domenica 23 luglio 2023

Il serpente, la cittadella del cuore




 In un antico Sutra si racconta la storia della "cittadella del cuore", un villaggio nascosto nella foresta tra le montagne, dove si dice si nascondesse il segreto della piena realizzazione di sè. Tanti desideravano raggiungere questo villaggio per trovare la felicità e le risposte alle loro domande, ma nessuno riusciva a raggiungerlo poichè sul sentiero che portava alla cittadella un grande serpente spaventava i viandanti e bloccava il passaggio. Guerrieri e valenti cavalieri avevano dovuto rinunciare, una volta giunti di fronte all'enorme mostro.  Semplicemente era troppo grande per essere affrontato. Tutti tornavano indietro e nessuno raggiungeva la cittadella del cuore.... 

A 34 anni, invece della serenità che pensavo avrei trovato nella pratica,  mi sono scoperto nuovamente inquieto, dubbioso, incerto di cosa devo fare. 

Nell'ultimo paio di anni ( ma per come percepisco io lo scorrere del tempo relativo alla mia pratica potrebbero essere 5 anni o 5 mesi) sento di essere diventato meno coraggioso, più prudente, o come mi dico appena questa sensazione compare davanti a un salto: "sono un pavido di merda". Questo è più o meno sempre successo, durante i miei allenamenti. Non ho mai vissuto la mia pratica serenamente, per quanto la ami e non abbia mai pensato di smettere.  E' sempre stata una eterna battaglia tra me e un ideale Danilo che avrebbe dovuto essere capace di fare tutto quello che pensava di "dover" fare per essere un buon praticante. Qui mi riferisco esclusivamente ai breaking jump, salti pericolosi o percepiti come tali. Gli altri aspetti della pratica del parkour/ADD  sono sempre stati una fonte di gioia per me, ( e questo avrebbe dovuto bastarmi, fortunato come sono ad avere un corpo tutto sommato sano che mi permette di fare cose incredibili) ma allo stesso tempo sentivo che non potevo permettermi di fare solo quello che mi piaceva, pena l'essere un praticante incompleto. Questa frustrazione è stata negli anni un alternarsi di periodi buoni e cattivi, di maggiore e minore capacità di gestire questo stress ma senza mai liberarmene del tutto. Ed usavo la rabbia accumulata nella mia infanzia e nell'adolescenza come benzina per alimentare questo motore del mio allenamento, fosse quello fisico o quello tecnico. Questa spinta in qualche modo serviva a farmi progredire, a costo di grandi sofferenze . Chi ha avuto una vita facile, non giudichi, non può capire. Ne andava dell'unica cosa sulla quale pensavo di potermi costruire una identità. Ciononostante come detto prima, tra alti e bassi qualcosa ho combinato. Poi però sono cresciuto, e ultimamente sono arrivato alla conclusione che quella spinta iniziale è finita.  Non nel senso che non voglia più allenarmi, anzi! Quello che ora sento però, lavorando su di me nel campo della consapevolezza (attraverso la psicologia buddhista, le pratiche interne, l'insegnamento, la meditazione e anche l'osservazione di questo corpo che lentamente perde le sue capacità, invecchiando), è che la motivazione che mi spingeva alla pratica è cambiata. E sentire che quella precedente si è esaurita mi fa sentire smarrito e non mi fa spingere a/e rischiare più come prima.  La mia preparazione fisica,  il mio background di esperienza non conta più nulla. Ora sono alla ricerca dei miei nuovi "perchè" per fare le cose. E non si tratta semplicemente di essere pavidi, sarebbe un giudizio superficiale. 

La sequenza che si sviluppa negli ultimi mesi, quando affronto qualche salto spaventoso è: osservazione-frustrazione (perchè so di poterlo fare ma non lo faccio)-decisione di non farlo- frustrazione-pensieri autodistruttivi. 

i salti mostro

definisco salti mostro quei salti fisicamente alla mia portata ma che possiedono la singolare capacità di farmi immaginare i peggiori scenari, nel caso li fallissi, portandomi a non provarli, a dar loro sempre più importanza e a diventare nella mia mente sempre più grossi e spaventosi.

Un fatto interessante sul quale stavo riflettendo, dopo l'ennesimo giorno fallito in cui ero andato a vedere  i soliti salti-mostro, è che questa sensazione non capita quando mi alleno in natura. Posso vedere dei breaking jump, dei movimenti orribili. Ma lì non mi attacco a quel dover fare a ogni costo che invece sento quando mi alleno negli spot urbani. E mi sono chiesto i motivi di questa differenza. La mia idea è che abbia caricato quei salti di un significato che è andato ben oltre il loro ovvero quello di essere salti, solo salti. Spazi da superare in volo tra un punto A e un punto B. Nella mia mente è cresciuto come un blob diventando via via più grande e importante, finendo per rappresentare da solo tutto il mio valore come praticante e come uomo coraggioso o codardo, coerente o contraddittorio, felicità e sofferenza. Valere qualcosa e...non valere niente.

 Una volta sarebbe finita così. Mi sarei trovato nel solito vicolo cieco del semplice "se faccio valgo, se non faccio non valgo". Per non ritrovarmi in questa vecchia situazione voglio provare a chiedermi, quando sono là sopra: 


cosa rappresenta per me questo salto? 



Quello che ho fatto per molti anni è un grande errore, ovvero identificarmi con la mia performance, o per essere più precisi identificare il mio valore come persona nei salti che faccio e che non faccio. Un errore, ovviamente. Sembra banale da dire adesso! Ma atteggiamento per me difficilissimo da eradicare perchè mi ha accompagnato fin dai primi anni di allenamento. Per qualcuno un salto è solo un salto, il parkour un gioco, ma per me (sicuramente dovuto anche al mio passato di esperienza di vita prima di scoprire la disciplina da ragazzino) è sempre stato- in modo diverso lo è ancora- un modo per comprendere se stessi. Dominare il corpo, vincere la mente, dominare il cemento, il ferro delle sbarre, lo spazio vuoto tra lo stacco e l'atterraggio di un salto. Facendomi signore della mia paura avrei potuto guadagnarmi la libertà dalle paure e dai traumi di cui ero cresciuto vittima.  

  Quando ero nell'età della grande insicurezza e della piccola autostima credevo di aver trovato la disciplina perfetta con la quale mettermi alla prova fino a conquistare la liberta, da usare poi finalmente per esprimermi. 

Dunque per molto tempo un salto significava per me tutto, letteralmente.

 Riferisco esattamente i miei pensieri senza aggiungere filtri perchè la rivoluzione che sta avvenendo in me è anche quella dello sviluppo di sempre maggiore capacità di osservare come uno spettatore incuriosito e un pò perplesso questi pensieri sorgere e prendere vita, invece di viverli come se mi appartenessero. Normalmente una sensazione nasce, (piacevole spiacevole o neutra che sia ) e noi diamo per scontato che sia nostra. Ci immergiamo in essa, ci crediamo. Un automobilista ci taglia la strada e noi ovviamente ci arrabbiamo e suoniamo il clacson o lo mandiamo a quel paese dal finestrino. C'e' troppo sale nella minestra e la giornata è rovinata.  Non ho risposte, però ho capito alcune cose utili per me e che spero possano aiutare anche altri praticanti, in particolare coloro che sono più spesso insoddisfatti della propria pratica o di sè stessi, e che non se ne vergognano. Non bisogna nè vergognarsene nè soprattutto minimizzare per paura del giudizio degli altri o del proprio. Questo è il primo passo per poterci lavorare sopra:


"Non c'e' uomo, per quanto saggio, che in certo periodo della sua vita, non abbia pronunciato parole o addirittura condotto una vita il cui ricordo gli risulti sgradevole e che vorrebbe poter cancellare. Ma non deve assolutamente rammaricarsene. Perchè non può nutrire alcuna certezza di essere diventato un saggio (nella misura in cui ciò è possibile) se non è passato attraverso tutte le incarnazioni odiose o ridicole che devono precedere quest'ultima incarnazione. So che ci sono dei giovani, figli o studenti di uomini distinti, ai quali i precettori hanno insegnato sin dall'infanzia la nobiltà dell'intelletto e l'eleganza morale. Costoro forse non hanno nulla da estirpare dalla loro vita. Potrebbero pubblicare e sottoscrivere tutto ciò che hanno detto, ma sono spiriti poveri. Discepoli esausti di maestri pedanti e la loro saggezza è negativa e sterile. La saggezza non la si riceve: bisogna scoprirla da soli, al termine di un itinerario che nessuno può compiere per noi, nessuno può risparmiarci, perchè è un modo di vedere le cose. Le vite che ammirate, gli atteggiamenti che vi sembrano nobili non sono stati stabiliti dal padre o dal precettore. Sono stati preceduti da esordi ben diversi, influenzati dal male o dalla banalità che regnavano tutt'intorno. Rappresentano una lotta e una vittoria. 

(All'ombra delle fanciulle in fiore- Marcel Proust)


 Detto questo, ecco alcuni spunti che vengono dalle miei ultime meditazioni, utili per affrontare i cosiddetti salti mostro se non a livello pratico, almeno a quello filosofico:


  • la nostra disciplina non è competitiva, ma questo non significa che debba essere completamente individuale. Il confronto con gli altri non è sbagliato, se ci aiuta a migliorare e se è fatto con lucidità. Discuterne, chiedere, spiegare le proprie paure va bene;
  • nello sbloccare salti che fanno paura, si può accettare che qualcuno ce lo mostri prima, i neuroni specchio giocano un ruolo importante nell'attività motoria;
  • Punto fondamentale per come sono fatto io, anche se mi rendo conto che non è sempre applicabile: gradualità. Se trovo una possibile progressione per il salto che voglio diventa ai miei occhi molto più fattibile. Forse il punto più importante per me adesso.
  • Non è necessario fare tutto e farlo adesso. Ma neanche rinviare per sempre. Del domani non v'e' certezza.  Domani potremmo essere morti, lo spot venire demolito, l'ambiente potrebbe non essere più idoneo. 

Non sono forse grandi rivelazioni, ma è qualcosa che mi sta aiutando. 
 
Ah già, la cittadella del cuore. Come arrivarci? L'enorme serpente ci blocca la strada. E'feroce, imbattibile. Per quanto ci alleniamo quello è sempre più grosso.  



Un giorno un monaco buddhista imboccò il sentiero, e arrivato di fronte al serpente  vide... che era un grosso tronco ritorto caduto tempo prima. Il monaco rimase a guardarlo per qualche istante, sorrise, e scavalcando il tronco continuò il suo cammino.


La cittadella del cuore è la fine della battaglia interiore contro il proprio ego. Il serpente, il tronco, il breaking jump orribile, il salto mostro... sono prodotti della nostra mente  sono i desideri per cui smaniamo e ci agitiamo sempre. Quando riusciremo a vedere le cose per quello che sono e ripeto, per quello che sono... allora probabilmente ci faremo una grande risata.