lunedì 13 giugno 2022

La traversata della Catena delle Maddalene




La mia pratica del parkour è sempre stata in continuo cambiamento, e questo è il motivo per cui ho deciso di scrivere qui, diario di un praticante, anche alcuni dei trekking che faccio. Perchè sto scoprendo nel camminare a lungo e per sentieri difficili un altro modo per conoscermi, per mettermi alla prova e scoprire nuovi limiti e capacità che non sapevo di avere. Sono sempre andato per boschi e montagne ma forse facendo il contrario, camminando poco e passando molti giorni e notti fuori, in solitudine. Ora mi sta appassionando andare più in là e più in alto, voglio vedere cosa c'e'. 
Questa volta ho scoperto il sentiero Aldo Bonacossa, sulla catena delle Maddalene. Maestosa catena di montagne delle Alpi Retiche meridionali, all'incirca tra Trento e Bolzano. E' stato il mio primo trekking in Trentino, il più lungo fin'adesso escludendo il cammino di Santiago e uno dei più duri mai fatti, ma sento che lentamente le gambe si stanno abituando e potrò fare sempre meglio. 
Sono stato invitato Da Francesco e Lorenzo, due esperti hikers ( uno di loro ha completato il Pacific Crest Trail, sogno che sto cullando) a farlo con loro. Informandomi un po' sul tipo di sentiero  ho scoperto essere piuttosto tecnico e abbastanza alto, rispetto alle montagnette delle prealpi varesine a cui sono abituato io. Inoltre mi hanno informato  che avremmo dovuto completarlo in 2 giorni, quando di solito ce ne voglio 3 o 4, in base al livello. Ammetto che ho provato un filo d' ansia, con tutte queste incognite da affrontare e sapendo che sono un principiante rispetto a loro. Il mio ginocchio non è proprio nuovo, amo andare piano in montagna, meditare, osservare, soffermarmi su molti dettagli e sui panorami... qui avremmo dovuto andare forte. Per correre ai ripari e limitare i danni ho cercato di alleggerire al massimo lo zaino così da avere meno peso possibile su schiena e ginocchio. Solo quilt estivo. Niente tenda, solo il tarp. Niente materassino gonfiabile, solo quello di schiuma. Kit medico  ridotto al minimo, vestiti al minimo, poco cibo ma molto calorico e cercando di inserire anche un po' di  fibre, per non intasare del tutto il sistema.

lo shakedown

 La sera a casa di Lorenzo, che abita in Trentino e che ci ha sia ospitati sia fatto da guida, ho affrontato il mio primo vero shakedown, per ridurre ancora il peso e l'ingombro dello zaino. Lo shakedown  è il provare a eliminare dallo zaino il materiale di cui si può fare a meno. Ma per me, vicino a idee minimaliste, è qualcosa di più. 
Per me è un processo psicologico nel quale tu stesso oppure qualcun altro ti aiuta a eliminare peso dalla tua mente. Scartando del materiale prima ritenuto necessario o addirittura indispensabile ci si libera anche dalle paure di non poter fare a meno di quegli oggetti. In cambio si ottengono leggerezza e maggiore libertà. Un esempio: posso portarmi un cuscino gonfiabile, oppure posso usare una bandana e un capo di abbigliamento che sicuramente mi porto, come il piumino a far da cuscino. Invece di portare una tenda da campeggio con tutta la sua paleria che pesa e ingombra anche se è più facile da montare, ho portato solo il tarp, più difficile ma leggero  In cambio però dovrò avere delle skills diverse, come quella di saper montare il tarp anche a 2000 metri e che possa ripararmi. In questo modo scambio materiale con capacità. Un kilo e mezzo di cervello vale più di 10 kg di attrezzatura.  Eliminando qualcosa qua e là alla fine ho risparmiato 700 grammi. Che sembrano pochi, una sciocchezza. Ma camminando ogni grammo pesa su di  noi e si accumula a ogni passo. Avere uno zaino più leggero significa avere non solo meno peso e quindi meno fatica, ma anche più semplicità. Meno cose da cercare rovistando lo zaino, meno problemi a organizzare il tutto.
 La mattina dopo siamo partiti alla volta dell'inizio del sentiero, immerso in una profumata nebbia tra i Larici. 

Non starò a descrivere passo passo ogni parte del sentiero, poichè questo diario non è una guida. Le sensazioni sono ciò che mi preme descrivere.   
C'era odore di larici e di nuvola, perchè mentre salivamo (e all'inizio il sentiero sale in maniera brutale) la nuvola nella quale eravamo immersi saliva con noi. 

I Larici luccicavano di rugiada e così le ragnatele.  Mi sono sentito un pellegrino giapponese in cammino verso un tempio buddhista in cima alla montagna. Meno di un'ora dopo e qualche centinaio di mt di dislivello più su siamo usciti dalla nuvola, e di fronte a noi c'era il primo panorama. Devo dire che essendo una persona contemplativa da qui in poi e per quasi tutto il sentiero ho preferito rimanere per ultimo per godermi col mio ritmo il paesaggio intorno, mentre L e F andavano avanti al loro.



 Da lì si apriva di fronte a noi una parte delle creste che avremmo affrontato quel giorno . Fresca e calda era l'aria, per l'altitudine ma anche per la stagione. Abbiamo ripreso il cammino, ora più pianeggiante, fino al primo lago e alla prima pausa snack. Lago alpino limpido e calmo, ma in cui non era possibile un bagno rinfrescante a meno di non volersi trovare addosso le sanguisughe. 
Il cammino continua e inizia tra molti sali scendi alcuni più duri altri più goduriosi. Queste montagne una volta erano il fondo dell'oceano e 140 milioni di anni fa hanno iniziato a crescere, e ora ne calpesto la superficie con rispetto, formichina su questo enorme scacchiere in 3D.  Dopo alcune ore e il ritmo sostenuto tenuto dagli altri ho iniziato a fare davvero fatica e il ginocchio ha iniziato a fare male. Una malga con una fontana in cui erano immerse delle bottigliette di  Coca Cola ( che ognuno, civilmente paga mettendo il denaro in un secchio del latte ) sono state una bella sorpresa per l'animo stanco. Arrivato a 18 km dopo 8 ore di cammino quasi senza pause ho iniziato a dubitare di poterlo completare. I ragazzi mi hanno aspettato e mi hanno suggerito di dormirci sopra, prima di prendere questa decisione, e la mattina dopo ,lavato e riposato, avrei potuto essere più obiettivo. Ma rimangono ancora 2 km e alcune centinaia di mt di dislivello prima di potersi fermare. 

Raggiunto a fatica il bellissimo lago di Lavazzè ho potuto darmi una rinfrescata e immergere le gambe stanche (loro si sono fatti tranquillamente il bagno, io non sono ancora abituato a quel genere di freddo).
 Arrancando ho ripreso il cammino  fino a un colle che sembrava abbastanza pianeggiante e non troppo esposto, un buon punto per le tende. Là vicino una pozza d'acqua per far bere gli animali ci ha permesso di lavarci e di ricaricarci d'acqua (ovviamente da filtrare) per la cena e il giorno dopo.
 Una lunga sessione di stretching e massaggio prima di cena mi ha risistemato le gambe e mentre coi nostri fornelli scaldavamo l'acqua per la cena ci siamo goduti il tramonto. 


Alle 9, col cielo un pò coperto di nuvole ma ancora molto luminoso mi sono messo a dormire. 
Poi la magia. 
all'una di notte mi sono svegliato per la sete e per curiosità ho messo la testa fuori dal tarp: la visione che mi si offriva era semplicemente senza senso. incredibile. Le nuvole erano scese a tappare la pochissima luce che proveniva dal paesino molto più a valle e la luna a un quarto era tramontata. Il cielo non era solo trapunto di stelle. Ne era pieno, ed erano di una tale luminosità da proiettare l'ombra del mio corpo sul prato bianco e luccicante di rugiada. Non avevo mai visto, neanche durante altre notti in montagna, così tante stelle, nè la via lattea altrettanto chiaramente. Passava come una scia di nave da ovest a est, divisa in due (prima volta che la vedevo) dalla fenditura del cigno, e vedevo persino il chiarore di qualche ammasso, forse Andromeda. 
Mi ha invaso in quel momento una strana euforia mista a un senso di timore quasi religioso, per quello spettacolo offerto a me solo, mentre in quel silenzio perfetto sentivo il respiro regolare degli altri che dormivano nelle loro tende, pur essendo a una decina di metri da me.  Sono rimasto alcuni minuti a godere di questa visione. Poi, nel vano tentativo di immortalarlo ho fatto qualche foto, ma avevo solo il telefono. Se con questo povero mezzo si riesce a intravedere la via lattea vi lascio immaginare come fosse in realtà:




Allez assieds toi près moi, Je viens t'compter mes au firmaments des etoiles


 Quando mi sono svegliato all'alba avevo preso la mia decisione. Quel giorno avrei completato il sentiero, anche con più chilometri del giorno prima da fare e molto più dislivello. Il ginocchio stava un pochino meglio e dopo una colazione molto veloce ho deciso di partire subito, prima degli altri, sia per guadagnare un po' di tempo (essendo più lento di loro )  sia perchè avevo bisogno di stare da solo. 
colazione in silenzio, pieno di pensieri su cosa mi avrebbe aspettato.


 alle 6 e 30 ho iniziato a camminare. Pensavo che in una mezz'ora mi avrebbero recuperato ma sorprendentemente non fermandomi quasi mai se non per una barretta e qualche sorso d'acqua ho camminato in solitudine in mezzo ai boschi e poi superando il livello degli albero per circa 3 ore. Mi hanno fatto bene perchè ho potuto , pur andando spedito, ascoltare il mio ritmo e guardarmi intorno. E togliere anche un paio di zecche di quando perdendo il sentiero mi sono infilato in una pista di animali. 
Alle 10 faceva già molto caldo e quando F e L mi hanno raggiunto abbiamo continuato insieme. Il panorama era sempre magnifico, ma sapevamo che il tempo a nostra disposizione era poco e abbiamo praticamente corso. entro la fine della giornata avremmo dovuto attraversare 2 passi, di cui uno era il punto più alto del sentiero, costeggiare ancora diverse montagne per poi scendere in paese coprendo 1400 mt di dislivello. Da lì trovare un mezzo per arrivare al primo paese dotato di stazione del treno, prendere il trenino che ci avrebbe portati a Trento, poi Verona, Milano e per me ancora un treno fino a Varese. Difficile. 

Dopo alcune ore abbiamo fatto una breve pausa a un torrente. Ricaricare acqua, filtrare, e la necessaria priorità : un sacro caffè. 
Da li si vedeva in lontananza l'ultima malga che sta ai piedi dell'ultimo passo. 300 metri di dislivello.  Raggiunta al volo abbiamo preso un attimo fiato prima dello strappo. Lorenzo ci ha guardato e con sicurezza ha previsto che ci avremmo messo 35 minuti a raggiungerlo- Francesco era abbastanza convinto. Io li guardo come uno che risponde a chi lo invitasse a fare una gara di corsa indicando la propria gamba amputata.  Ho risposto che al limite mi avrebbero aspettato su. Avevamo alle spalle già 19 km quel giorno e il ginocchio mi faceva male. Siamo partiti.  Mi sono messo gli auricolari per darmi un pò di motivazione e ho iniziato a camminare a testa bassa, strano animale quadrupede con 2 zampe normali e 2 lunghe sottili, i bastoncini da trekking, con le quali muovermi su quel terreno in salita. Ogni tanto sollevavo lo sguardo e vedevo Lorenzo davanti a me andare. Qualche ricordo dell'adapt si è presentato alla mia mente allora e ho iniziato a spingere fin quasi a raggiungerlo. Un minuto dopo di lui ho raggiunto la cima in 29 minuti. Il cartello segnaletico del CAI  dava un'ora di tempo necessario. Là, finalmente, pausa pranzo. In cima al ventoso e freddo passo  Palù 2412  abbiamo aperto tende e sacchi per farli asciugare. In quel momento ho finito tutto il cibo che avevo, l'ultimo prezioso fruttino. E Francesco mi ha regalato una gloriosa cucchiaiata di burro d'arachidi. una gioia insperata. 
le nostre tende schioccavano come aquiloni che avrebbero potuto portarci lontano, non fossero state ancorate con sassi e picchetti al terreno. 



E' iniziata poi la lunga discesa verso il paese, la parte peggiore per il mio ginocchio, ma piano piano è andata. Il problema si è presentato più tardi, quando abbiamo scoperto che i treni erano stati cancellati per uno sciopero. Fortunatamente Lorenzo ci ha ospitato ancora e il giorno dopo con calma abbiamo fatto il viaggio di ritorno. 
Mi porto molti ricordi di questo trekking breve ma intenso. In realtà non scrivo tutti quelli che faccio, Ma ho voluto condividere questo per l'intensità delle emozioni che mi ha suscitato e per la bellezza che ho visto. 
Più cammino in montagna più vedo somiglianze con la mia pratica di parkour. 


"Ero il mondo in cui camminavo, e quel che vedevo udivo o sentivo veniva da me solo; qui mi ritrovavo più vero, più strano." (Wallace Stevens, Harmonium)