martedì 10 dicembre 2019

geocaching ed esplorazione

Breve racconto delle prime esperienze nel mondo del Geocaching


 Sostanzialmente è un gioco in cui si usa un Gps  (anche quello dello smartphone può andare nonostante non sia il massimo in termini di precisione) per trovare degli oggetti, le cache appunto. All' interno si trova il logbook. un pezzo di carta in cui scrivere data e firma. si rimette tutto via e fine.  Perchè è così interessante?
 Ovviamente perchè facendo parkour ed amando la natura mi sono messo subito a cercarne qualcuna tra i boschi e le rocce delle mie montagne. Una bella occasione non solo per ricominciare con le escursioni, ma per esplorare nuovi angoli del territorio. Ma anche per allenare vista,  tatto, ingegno e  attenzione ( in un momento in cui la gente e persino i traceurs sembrano avere la soglia di attenzione di un pesce rosso). Siamo ancora cacciatori- raccoglitori, anche se scriviamo sugli smartphone e l'unica cosa che cerchiamo e raccogliamo sono gli sconti su Amazon. Come ha scritto il buon Gato nei link che vi ho messo sopra, l'uomo ha delle pulsioni scritte nel DNA, e l'esplorazione, la curiosità di conoscere il proprio territorio e il cercare e trovare cose sono spinte fortissime. Il parkour vuole essere una risposta a queste pulsioni. Proviamo a reinterpretare gli spazi in cui viviamo e nei quali a volte ci sentiamo confinati.  Cerchiamo nuovi modi di vivere delle barriere sforzandoci di trovare nuove soluzioni. O nuovi problemi in un mondo dove ogni cosa ci viene imboccata, premasticata e spesso predigerita.
Per quanto riguarda la missione di oggi rinominata "operazione recupero cache veloce" il mio proposito era di tornare nei posti già esplorati 3 giorni fa dove non sono riuscito a trovare le famigerate cache( complice la mancanza completa di internet nella valle, vantaggio e svantaggio insieme) e trovare le 2 su cui mi ero impuntato. La prima di fronte alla cascata, raggiungibile solo guadando e muovendomi lungo il greto del torrente, la seconda più in alto e più lontano nella valle. Obbiettivo : raggiungere entrambe le zone e trovare le cache entro un'ora.

Faccio partire il tempo appena parcheggiato l'auto e inizio a correre. Zainetto minimale da 10 litri con materiale foto video, kit medico, kit fuoco e vestiti. Temperatura tra i 3 e gli 11 gradi. Molti, per questa zona e questo periodo. Corro sul sentiero fino all'inizio del torrente, che dovrò costeggiare per circa 200 mt verso monte.  Parkour vero qui. passi piccoli e rapidi, adattarsi rapidamente a rocce umide, fango e foglie è necessario per non finire col culo a terra. Raggiungo in fretta la zona di caccia di fronte alla cascata e inizio a cercare con l'aiuto, come unico indizio, di un paio di screenshot del luogo preciso in cui dovrebbe essere nascosta. In natura è molto più facile nascondere qualcosa e molto più difficile trovarla. Trovato rapidamente, firmo e rimetto a posto. Un paio di foto veloci e riparto velocissimo,  saltando tra i sassi emersi del torrente e scivolando inciampo. Mentre cado riesco a mettere le mani su altri sassi e mi risparmio un bagno. Fino a quando devo decidere se rifarmi tutto il fiume e il sentiero per poterne prendere un'altro alla volta della seconda cache più a monte...o se tagliare direttamente e arrampicarmi. odio arrampicare, è una della mie debolezze. Ma dopo l'avventura con Perez sulle dolomiti ho più fiducia nel mio free solo e decido di farlo. La roccia è bagnata, sempre in ombra, ed è un'ardesia mista a vene di ferro no particolarmente compatta.
Qui la via seguita. Un tentativo , zero errori a disposizione.














Una volta superati i circa 10 mt di roccia il pendio è ripido ma erboso, e proseguo in quadrupedia, attento ai ricci lasciati dai castagni. Raggiungo il sole e il sentiero una cinquantina di metri più in alto e dopo aver bevuto al volo proseguo in corsetta leggera sul sentiero verso la seconda cache, da qualche parte 4oo mt in linea d'aria più avanti, nei pressi della vecchia miniera d'argento. Una volta raggiunta guardo sul telefono l'indizio: la foto di un'albero sotto il quale dovrebbe esserci la cache.
Trovata!! mancavano 10 minuti allo scadere del tempo. Ma questo è solo l'inizio. Appena completata la missione ho provato a esplorare la miniera abbandonata, ma ho dovuto interrompere alcune decine di metri dopo l'entrata per mancanza del materiale speleologico che servirebbe.  Mi sono comunque inoltrato abbastanza dentro e giù, essendo in discesa verso le viscere della montagna. Superando un paio di brutti pozzi e usando mani e piedi sulle pareti della miniera per scavalcare una specie di vasca rettangolare di un paio di metri di lunghezza profonda circa venti metri,  Un tratto affascinante ma psicologicamente difficile. Mi ritengo soddisfatto per oggi.



Il valore dell'esplorazione 
Credo che l'esplorazione  non sia qualcosa di diverso dal parkour. Per iniziare a capire cosa significa essere umani che esplorano date un'occhiata qui ma anche qua per non parlare del (LEGGI QUI ORA).
 Per molti della mia generazione di praticanti è sempre stato scontato allenarsi e creare percorsi in qualsiasi ambiente oltre alla città ( nel grigio mondo a 90 gradi). Se scopo del parkour è imparare a superare qualsiasi tipo di ostacolo, muoversi su terreni irregolari, affrontare superfici scivolose, imprevedibili, cambiare tecnica di salto, corsa e arrampicata mi sembra l'essenza stessa della nostra pratica: l'adattabilità. 
Quindi il Geocaching è per me solo un motivo in più per uscire e affilare le mie abilità umane (sul fatto che le skills che voglio lavorare siano utili o no in questa epoca e in questo contesto sociale possiamo discuterne). 

Come correre, 
orientarmi, prendere rapidamente decisioni, arrampicare, fare un riparo, un fuoco, nascondermi alla vista di persone e animali e via dicendo. 
Dalle mie parti oltre alle superfici visibili e pulite delle città ci sono parco giochi per tutti i gusti: Montagne, boschi, grotte naturali, tunnel artificiali, fogne, miniere, archeologia urbana. e molto altro. Tutti posti dove si suppone uno non vada. Ed io, curioso e per mia natura schivo trovo in questi luoghi dei  templi dove contemplare le mia paure, la mia voglia di vedere e di muovermi la dove non va nessuno. Ora che ci sono anche dei tesori da trovare non vedo l'ora di uscire a sporcarmi di nuovo!















venerdì 20 settembre 2019

Cammino di Santiago pt. 1

Quali sono gli ingredienti per una grande avventura? Non me lo ero ancora chiesto, anche se li avevo già incontrati, in passato.  Ma quest' anno ho vissuto da vicino delle esperienze che ho voglia di condividere.







Bipedi


Ad agosto ho fatto una parte del cammino di Santiago, un viaggio che volevo fare da tempo, anche se non lo sapevo.  Dopo un' anno difficile e intenso mi ha preso di nuovo forte il desiderio di viaggiare solo, e cosa c'è di meglio di un cammino lungo e solitario ( ho scoperto esserci molte forme diverse di solitudine, camminando) per fare i conti coi propri pensieri?

 Il viaggio in auto, bus, auto, aereo, bus, treno e taxi (messo gentilmente a  disposizione dalle ferrovie francesi) per arrivare a Saint Jean Pied De Port, l'inizio ufficiale del Cammino Francese.  Perdere il primo giorno la felpa, poi la bandana che avevo da anni. Lavarsi ogni giorno calze e mutande. E camminare, camminare, camminare.  Così semplice eppure non facile. Il mio corpo arrogante credeva di poter gestire quel genere di fatica senza una piega, così abituato all'allenamento. Stupido me, che non avevo idea di cosa mi avrebbe aspettato, ah ah!  Nei giorni seguenti avrei appreso la lezione.  Ho scoperto che i bisogni davvero fondamentali sono pochi e facili da soddisfare: mangiare, riposare, lavarsi. Ho imparato lentamente, giorno dopo giorno, qual'era il mio ritmo. I primi giorni, tutto preso dall'emozione di essere sul cammino e di vedere altri pellegrini non sapevo cosa fare, quando partire , dove riposare, quanti km fare ogni giorno, come affrontare il dolore. Camminavo forte e mi gurdavo solo la strada davanti a me

Poi, lentamente, ho rallentato.


Non aveva più importanza che  tutti mi sorpassassero. Ho ascoltato sempre meno musica o radio, per avere compagnia. Volevo ascoltare tutto il vocìo costante della mente, osservare me, il paesaggio immenso che cambia pianissimo ora dopo ora, tra i Pirenei o negli infiniti campi di grano della meseta. A volte l'ampiezza del panorama, così diverso da quelli cui sono abituato, mi stordiva con la sua bellezza.  C'era qualcosa di commovente nel realizzare che stavo facendo a piedi e con le mie sole forze un pezzo di mondo, che il paesaggio cambiava lentamente ma costantemente solo grazie al mio camminare. Una percezione non ovvia, però. Questo sapere non era "in circolo" dentro di me: era una riflessione che a volte facevo, ma emergeva a tratti. Non era una consapevolezza costante. E quando accadeva mi veniva quasi da piangere dall'emozione. Certo, sapevo che tutto cambia in continuazione e che tutto è condizionato. Ma è una verità che si dimentica subito.
 Il dolore ai piedi e alle gambe, compagno costante insieme alla ghiaia del sentiero era a volte forte altre meno, ma anche zoppicando con un ginocchio dolorante e i piedi pieni di vesciche  ero contento di quello che stavo facendo.

 E poi eravamo tutti nelle stesse condizioni. Quando la sera mi fermavo in un albergue reincontravo le persone viste ore o giorni prima sul cammino mentre si stendevano stanchi sui letti,  lavavano i vestiti o curavano le vesciche con ago e filo. Queste sensazioni così basilari e condivise mi hanno fatto sentire parte di una comunità, qualcosa che non sentivo da tempo. soprattutto negli albergue parrocchiali o donativi, quelli antichi, belli, tutti pietra e travi di legno tarlati, magari senza wi fi. Con una semplice cucina, i letti, le scale di pietra irregolari...bellissimi. Intimi. Se decidete di fare il Cammino cercate quelli. non rimane molto dello spirito del cammino, se cercate le comodità a ogni costo. Quando ti accorgi che gli altri stanno soffrendo almeno quanto te, se non di più, ricordi che non è così importante l' "io", il "mio" dolore, i "miei" bisogni.  Siamo stati in quei momenti tutti compagni di viaggio. A volte prestando un pezzo di sapone a una sessantenne tedesca, altre ricevendo una birra da un signore giapponese di 80 anni che faceva il cammino con le scarpe da città, e che, lento e inesorabile, ogni mattina erà la sulla strada a camminare piano. Molto piano, ma inarrestabile.




Probabilmente un Bodhisattva.  Dopo aver scavalcato montagne, essermi perso alcune mattine tra i campi, a ver camminato alle 4 di notte (o di mattina) nella periferia di Pamplona tra i barboni che dormivano,  fradicio d'acqua dopo essere stato vililmente schizzato dagli spruzzatori dei giardini pubblici, attraversato una foresta infestata da bruchi appesi ovunque...mangiato molti bocadillos e bevuto molte birre...ho camminato ancora. 
Ho percoso 300 km in 14 giorni,  un we a Madrid per riposare e infine a casa. Ora la mia concha, la conchiglia del pellegrino è appesa a un chiodo, in attesa di essere riagganciata allo zaino per concludere il Cammino di Santiago.


un'intera tappa notturna nella Meseta, guidato dalla luna e dalle stelle.




il confine tra Francia e Spagna con alcuni amici conosciuti lungo il cammino. 


i momenti che ho più amato. Cieli immensi e punteggiati  di nubi, l'orizzonte basso e silenzioso, il sentiero di fronte a me e i miei passi, insieme a miliardi di anni, che macinavano la ghiaia della via.









giovedì 25 luglio 2019

Istanti



https://www.youtube.com/watch?v=CekJ9yBcOVU



Non è possibile comprimere una vita di pratica in pochi minuti. Questo è il tentativo di condividere il significato che ha per me questo viaggio. Un viaggio iniziato 13 anni fa, denso e pieno di esperienze. Davvero difficile provare a raccoglierle tutte. Ora ho 30 anni e il viaggio continua, ma senza alcune persone questo viaggio sarebbe stato solitario e noioso. Con alcune di queste persone ho condiviso tutto, lunghi giorni e difficili notti. Sfide, sangue, calli e mattoni, ruggine sole pioggia e neve. Questo video è anche un tributo ad un amico e maestro che ha lasciato questa vita. Ma il suo esempio continuerà a guidare molti di noi verso la propria liberazione personale. Ciao Gato. Non sei mai andato via.

 Questa è la mia pratica.
 Qualcosa che mi ha dato tanto e che mi chiede tanto, e alla quale ho voglia ancora di dare, come un amore. Il mio parkour, un pezzo del mio cammino.
"Di sicuro non la pratica perfetta, ma la mia pratica, alla quale non voglio negare valore."-Ravi Semenzato

martedì 18 giugno 2019

Progammazione dell'allenamento per il parkour

So di essere l'ultimo arrivato a parlare di programmazione dell'allenamento del parkour. Ovviamente mi rendo conto che ci sono migliaia di pubblicazioni scientifiche sulla necessità di programmare e sono già molti i praticanti che lo fanno,  ma ho deciso di scriverne per riportare la mia diretta esperienza da sei mesi a questa parte.
Mi sono allenato per una vita in maniera del tutto istintiva, autodidatta e piuttosto ignorante, per poi inventarmi dei programmi con obiettivi troppo generali o ideali. Certamente coi volumi atroci che tenevo ho raggiunto dei risultati, ma solo se prima non mi annoiavo o non subivo un infortunio.  Obiettivo raggiunto comunque lentamente e spesso senza aver tenuto conto della dovuta progressione (e qui torniamo al punto precedente, infortuni e noia).
Invece ho scoperto un lato debole della mia disciplina, iniziando a programmare: sapere di dover fare  quel dato tipo di lavoro quel giorno, qualunque cosa accada e mettersi là a farlo senza trovare scuse è maledettamente difficile. Ho una mente pigra, ma credevo che sarebbe stato facile, visti i miei trascorsi di volumi e intensità di lavoro. E invece mi sono ritrovato a imprecare a denti stretti.
Da quando sono entrato nel magico mondo della programmazione ho capito che se si vogliono raggiungere dei risultati seri, consistenti e duraturi bisogna fare un lavoro serio, consistente e protratto nel tempo, pena il rischio di guadagnare tanto nel breve termine ( in termini di forza e mobilità) per poi raggiungere presto un plateau, o anche di perdere altrettanto velocemente la forza acquisita.
Quindi qui parlerò di cosa sto scoprendo sperimentando una programmazione da autodidatta basata sugli obiettivi che mi pongo io e su come risponde il mio corpo agli stimoli, che non sono ancora ben disciplinati e continui (lavoro, corsi, pigrizia a volte mi fanno saltare delle sessioni...ok, solo pigrizia! non ci sono scuse).


Ci sono dei pro e dei contro nel programmarsi un ciclo di allenamento:

PRO

  • si impara molto più sul proprio corpo in una settimana di allenamento programmato che in un mese di allenamento casuale, visto che probabilmente il tempo totale accumulato è in realtà maggiore nel primo caso, che non nel secondo, nonostante la percezione;
  • Ho scoperto quanto poco so sulla teoria dell'allenamento, cosa che mi ha costretto a impegnarmi per imparare qualcosa che andasse oltre il pompare a testa bassa; 
  1. ponendosi un obiettivo reale a breve termine si è più incentivati ad allenarsi, poiché si vede che si sta percorrendo una strada che porta da qualche parte, piuttosto che verso un orizzonte infinito;
  • si ha la libertà di inserire qualunque esercizio ci piaccia, quindi non rischiamo di annoiarci. Anche se poi non bisogna dimenticare che non possiamo fare solo quello che ci piace, ma anche quello che è necessario; 
CONTRO:

  • Frustrante, mettersi li a fare quei cazzo di quattro esercizi necessari, quando preferiremmo uscire a saltare il liberà. 



Conclusioni 
La via alla conquista della forza del demonio è questa:

  1. porsi dei piccoli obiettivi mensili, che con 3 o 4 settimane di lavoro siano raggiungibili (almeno per iniziare, poi si può alzare lo sguardo verso cime più lontane).  
  2. Fare pochi esercizi mirati e farli con la massima qualità possibile. Disperdersi in mille esercizi fa perdere tempo ed energia preziosa, per chi come me lavora e non ne ha da sprecare.
  3.  Lavorare con CONSISTENZA:  il corpo ha bisogno di uno sforzo ripetuto, per costruire forza e i necessari schemi motori. 
  4. Diluizione: fare l'esercizio x una volta alla settimana dando tutto è meno efficace che spalmare lo stesso volume di lavoro in 3 sessioni. Qualunque skill richieda settimane di lavoro si perde in settimane. quelle che costruirai in anni dureranno anni. 
  5. Ascolta il tuo corpo: qualunque messaggio ti mandi va ascoltato e intrepretato, non ignorato credendo che il "no pain no gain" sia il vangelo. 
Consiglio bonus: picchiare giù come un fabbro. Senza se e senza ma. Ma con calma. cammina, non correre. Ma cammina all'infinito. Allenati per la maratona, non per i centro metri. Fai il tuo riscaldamento, fai la tua cazzo di routine. Poi puoi anche spegnerti.

mercoledì 6 febbraio 2019

Minimalismo, un'introduzione

Alcuni mesi fa, dopo un allenamento, vagavo in un negozio di articoli sportivi alla ricerca di un nuovo paio di scarponcini. Giro tanto nei boschi, e col tempo ho capito quanto sia importante avere delle buone calzature. Ne trovo un paio interessante, lo provo. Calzano come un guanto...eppure qualcosa non andava. Strano, perché di solito comprare materiale da escursionismo e campeggio mi rende felice. Comunque quella sensazione è durata solo un attimo e se ne è andata. Come faccio di solito mi sono aggirato ancora per un pò nel negozio, per valutare i pro e i contro di quel paio di scarponcini. Poi un pensiero è sorto: hai già un paio di scarponcini. Sono consumati, non tengono più l'acqua, d'accordo, ma possono ancora portarti lontano. Ti occorre davvero un nuovo paio di scarpe? E la risposta era no. Me ne sono andato dal negozio. Tornato a casa mi sono imbattuto su youtube in un ragazzo che faceva riferimento a un documentario visto su Netflix, un documentario sul minimalismo.
Questa parola mi ha incuriosito, così sono andato a vedermelo.

Per un pò ho riflettuto e sperimentato questo approccio alle cose. Con qualche errore, (come iniziare vendendo il letto perchè mi sembrava inutile e ingombrante) andando per gradi e per tentativi ho voluto comprendere cosa significa quello di cui parlavano i ragazzi del documentario, ma senza limitarmi a scimmiottare  il loro stile di vita. Ogni persona è diversa e benché possano essere simili i motivi che ci spingono a fare qualcosa non significa che dobbiamo farla allo stesso modo. Ho iniziato a guardarmi intorno, per casa. E a farmi delle domande: quante delle cose che vedo mi servono davvero? Quante ne uso? Con quali ho un legame di affetto? Quali hanno un valore, che non sia meramente economico?  Non sono mai stato attaccato agli oggetti materiali. Ricordo che da bambino avevo pochissimi giocattoli, ma ai quali ero molto affezionato. Un peluche, alcune biglie. Il resto me lo costruivo. E dopo una ventina di traslochi si impara a portare con sè solo l'essenziale.
Quando ho iniziato a lavorare da ragazzino vivevo stipendio per stipendio. Erano i primi soldi che guadagnavo e finalmente potevo comprarmi le cose che mi piacevano. Fino a qua tutto normale. Libri, dolci, playstation, cd, dvd, vestiti, materiale da campeggio. Ma ritengo che  questo sia il battesimo del consumismo.
Voglio essere chiaro. Non c'è nulla di male nel possedere cose. Cose che ci piacciono.
  A volte però è vero il contrario. Molte persone cercano di riempire un vuoto che hanno subìto nella vita con...oggetti.  Affetti, sicurezza, serenità. Quando queste cose mancano bisogna tappare le ferite che creano in qualche modo. E' normale e giustificabile.  Non è accettabile vivere con un vuoto. Non è ammissibile vivere soffrendo. Però crescendo questo può sfuggire di mano, e il mondo intorno a noi di certo non ci aiuta: ci spinge a comprare, accumulare, collezionare. Ci sommerge di pubblicità di automobili  che danno gioia nel guidarle, di vestiti che ti renderanno interessante agli occhi degli altri. Ci invita insistentemente a comprare il telefono che possiede una fotocamera migliore di quello che hai in mano, o con un colore diverso. Sicuramente un upgrade che non può mancare. Più grande, o più piccolo, con lo schermo più largo, che fa video migliori, con i bordi stondati, che fa fare le cose due decimi di secondo più velocemente. Che ha la scocca di pelo di panda estinto.

Quello che ho intrapreso non è il cammino dell'eremita. Minimalismo per me non significa vivere privandomi di qualcosa o in povertà. Quello che sto facendo è invece riappropriarmi di  consapevolezza, di sapere cosa mi serve realmente e cosa in realtà no.  Ma sopratutto...di significato. vivere con significato vuol dire occuparsi delle cose che contano. Occuparmi di me, delle mie passioni, delle persone alle quali voglio bene. Non voglio badare all'addobbo dell'albero di natale, che ho sempre fatto perché credevo fosse sinonimo di natale, quando, fermandosi un minuto a riflettere, mi sono reso conto che l'ho sempre fatto perché lo facevano tutti. E' stato uno dei primi oggetti che ho buttato via intorno a novembre, nel periodo in cui di solito lo tiravo fuori dal suo sacco di plastica. Non voglio più impazzire per trovare il regalo giusto per il compleanno dei miei amici. Voglio regalare loro qualcosa che abbia significato e valore, come del tempo da passare insieme, o qualcosa che ho fatto io con le mie mani. O una busta di soldi, che serve sempre. Porto un' altro esempio: da qualche anno vivo solo. Il sogno di una casa tutta mia dopo aver vissuto tutta la vita in decine di case diverse nelle quali doversi adattare a mobili brutti, usati, a stanze cupe, a case troppo grandi o troppo piccole è difficile da comprendere per chi è cresciuto sempre nella stessa. Appena ne ho preso possesso ho desiderato renderla Mia. Le mie cose i miei gusti i miei mobili il mio stile. Volevo che fosse la mia tana, che fosse rappresentazione esterna della mia personalità. E così l'ho fatta ristrutturare a mio gusto. l'ho arredata secondo i miei desideri. infine l'ho decorata e riempita di particolari che mi facevano star bene. O così credevo. Quando mesi fa ho iniziato a guardarmi intorno con occhi diversi sono scoppiato a ridere pensando alla mia superficialità.
Ho delegato ad un immobile e ad una serie di oggetti la responsabilità di farmi star bene e di presentarmi ad amici ed ospiti.  Mi è sembrato ridicolo.
Ma ripeto: Quello che ho intrapreso non è il cammino dell'eremita. Ho iniziato a vedere le cose in un modo diverso. Meno materialista. O forse molto di più . Materialismo per me adesso significa che gli oggetti che possiedo voglio abbiano uno scopo,un valore ed un uso quotidiano. Altrimenti sono quelli che qui si chiamano "ciapapulver".  Provo a portare altri esempi con i relativi vantaggi che sto trovando. 
Comprare cose ci gratifica, anche se momentaneamente.  Ma poi questa gratificazione passa in fretta. Allora serve un altro smartphone, o un paio di scarpe in più, O quel quadro da appendere in casa che darà un tocco di stile e che piacerà ai miei amici quando verranno a trovarmi. Guadagnare un follower. Ignorare i propri pensieri e lasciare che il bombardamento di distrazioni quotidiane ci sfracelli. Queste cose generano un' attaccamento che in modo lento e sotterraneo diventa morboso. E' chiaro che non si tratta di vivere con meno. ma di vivere di più, con meno. E' qualcosa che riguarda la possibilità di esistere ogni giorno con maggiore presenza. Ho appena iniziato questo percorso. Niente di speciale in realtà. Non è la soluzione dei problemi. sto Usando ogni euro che ho con più attenzione, ma più serenamente. Sto imparando il valore del tempo e della mia concentrazione. E come dicono in quel documentario: Avere troppo poco non ti permetterà di vivere dignitosamente, avere troppo semplicemente non serve. Trovare il giusto equilibrio, Avere abbastanza, è quello che ci serve.