco, piccole costruzioni e ripari. Bushcraft, se vogliamo usare sto parolone di cui spesso si abusa.
Insomma, questo è ciò che ho fatto oggi:

 ho scelto di mettermi in una situazione di rischio ( ricordiamoci la differenza tra rischio e pericolo,) salendo in cima a una delle piccole montagne della mia amata Valganna dove stanotte ha nevicato abbondantemente, infradiciarmi per bene i piedi, e scendere ignorando totalmente il sentiero e "scegliendo" di perdermi. Per poi dovermi orientare, ritrovare la strada, evitare di i geloni ai piedi bagnati, bere e mangiare e tornare alla macchina lasciata a valle prima che facesse buio.

Dunque: la giornata è soleggiata ma molto ventosa. Lascio l'auto a inizio sentiero e tiro su lo zaino col setup invernale da bushcraft ( tarp, una decina di metri di corda e cordino, coltello, segaccio, caffettiera, tazza, e kit fuoco). A valle c'e' poca neve, salendo piano piano entro già nella zona d'ombra della montagna, con temperature che variano tra i 6 e i -4 gradi, e la neve aumenta. Nessuna orma umana (sia ringraziato l'inverno)  ma molte animali. Cervi, lepri, tassi e numerose di cinghiale, che in tutti questi anni non ho ancora mai visto dal vivo. Salendo tengo sempre gli occhi aperti alla ricerca di esche asciutte per un eventuale fuoco, che mi ficco in tasca per farle seccare, se ne trovo. Arrivato in cima coi piedi totalmente fradici me ne lamento parlando da solo, e questo proprio mentre, tra alcuni faggi rimango senza fiato vedendo una mamma cinghiale con 3 piccoli che grufolavano scavando. Che meraviglia, ma per colpa della mia linguaccia mi sentono, mi vedono  e scappano all'istante nella direzione opposta, con uno dei cuccioli che per un attimo si sbaglia e corre verso di me, ma poi capisce e segue gli altri...è la prima volta che vedo dei cinghiali, pur avendo visto decine di volte le loro tracce.

Rimango in silenzio qualche minuto, godendomi il panorama e maledicendomi per aver parlato. In cima tira un vento gelido che mi spara in faccia la neve polverosa e alta quasi fino alle ginocchia. Decido di scendere dalla parte più ripida e meno battuta della montagna, senza alcun sentiero e piena di alberi caduti e rovi coperti di neve. Andando un pò di corsa e un pò scivolando mi butto giù come se mi inseguissero tenendo ogni tanto d'occhio le cime intorno per mantenere l'orientamento, pur essendo una zona ancora inesplorata. a metà discesa mi ricordo di non avere ancora esche asciutte, a parte qualche infruttescenze piumose di Vitalba. Trovo alcune betulle cadute, ne taglio un pò di corteccia e più giù un vecchio pino caduto mi dona qualche ramo carico di profumata resina: il fatwood è la salvezza.

 I piedi fanno male per il freddo bagnato della neve che continua a entrare, così arrivato alla fine della discesa decido che ho ancora un'oretta di luce. Trovo uno spiazzo, e il più velocemente possibile preparo un tipi (https://it.wikipedia.org/wiki/Tipi) d'emergenza  per ripararmi dal vento e dalla neve, mentre mi arrabatto per fare un fuoco per asciugare calze e scarpe e un caffè bollente.
Lo scopo della giornata era, insieme a scendere dalla montagna di corsa fuori sentiero e sulla neve, fare un riparo ed accendere un fuoco decente solo con esce naturali. Ho sempre esche artificiali con me per precauzione ma volevo proprio farne a meno.
Per accendere il fuoco ho combattuto un buon quarto d'ora a colpi di acciarino. Grattata la corteccia di betulla fino a farne una polvere sottile, mi cade nella neve. Ricomincio da capo. Gratto la corteccia, ne strappo a parte un paio di pezzetti che a fiamma avviata prenderanno subito...colpisco il tutto con l'acciarino che mi è sfuggito perché ho le dita congelate. Bene, mi dico, volevo mettermi in difficoltà ed eccomi qua, con un riparo fatto col culo, che si gonfia perché nel frattempo il vento è cambiato. Alla fine, spaccando in pezzetti e grattando del fatwood sono riuscito a farlo partire, ma mi sono dovuto aiutare con una esca portata da casa. Non ho curato la raccolta della legna, ho preso quella che capitava per fretta e perché era poca e umida. Risultato : un sacco di fumo negli occhi, e fuoco che scalda poco. metto nel fornello qualche pezzetto di legna acceso e carico la caffettiera...che cade una volta per il calore del fuoco che ha sciolto la neve sotto. Per fortuna non era ancora salito, altrimenti avrei dovuto bermi solo acqua calda.


Appena il fuoco si fa vivo mi tolgo scarponi e calze e metto tutto ad asciugare. Sto così una mezz'ora, ascoltando il silenzio e guardando la brace ardente fare l'amore con la neve.
L'avventura si conclude naturalmente facendo sparire ogni traccia del mio passaggio e tornando verso l'auto pochi minuti prima che faccia buio. Non ritengo sia stata un successo a livello di survival perché la fretta data dal bisogno impellente di scaldarmi mi ha fatto agire in maniera non ottimale, anche se alla fine efficace. E' stato molto divertente comunque, amo mettermi alla prova e farlo nel paradiso silenzioso del bosco, almeno a qualche chilometro da qualsiasi altro essere umano mi dà veramente gioia.


LA FELICITÀ NEI BOSCHI

Sopravvivenza a parte voglio spendere due parole per la felicità che può donare il semplice uscire di casa e andare a fare due passi tra gli alberi:  Essere là, soli, senza sentirsi soli, in silenzio, col telefono che fortunatamente non prende è la migliore cosa che può capitarvi. E' necessario riprendersi i propri spazi, è necessario ogni tanto camminare soli. E' il momento di reimparare a stare senza fare niente, ad "annoiarsi". Non è mia intenzione cercare di convincervi ad andare per boschi e cime a ogni costo, anzi. Ma se qualcuno ha questo desiderio e non sa da dove cominciare posso dire di uscire e camminare, senza paura, senza aspettative, senza fretta. I momenti più preziosi, quelli in cui si aspetta il caffè salire seduti nella neve, o quando si cammina all'ombra dei faggi che dormono, sono cibo per l'anima.

domenica 10 dicembre 2017

Droga e parkour

Un titolo che non lascia dubbi sull'argomento.
Parlandone con alcuni compagni di allenamento ho avuto modo di riflettere su quanto il problema del doping e delle droghe nell'ADD/PARKOUR/FREERUNNING  stia aumentando in maniera preoccupante, più o meno sotto gli occhi di tutti. 
Negli anni ho dato così per scontato che chi praticasse tendesse ad avere una vita sana e più o meno salutare da non accorgermi che invece il problema dell'ABUSO di droga( fra poco spiegherò cosa intendo per droga) nelle nuove leve (e non solo) sta strisciando tra di noi rischiando di causare un disastro. 
Prima voglio dare una definizione TOTALMENTE PERSONALE di cosa intendo per droghe e per uso e per abuso: una droga è una sostanza di cui si diventa dipendente per necessità fisica o psicologica, tutto il resto è un vizio, un desiderio, un abitudine, ammesso che se ne abbia il controllo totale.
 Uso e abuso: come descritto nella definizione, l'uso è quello che si usa saltuariamente, per scopi ricreativi ( come un cocktail il sabato sera o un tiro d'erba tra amici), che non sia un'abitudine rituale, necessaria o particolarmente sentita. oltre è un abuso, siamo nell'ambito della dipendenza. 
Ma il problema non è l'uso o l'abuso. Non mi importa se chiunque si spacca il corpo di qualunque sostanza, gli appartiene e può farne ciò che ne vuole. Questi sono i due principali punti su cui riflettere:
  •  ultimamente sta passando il messaggio alle nuove generazioni, (messaggio trasmesso dalle vecchie, si intende) che non c'e' niente di male a farsi una canna prima di saltare per ridurre l'ansia, per rilassarsi prima di un allenamento, durante l'allenamento, dopo l'allenamento.  

  • sempre più figure di riferimento (coach, atleti famosi e ragazzi che si allenano da tanti anni) fanno uso di droghe leggere o pesanti ( si, storie di nasi bianchi ) davanti a ragazzi sempre più giovani, ai propri allievi o ad eventi pubblici a cui sono stati invitati, dimostrando quanto sia normale  che un praticante esperto o così forte faccia uso tranquillamente e spesso di sostanze che alterano la coscienza, che danno benessere... e per cui comincia soprattutto a servirne sempre di più o sempre più spesso, per ritrovare quello stato di benessere. Queste persone dovrebbero rendersi conto che la loro influenza è ENORME sulle nuove generazioni, che vedono in loro veri e propri esempi da seguire. Se anche un coach o un atleta invitati a un evento si dovessero far vedere con in mano una semplice canna una volta che l'evento è finito, in un momento informale facendo due chiacchiere con gli altri, rischierebbero seriamente di compromettere l'immagine, magari molto positiva, che hanno costruito durante la giornata. Ricordiamo che il coach non si toglie il costume da insegnante una volta che la lezione è finita ma continua a essere osservato, per cui va ricordato che "l'azione educativa è costante e irreversibile." (Calefato- il parkour in età evolutiva, 2016).
Forse rischio di sembrare semplicemente un bacchettone ipocrita,  ma invito tutti quelli che hanno quest tipo di responsabilità a rifletterci.
E NON SOLO:
credo sia anche ora, quando vediamo comportamenti simili in chi si allena con noi pur non essendo un nostro allievo o spettatore, non di rimproverare semplicemente quel comportamento come una macchia, ma di parlarne tra pari, chiedendo se quella canna ti fa saltare davvero più rilassato, se puoi fare lo stesso salto anche senza,  se quella redbull di fa davvero svegliare per l'allenamento di oggi. Anche quella è una forma di doping, se ti fa sentire meglio e la cui assenza ti manca. Ovviamente non perdendo di vista la gravità dell'abuso di sostanze ben peggiori... e che tristemente si vedono sempre più spesso nei raduni, gli amati raduni.