domenica 27 marzo 2022

La settimana di ferro

"Prima di mostrare il cammino ad altri
 consolidalo in te,
 se vuoi evitare la sofferenza."
(Dhammapada V sec. a.C.)


questa prima settimana di ferro è finita, e dato che diverse persone mi hanno chiesto di parlarne meglio mi sono deciso di scriverne, benchè all'inizio volessi fosse una cosa personale tra i miei allievi e me. 

E' un periodo molto particolare per la mia pratica e per il mio stile di insegnamento. Per quanto mi riguarda dopo 16 anni di pratica sto imparando a seguire una programmazione nell'allenamento fisico, e i risultati  in termini di forza stanno arrivando, la massa grassa è calata, e i vecchi infortuni e dolori sono gestibili. Ma i protagonisti di questo post sono i miei corsisti. Nel tempo ( alcuni di loro sono con me da quando ho iniziato a insegnare ) ho osservato quanto siano cresciuti. Quanto il lavorare con me nelle gelide notti in spot schifosi, col caldo e nugoli di zanzare, con la grandine e con le miei sfide assurde li abbia temprati.   Hanno indubbiamente un fuoco, dentro di loro, anche se diverso da quello dei praticanti delle prime generazioni. Un fuoco che va apprezzato. 

Così ho deciso di far compiere loro un passo avanti nella scoperta dei loro limiti e possibilità . Rivedendo vecchi documentari, ricordando il viaggio a Evry  di quei giorni con Yann e con miei compagni di battaglie (giorni scolpiti nella memoria che non potranno essere dimenticati e che cambiarono la mia pratica) Ho organizzato...un rito. un'iniziazione spirituale per giovani guerrieri che come me non vedono nel parkour e nell' ADD solo un saltare fine a se stesso. Ma un mezzo verso l'automiglioramento. Non posso perdermi nei dettagli, dato che alcune delle sfide e dei momenti passati insieme sono troppo intimi e personali e devono rimanere tra di noi, come all'interno di una tribù che ha condiviso qualcosa che per altri non ha senso. Lo scopo di questa "settimana di ferro" era quello di sperimentare diversi generi di allenamenti e prove non strettamente o esclusivamente legati alla pratica.  Immergersi letteralmente nel discomfort. Quel disagio che la nostra società fa di tutto per non farci provare. Quello che i nostri nonni ricordano con orrore, che i nostri genitori fanno acrobazie e sacrifici per non farci provare, quello che alcuni praticanti di oggi scelgono di ignorare per paura. 

Ma veniamo al resoconto.

Una sera ho annunciato ai ragazzi della possibilità di partecipare in maniera volontaria a una settimana di sfide e privazioni, per rafforzare il proprio spirito e testarne i limiti, spiegando inoltre la possibilità di quittare in qualsiasi momenti, senza conseguenze, ma ad alcune condizioni:

  • ognuno deve pensare a un vizio che ha e onestamente con se stesso/a sospenderlo per una settimana;
  • gli allenamenti di gruppo aumentano di numero e durata;
  • quasi tutti gli allenamenti solitari o di gruppo saranno da fare all'esterno. Nonostante ogni difficoltà, il cuore della pratica è outdoor;
  • chi fallisce una qualsiasi delle sfide da fare insieme è eliminato;
  • chi fallisce una delle sfide proposte a distanza avrebbe dovuto autoeliminarsi;
  • chiunque può ritentare una sfida fino al successo, prima di autoeliminarsi;
  • chiunque quitti meriterà un croissant (Vigroux docet) segno della propria debolezza e pavidità; Il croissant è diventato lo spauracchio da evitare (risata malvagia).

altezza, oscurità, disagio per i sensi



alcune delle sfide erano parkour specifiche, altre meno. Ma tutte avevano una cosa in comune: buio, freddo, silenzio.  Il primo giorno ci siamo trovati in uno spot che uso abitualmente, una lunga sbarra ovale nell'angolo di un parco, completamente immerso nell'oscurità, e abbiamo fatto circa 600 scavalcamenti vari, equilibri e quadrupedie su sbarra, tutto al buio. poi 500 piegamenti piccoli. Negli altri giorni il menù ha previsto sessioni di stealth, brutte sfide di arrampicata, combattimento, privazione del sonno, digiuno, movimenti scomodi, meditazione, tenute faticose e altri disagi assortiti.
Si, il mio corso di parkour è diverso.
 Ognuno ha dovuto combattere una battaglia personale contro le proprie debolezze  e la voce dell'ego che si lagnava dell'assurdità di questi allenamenti. Specialmente quando non si trattava più soltanto dell'essere forti come individui, ma anche quando le sfide erano di gruppo o di comunicazione e problem solving. E forse ancora di più quando si è trattato del lavoro sul fidarsi degli altri in altezza. 
Sentire di non avere il controllo in situazioni di pericolo può essere molto destabilizzante per chi ha sempre fatto solo lavori individuali, me compreso. Ma con loro anche io mi sono immerso in tutto questo. Nonostante ci sia già passato, stato impegnativo anche per me, per alcuni aspetti. 

42" Nessuno, neppure il tuo peggiore nemico
 può nuocerti quanto una mente indisciplinata."
 
43 "Ma una mente disciplinata
è un'alleata preziosa.
Nessuno, né tua madre, né tuo padre,
 né i tuoi amici 
può esserti di altrettanto aiuto."


La cosa più notevole comunque, è la resistenza mentale che hanno tutti dimostrato. Indubbiamente tutti gli anni di potenziamento e sfide dei primi anni hanno dato i loro frutti. Per molto tempo ho dubitato sia del mio metodo che di loro. E sono felice di essermi sbagliato. Sono fiero dei loro risultati e del potenziale che sta emergendo. Ora l'allenamento deve continuare con nuove sfide e nuovi progressi tecnici e fisici. L'obiettivo è soprattutto per me quello di lasciare loro qualcosa per il futuro. Non di formare atleti di parkour, ma di lasciare il ricordo di un modo di affrontare le piccole e grandi difficoltà della vita. Poi c'e' anche la parte sportiva e performativa, ovviamente. Non bisogna cadere della trappola del parlare senza fare o di buttarsi nella mera speculazione. Bisogna spingere. SPINGERE. Ma cerco comunque di inculcare l'idea di pratica come mezzo e non solo come fine.  Ma più di tutto,  spero di donare loro la capacità di essere indipendenti. Tante volte gli ho detto che non voglio corsisti, ma compagni di allenamento. Una visione forse naif, ma nella quale credo.

 
159" Pratica ciò che predichi.
 Prima di cercare di correggere gli altri
 fai una cosa più difficile:
 correggi te stesso."




venerdì 4 marzo 2022

Dorsale del Triangolo Lariano

 Non sprecherò molte parole dal momento che su internet si trovano già molte accurate guide di questo percorso. Scrivo per condividere i pensieri e le emozioni che mi ha suscitato. 




Como


La dorsale del Triangolo Lariano è un percorso escursionistico di circa 38 km che inizia  a Brunate, sopra Como, e finisce a Bellagio. Il territorio del Triangolo Lariano è compreso tra i due rami del lago di Como i cui vertici sono formati dalla città di Como, Lecco e Bellagio.  Dopo aver lasciato l'auto in città a Como, un sabato mattina fresco e limpido ho camminato per un pò fino a raggiungere il lago, da dove ho preso la funicolare per Brunate. Da lì lo strappo iniziale è un infame warm up per le gambe, ma permette di meritarsi subito il panorama incredibile che si può ammirare dal faro voltiano. Poi inizia il cammino, che scegliendo tra la dorsale in cresta oppure a mezza costa permette di attraversare le principali Cime del triangolo, per poi scendere alla Colma di Sormano, risalire fino alla cima più alta del triangolo ( monte San Primo, 1689 mt) e scendere parecchio fino al Lago. 

il panorama dal faro voltiano, a inizio percorso.

Avrei voluto fare questo percorso alcune settimane fa, ma con il meteo che dava brutto e la neve appena caduta non me la sono sentita. Questa volta invece le condizioni erano perfette ( perfette per me): vento, freddo, poca gente, aria limpida ma poca neve. Non amando nè il caldo nè le montagne affollate  farlo in inverno ma senza una quantità eccessiva di neve è la gioia totale. Sono stato ripagato del molto freddo preso ( che forse mi ha anche aiutato ad affrontare il dolore al ginocchio che ogni tanto torna a farsi sentire) con dei panorami di una profondità incredibile, commovente. Cresta dopo cresta Il panorama lentamente cambia, lo sguardo gira da est e nord-est e poi verso nord,  seguendo prima il ramo ovest del lago, poi aprendosi alle montagne che supererò il primo e secondo giorno. 

sul Boletto col pantaloncino tattico. A sinistra il ramo Ovest, dietro le altre cime del triangolo.


Oltre il monte Boletto si prosegue a metà costa fino al bellissimo sentiero dei faggi, che ho scoperto grazie a Francesco, giovane hiker incontrato a Como e col quale ho fatto quasi tutto il trekking. All'ombra dei faggi spogli, in un mare di foglie secche alte fino al ginocchio, sono rimasto in silenzio ad ascoltare i miei passi e il vento frusciare piano.  Abbiamo poi raggiunto la colma di Sormano. Qui pausa riposino sul prato, caffè al bar e siamo ripartiti perchè c'era ancora molta luce. Trovato infine dopo una ventina di km il luogo adatto abbiamo piantato le tende e ci siamo goduti l'ultimo sole e il tramonto sul lago. Sapendo che una volta tramontato il sole la temperatura sarebbe calata di molto,  abbiamo di assorbito tutto il calore disponibile. Ho meditato qualche minuto guardando il lago estendersi e le montagne in lontananza, fino a quando hanno cominciato a brillare le prime luci dei paesi molto più giù.


Arrivata la sera era molto presto per dormire, così ho provato a fare qualche foto col telefono per vedere come se la cavava di notte, e devo dire non male. La notte era trapunta di stelle, come tanti fori fatti da uno spillo attraverso un grande lenzuolo nero. Si vedeva bene anche la via Lattea e il vago chiarore della nebulosa di Orione. 




Dopo una gelida notte nella quale la brina che si condensava all'interno della tenda cadeva come neve sul viso, la mattina ho scoperto di avere tutta l'acqua ghiacciata, compreso il liquido delle lenti a contatto. Per fortuna avevo gli occhiali da vista come back up. Colazione, mezz'ora a litigare coi picchetti per tirarli fuori dal terreno gelato e siamo ripartiti alla volta del monte San Primo, cima più alta del triangolo lariano. sulla sua vetta abbiamo aperto un pò le tende per farle asciugare. Il sacco lo avrei fatto asciugare a casa. Il panorama dalla vetta era incredibile. A nord si vedevano i due rami del lago unirsi verso Bellagio, troppo in basso per essere visibile, anche se sarebbe stata la meta finale.  Girandosi ho ammirato una pianura padana con pochissima della solita foschia, distinguendo bene la torre dell'Unipol di Milano, e più in là l'appennino tosco-emiliano. 
Scendendo mi sono fermato spesso ad ammirare dettagli bellissimi, come questo pruno fiorito con la Grigna come sfondo.







Iniziata infine la lunga discesa che ci avrebbe portati fino Bellagio attraverso prati e poi boschi sempre più tiepidi. Sono contento di come hanno retto le gambe, del meteo, dell'organizzazione minimale dello zaino che mi ha tolto molto peso da schiena e ginocchio e della compagnia del giovane Francesco.  E' stato un buon allenamento per trekking più lunghi....
..sognando il trekking dei sogni...


Cammino leggero 
perchè leggero è 
il mio cuore.