Ho costruito questo post mentre leggevo il libro di Laurent e dopo aver ripreso in mano dopo molto tempo i testi fondamentali sul Jeet Kune Do.
L'idea fondamentale del Daodejing è il seguire la natura, nel senso di non agire (wu-wei), il cui vero significato è quello di non compiere alcuna azione innaturale. Significa spontaneità, e cioè mantenere tutte le cose nel loro stato naturale, permettendo loro di "trasformarsi naturalmente". In tal modo "nulla viene intrapreso e tuttavia nulla viene lasciato incompiuto".
Rileggere ultimamente queste parole di Bruce Lee sui princìpi del taoismo mi ha fatto sorridere, perchè prima ancora di scoprire il parkour leggevo i suoi libri, prendevo appunti, credevo di aver capito le idee che coltivava e la sorgente della sua filosofia, quella che poi avrebbe fatto germogliare il Jeet Kune Do. Ma avevo 14 anni. Non capivo molto, anche se ne ero innamorato.
il sentiero che porta al miglioramento nella mia pratica sta passando, in questi ultimi tempi, dall' usare un approccio diverso nell' allenamento. Diverso da quello che ho avuto per molti anni, influenzato da idee che da ragazzo avevo appreso, frainteso e radicalizzato. Pensavo che avere paura fosse un segno di debolezza, e più ne avevo più mi sentivo inadeguato. Un impostore. Credevo che essere dei praticanti dovesse significare spingere sempre tutto, sforzarsi, sbattere contro gli ostacoli a testa bassa, fino ad abbatterli. Vincerli tramite il proprio coraggio e la propria forza. Questo principio calzava come un guanto per il mio carattere rabbioso, introverso e sostanzialmente insicuro. Usavo la rabbia sviluppata durante l'infanzia come un potente carburante per alimentare il fuoco dell'allenamento. Che portava si dei risultati, ma il prezzo da pagare era alto. Frustrazione, nuova rabbia, infelicità se le cose non mi riuscivano ( e sa il cielo sopra Varese quante non me ne riuscivano rispetto a quelle che mi riuscivano). Sono cresciuto vedendo intorno a me esempi di praticanti forti e coraggiosi che sembravano non temere nulla. Né il fallire né il farsi male.
Decidevano di rompere un salto e lo facevano subito. Senza perdere tempo e paturnie.
Li ammiravo ma nello stesso tempo iniziavo a sentire che era inutile imitarli, non avrei mai potuto incarnare quel tipo di approccio. Mi ci sono voluti molti anni per capirlo. Anni di bruciante amore per la pratica, ma anche di dolore. Eppure non ho pensato neanche una volta di smettere, nonostante tutto. Per fortuna, lento come sono a capire le cose, ho praticato abbastanza tempo da iniziare a realizzare cosa mi serviva.
Un abbraccio.
Un abbraccio gentile dato a me stesso, guardandomi negli occhi e dicendomi che non c'e' fretta. I salti che vuoi fare arriveranno. Certo, il coraggio servirà. A volte un approccio gentile ai salti non sarà possibile. Quando servirà potrò ancora attingere a quella rabbia, se messa al servizio e usata a fin di bene. Ma non è più necessario l'odio, per riuscire.
Negli ultimi anni ho potuto usufruire di nuove influenze. Compagni di allenamento che non posso non definire benefici, per quanto meno frequenti di quelli avuti per tanti anni a Varese. Persone gentili che mi hanno insegnato parole che non conoscevo. Ascoltarsi, cercare strade alternative, progressioni e regressioni, sbagliare apposta e divertirsi. Divertirsi nella pratica. #ioconfuso.
In sostanza, questa via morbida per sbloccare salti che fanno paura passa da alcuni concetti che si possono applicare quasi sempre:
Gradualità: sembra banale, ma entrati nella cosiddetta send culture, io faccio un passo indietro e mi prendo tutto il tempo per progredire con deliberata calma verso un salto. E' necessario sviluppare un pò di creatività per trovare le progressioni e le regressioni possibili o quelle necessarie in quel dato contesto e per quel dato salto. Ma si può fare. Così facendo sto trovando più stimolante che stressante un lavoro che prima magari mi avrebbe consumato il sistema nervoso in pochi minuti, potendomi in questo modo avvicinare meglio all'obbiettivo. Se ad esempio ho uno stride da fare su muretti in altezza e ognuno dei passi dello stride è diverso dall'altro perchè i muretti sono tutti a distanza diverse non mi limito più alla solita progressione lineare, ( ne faccio uno, poi l'altro poi il terzo singolarmente per poi unirli) ma prendo il problema da un altro punto di vista. Prendo confidenza col fatto di usare un solo piede per volta, andando avanti e indietro camminando, faccio piccoli stride sul posto. Sto usando bene le braccia? Com'e' il lavoro di swing delle gambe? e i piedi come li sto appoggiando? Che tensione emotiva ho nel tronco? Che contenuto emotivo sto avendo quando sono in aria e quando atterro? Poi in pliometria. Poi uno stride e due plio, due stride e solo l'ultimo in plio, poi tutto. Ma rimanendo sereno, così da evitare la sindrome da secondo tentativo.
Godere dell'insuccesso e sfruttarlo: qualcosa che sto avendo ancora difficoltà ad implementare con consistenza nel mio allenamento, così abituato alla classica formula del "prova finchè riesci e una volta riuscito ripeti fino all'interiorizzazione." Godere dell'insuccesso è qualcosa che sto apprendendo dai principi del Feldenkrais e che in pratica si fa sbagliando apposta un salto in molti modi diversi. Sbagliare deliberatamente è stato per me un mindblowing non da poco, quando non era per provare le tecniche di salvataggio dell'ukemi, perché significa si sbagliare un salto, ma non tanto da dover fare un salvataggio. E' più fare dei micro errori nell'assetto aereo o all'atterraggio così da doversi adattare all'istante e arrivare comunque incolume. Questo sistema crea delle inaspettate aperture alla creatività:
- permette di immaginare varianti più difficili dello stesso salto;
- fare varianti più difficili rende il salto target più facile;
- avendo fatto varianti difficili so di potermi salvare, questo a sua volta dà la sicurezza necessaria al provare il salto target con mente più calma e quindi con una tensione emotiva minore e quindi con maggiore controllo:
- tutto questo fa vivere con minore pressione la progressione verso il successo, e fanculo la send culture.
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